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Il personale: ecco la zavorra che ha mandato Grom in rosso

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Vendere alla multinazionale come è stato? Una scelta quasi obbligata. Per capire perché Federico Grom e Guido Martinetti hanno deciso di cedere la loro creatura all’olandese Unilever si tratta di una scelta obbligata bisogna spulciare tra i bilanci di Gromart, la capogruppo, società per azioni torinese a cui fa capo la catena di gelaterie, 67 punti vendita in tutto il mondo.

A fronte di un fatturato in crescita, dai bilanci si vedono le perdite in aumento, il costo del personale che supera gli 11 milioni e l’esposizione finanziaria, 13,6 milioni, di cui 7 nei confronti di banche e 3,4 per i fornitori.

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Dati dovuti alla crescita: uno sviluppo che però non si trasforma in un più nei conti dei bilanci, ma in un meno a cui bisogna fare fronte di anno in anno.

Prima che il segno “meno” diventasse troppo pesante da gestire Grom e Martinetti hanno trovato una via d’uscita: una multinazionale del settore, la Unilever, che possa investire e coprire le perdite.

Un grande gruppo che gestisce Magnum, Algida, Cornetto e Carte D’Or. Prodotti anni luce distanti dai gelati Grom, nonostante la polemica sulla dicitura “il gelato di una volta” di cui si sono sempre fregiati i punti vendita del gruppo nato in piazza Paleocapa.

La società ha chiuso l’esercizio scorso con un fatturato di 26,9 milioni di euro, in crescita rispetto ai 25,4 milioni del 2013, ma con una perdita netta superiore ai 2,3 milioni. Nel 2011 l’utile era stato di 277.818 euro.

Ad incidere non è stata la crisi, ma soprattutto l’aumento del costo del personale, passato da circa 8 milioni e 700 mila euro a quasi 10 milioni di euro.

E il trend di diminuzione dell’utile, a fronte comunque di una crescita del fatturato, figlia di un allargamento del numero dei punti vendita, non si sarebbe fermato secondo Martinetti e Grom.

D’altronde si è arrivati quasi a 600 dipendenti in tutto il mondo tra Dubai, Giacarta, Hollywood, Malibu, New York, Osaka, Parigi.

Secondo i documenti consultati attraverso il Cerved, il cda di Gromart – controllata dai due soci fondatori con una quota del 41,3% a testa e partecipata al 6,74% dalla giapponese Kabushikigaisha Lemongas, al 5,65% da Ikram group del Qatar e al 5% dal Gruppo Illy, con Riccardo Illy consigliere, già anticipava la strada verso un socio forte, dopo aver allargato negli ultimi anni la compagine sociale.

Nella nota del bilancio di settembre 2014 si annunciava un esercizio «caratterizzato ancora da incertezza economica» ma che «il gruppo Gromart, in particolar modo la società consolidante, ha già intrapreso un piano volto al recupero di redditività».

Un piano di crescita quinquennale che prevede infatti un’espansione internazionale con l’apertura di nuovi punti vendita all’estero.

«La società è altrettanto consapevole che questo processo richiede adeguati mezzi finanziari per fronteggiare le principali variabili del business, fra cui in primis il sostenimento degli investimenti previsti dal piano pluriennale ».

Sicurezza necessaria anche per assicurare il capitale circolante e garantire l’esposizione finanziaria.

Mezzi finanziari che ora hanno un nome chiaro: Unilever.

Federico Longhini

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