giovedì 18 Settembre 2025
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Lavazza e l’Università di Pollenzo rinnovano la collaborazione con la 21° edizione del viaggio tematico sul caffè

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Lavazza insieme all'Università di Pollenzo (immagine concessa)

TORINO – Un viaggio tematico alla scoperta dei segreti relativi alla filiera del caffè per gli studenti dell’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo, l’Università nata e promossa nel 2004 dall’associazione Slow Food. Dal 24 al 27 febbraio 2025 gli studenti del primo anno accademico avranno la possibilità di apprendere, grazie alla competenza degli esperti del Training Center Lavazza, i segreti relativi alla materia prima, l’arte e la cultura del caffè e approfondire la tematica della sostenibilità, valore di grande rilevanza per Lavazza.

Gli studenti parteciperanno allo stage nella sede torinese del Training Center Lavazza, la più grande rete di scuole di caffè al mondo, divenuto negli anni punto di riferimento per tutti i professionisti del settore.

Nel corso delle quattro giornate formative previste, gli studenti affineranno le proprie conoscenze sul caffè in maniera trasversale: dalla storia ai metodi di preparazione e degustazione, fino agli aspetti più manageriali.

Giuseppe Lavazza (Presidente Gruppo Lavazza) e Marcello Arcangeli (Direttore Training Center Lavazza) accoglieranno gli studenti nella prima giornata, illustrando la storia ultracentenaria del Gruppo, i progetti e gli obiettivi raggiunti negli anni.

A seguire, i corsisti potranno conoscere la storia e la diffusione del caffè in Italia e nel mondo per poi passare alla classificazione botanica e alle fasi principali del ciclo produttivo, della raccolta e della lavorazione della materia prima.

Sin dal primo giorno di stage, la mattina sarà dedicata all’apprendimento teorico, mentre nel pomeriggio gli studenti saranno divisi in gruppi per cimentarsi a rotazione in diversi laboratori pratici: potranno assaggiare diverse varietà di caffè e sperimentare i vari metodi di estrazione, così come cimentarsi nella perfetta preparazione dell’espresso e del cappuccino.

Le lezioni teoriche spaziano tra argomenti verticali: da come avviene l’approvvigionamento della materia prima (in Lavazza e in generale), all’assaggio attraverso l’analisi sensoriale, utilizzando la terminologia appropriata per la descrizione organolettica, alla conoscenza dei progetti della Fondazione Giuseppe e Pericle Lavazza.

Infine, la mattina dell’ultimo giorno gli studenti saranno accompagnati in visita al principale stabilimento produttivo nonché all’area Factory 1895 Coffee Designers by Lavazza, in cui scopriranno uno spazio innovativo ed immersivo dove vivranno un’esperienza sensoriale focalizzata sull’eccellenza del caffè.

Per completare la full immersion nel mondo del caffè nel pomeriggio gli studenti avranno l’occasione di visitare il Museo Lavazza.

Continua così la storica partnership di Lavazza con Slow Food e l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, iniziata nel 2005, per diffondere la cultura del caffè nel mondo attraverso la formazione.

La scheda sintetica del Training Center Lavazza

Lavazza è stata la prima azienda a creare nel 1979 un ente interamente dedicato alla formazione, una vera e propria scuola del caffè che si è sviluppata dapprima in Europa e poi nel mondo, fino a contare oggi oltre 56 sedi nei 5 continenti nelle quali vengono formate ogni anno circa 30 mila persone.

Da oltre 40 anni il Training Center Lavazza si occupa di formazione e di educazione al gusto, divulgando la cultura del caffè, affiancando i professionisti, sperimentando nuove formule e sensibilizzando i clienti finali a ricercare una qualità dell’espresso sempre più elevata. È una vera e propria ‘università’ del caffè con un programma didattico completo, in grado di fornire una conoscenza approfondita e capillare: dalla pianta alla tazzina, passando per la botanica, i processi produttivi, le attrezzature per l’espresso ed i metodi di preparazione.

Per ogni tipologia di target – baristi, forza vendita, distributori, neoassunti, consumatori, giornalisti, opinion leader e appassionati – la struttura è in grado di organizzare cicli di lezioni specifiche, impostati in funzione delle diverse necessità di approfondimento. Puntando sempre su innovazione e creatività, il Training Center beneficia altresì dell’enorme bagaglio di competenza che un brand come Lavazza, con i suoi oltre 120 anni di esperienza nel caffè, può vantare.

È proprio con Lavazza e con il suo Training Center che i più grandi e riconosciuti chef di fama internazionale hanno applicato la loro creatività al caffè, esplorando per questo prodotto forme e consistenze innovative e prima inesplorate.

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Iginio Massari firma le chiacchere a 100 euro al chilo, lo chef Guido Mori: “Solo marketing”

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Iginio Massari costa panettoni
Il maestro pasticciere Iginio Massari (foto Pasticceria Massari)

MILANO – Il maestro Iginio Massari torna ad essere al centro della discussione. Questa volta il volto della pasticceria italiana firma le chiacchere a 100 euro al chilo, registrando un aumento di prezzo del 25% rispetto al listino dell’anno scorso. Ma a Milano si trova lo stesso prodotto, in panetteria, a 66 euro al chilo. Le prime polemiche non sono tardate ad arrivare. Lo chef Guido Mori, con un seguito di oltre 134mila follower social, ha affermato che il prezzo di Massari non è giustificato dalla qualità, bensì da una mera strategia di marketing.

Le chiacchere di Iginio Massari a 100 euro al chilo

“Massari ha una grande catena di pasticcerie semi-industrializzate, che producono prodotti di un certo livello, ma su scala massiccia. – ha detto chef Mori intervistato da Mov e ripreso anche dal quotidiano romano Il Messaggero – È vero che le materie prime sono cresciute di prezzo, ma l’aumento secondo me è dovuto a una manovra di marketing”.

Continua Mori sempre su Il Messaggero riferendosi a Massari: ”Il mio consiglio, a tutti quelli che vogliono comprarsi le chiacchiere, o come li chiamiamo noi in Toscana i cenci, è di andarli a prendere in una pasticceria vicino a casa e che le comprino da un pasticcere che le ha fatte a mano”.

Il prezzo di 100 euro al chilo per le chiacchere sembra decisamente elevato. Dalla nuova indagine Altroconsumo è emerso che i consumatori della community spenderanno circa 16 – 20 euro per un chilo dei loro dolci di Carnevale e soltanto il 9% prevede di spendere più di 30 euro.

(dati: Altroconsumo)

Per avere un’idea chiara sui costi di questi dolci, Altroconsumo ha analizzato 49 punti vendita tra panetterie, pasticcerie e supermercati a Roma e a Milano.
Le chiacchiere costano in media 28,80 euro al chilo, mentre i tortelli (o castagnole) circa 30 euro al chilo. Interessante notare che i prezzi medi delle chiacchiere, se confrontati con quelli dell’indagine Altroconsumo del 2024, sono aumentati del 5% e i tortelli, invece, del +7%.

Confrontando i prezzi nei diversi punti vendita è emerso che rivolgersi alla grande distribuzione è il modo più efficace per risparmiare. Il prezzo delle chiacchiere nei supermercati o ipermercati è circa un terzo rispetto a quello nelle panetterie e un quarto nelle pasticcerie.

In ogni tipo di punto vendita i prezzi sono abbastanza vari e la forchetta tra minimo e massimo è grande. Negli ipermercati e nei supermercati per le chiacchiere si può spendere da 6,36 euro al chilo fino a 12,76 euro al chilo. In panetteria i prezzi vanno da 13 euro al chilo a 55 euro al chilo, mentre nelle pasticcerie i prezzi variano dai 20 ai 60 euro al chilo.

(dati: Altroconsumo)

Per i tortelli (o frittelle), invece, il prezzo in grande distribuzione è circa la metà rispetto al prezzo in panetterie e pasticcerie.

A seconda del punto vendita si può spendere da 9,40 euro a 22,60 euro al chilo in ipermercati a supermercati; mentre nelle panetterie e pasticcerie i prezzi sono più alti e partono da 18 euro al chilo fino a raggiungere i 55 euro al chilo.

Tra i consumatori della community ACmakers 9 su 10 mangeranno le chiacchiere, conosciute anche come frappe o bugie, mentre più di 1/3 preferisce i tortelli (castagnole) alla crema e circa1/4, invece, senza nessun tipo di ripieno.

Ma non sono certo questi gli unici dolci tipici del periodo di Carnevale, ci sono infatti anche risole, migliaccio, zeppole, struffoli, graffe, schiacciata, ravioli dolci, cicerchiata e frittelle di ogni tipo.

Metà dei consumatori che hanno risposto al questionario mangerà dolci fatti in casa, ma circa 1/3 degli intervistati ricorrerà invece a soluzioni acquistate in supermercati, panetterie o pasticcerie.

Circa tre intervistati su quattro pensano che al supermercato si acquistino prodotti meno buoni rispetto a quelli della pasticceria o quelli fatti in casa, mentre circa il 15% è dell’idea che non ci sono differenze tra i due e, invece, una piccola minoranza li trova addirittura migliori.

Pausa alla macchinetta del caffè in ufficio: per il 78% della Generazione z è fonte di disagio

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Pausa caffè (immagine: Puxabay)

Il 78% della Generazione Z sarebbe a disagio nel parlare con i colleghi durante le pause caffè in ufficio: lo rivela un sondaggio del New York Post. Inoltre il 40% di loro preferisce lo scambio virtuale tramite messaggi al contatto diretto di persona. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale d’informazione Il milanese imbruttito.

La pausa alla macchinetta del caffè

MILANO – Secondo un sondaggio pubblicato dal New York Post, il 78% delle 2000 persone intervistate è a disagio nel fare due chiacchiere davanti alla classica macchinetta del caffè. Il place to be dello sfogo degli sbatti in ufficio, per alcune persona è zona off-limits.

Whaaat? A ben guardare, però, non è solo colpa del caffè terribile delle macchinette: il 27% degli intervistati si sente più chill a chattare online piuttosto che a parlare faccia a faccia. Tradotto in numeri: 1 su 4 preferisce sparare gif su Teams piuttosto che stringere mani o incrociare sguardi.

E indovina un po’ chi guida questa rivoluzione? La Generazione Z. Il 40% di loro si sente più rilassato a digitare emoticon che a dire “ciao” di persona, seguiti dai Millennials (33%) e dalla Generazione X (24%). Per molti ragazzi abituati a lavori flessibili, ibridi o in smart working, parlare faccia a faccia è tipo super weird.

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Birra artigianale: il caffè è il 2° ingrediente più utilizzato tra le inedite

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Le tendenze della birra artigianale nel 2024 - Italian Craft Beer Trends (immagine concessa)

ROMA – Il 2024 è stato un anno complicato per la birra artigianale italiana, al quale i birrifici si sono adattati con scelte prudenti, senza tuttavia perdere la forza creativa che da sempre contraddistingue il settore. Lo dimostrano le quasi 700 birre inedite prodotte nel corso dell’anno e censite da Whatabeer, la piattaforma curata da Cronache di Birra su cui si basa il nuovo report Italian Craft Beer Trends.

L’ingrediente più utilizzato nelle birre inedite del 2024 è stata la vaniglia. In seconda posizione troviamo invece il caffè, da anni ormai tra gli ingredienti speciali preferiti dai birrifici italiani.

Il suo utilizzo è strettamente legato al fenomeno dello specialty coffee ormai ben radicato anche in Italia. La filosofia dello specialty coffee condivide diversi elementi con quella della birra artigianale, favorendo collaborazioni tra birrifici e torrefazioni che hanno dato vita a risultati molto apprezzabili.

È proprio Italian Craft Beer Trends a restituire una preziosa fotografia delle tendenze in atto nel segmento della birra artigianale. Di fronte agli ostacoli emersi nel corso del 2024, i birrifici italiani hanno risposto riducendo i rischi e puntando su tipologie brassicole di facile approccio, che peraltro assecondano i cambiamenti avvenuti di recente nell’approccio dei consumatori alla birra artigianale.

Andrea Turco, fondatore e direttore editoriale di Cronache di Birra, commenta così i dati emersi dal report: “I dati di questa prima edizione di Italian Craft Beer Trends sono indubbiamente interessanti e rispecchiano il momento che sta vivendo il segmento della birra artigianale. Il 2024 è stato un anno non facile per il nostro comparto, a causa delle difficoltà che sono emerse con veemenza nei dodici mesi precedenti. I prezzi sono aumentati, la predisposizione all’acquisto dei consumatori si è ridotta e si sono susseguite diverse chiusure tra pub e birrifici, alcune sanguinose”.

Turco aggiunge: “Nonostante non siano mancati anche aspetti positivi, il 2024 è stato un anno contraddistinto da molta cautela. I birrifici e gli altri operatori del settore hanno compiuto scelte conservative e limitato i budget, con prospettive a breve termine nell’attesa di trovare una nuova dimensione in un contesto profondamente cambiato e molto più sfidante. La produzione delle nuove birre italiane ha rispecchiato questo sentimento, con la scelta di puntare su tipologie di approccio immediato e facili da bere. È altresì una risposta all’approccio che hanno oggi molti bevitori nei confronti della birra artigianale, desiderosi di un consumo meno cervellotico e più diretto, privo di sovrastrutture spesso autoreferenziali”.

Quasi la metà delle birre inedite del 2024 è rientrata in due famigle brassicole: le American IPA, declinate soprattutto secondo il modello della West Coast, e le Lager della tradizione mitteleuropea, con un’interessante ascesa degli stili tipicamente cechi. Due macro categorie diverse tra loro da diversi punti di vista, ma accomunate dalla propensione a una bevuta immediata e relativamente semplice, senza troppi fronzoli. In generale gli stili appartenenti alla tipologia delle “birre speciali” hanno mostrato una discreta tenuta, sebbene alcune specialità, come le Italian Grape Ale, siano apparse in sofferenza. Un calo evidente ha riguardato anche gli stili della cultura brassicola belga, sempre più trascurati nelle scelte dei birrifici italiani.
Nel 2024 la gradazione alcolica media delle birre inedite è stata pari al 5,82%, rimanendo praticamente invariata rispetto all’anno precedente (5,89%). Tuttavia, nonostante la differenza sia limitata a pochi centesimi, si conferma la tendenza alla riduzione del volume alcolometrico registrata negli ultimi anni. È comunque un’evoluzione molto lenta, che dimostra la reticenza dei birrifici italiani a rivolgersi al segmento delle NoLo (birre analcoliche o a basso contenuto alcolico). Una maggiore convergenza è attesa nel corso del 2025.
A proposito delle aspettative per l’anno in corso, è ancora Andrea Turco ad analizzare quanto ci attende nei prossimi mesi:
I consumatori sembrano decisamente orientati verso birre leggere, anche in termini di volume alcolometrico. Il nuovo codice della strada, inoltre, sembra destinato a modificare ulteriormente le abitudini dei bevitori, con pesanti ripercussioni tra gli esercenti. I prossimi mesi potrebbero allora essere decisivi per il definitivo ingresso dei birrifici italiani nel segmento delle NoLo. Se non con birre dichiaratamente analcoliche, per le quali alcuni limiti sono difficilmente superabili, almeno con quelle a bassa gradazione alcolica.
In generale l’auspicio è che anche nel 2025 il settore della birra artigianale si dimostri dinamico e resiliente. Non sarà un anno facile, ma per le sue caratteristiche l’ambiente è in grado di adattarsi velocemente ai mutamenti in atto. Il piacere che è in grado di offrire un boccale di birra è qualcosa di intramontabile, che resisterà sempre alle evoluzioni della società e al gusto dei consumatori. È importante tenere sempre a mente questo banale ma importantissimo assioma.

Italian Craft Beer Trends è disponibile in due formati. Stampato con copertina rigida e acquistabile su Amazon, oppure scaricabile gratuitamente in formato pdf su Cronache di Birra.

• Per il download gratuito basta cliccare qui.

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L’edizione 2024 di Italian Craft Beer Trends è realizzata grazie al supporto di:

• Cime Careddu – Azienda leader di settore per il confezionamento della birra. Forte di un’esperienza di oltre 40 anni nell’ambiente, offre soluzioni personalizzate di altissima qualità, capaci di adattarsi alle esigenze dei clienti garantendo la massima cura per una delle fasi cruciali del processo produttivo.

• ANIMA by Cerve Group – Anima Cerve è il nuovo brand del Gruppo Cerve, specializzato in calici e bicchieri per il settore beverage e enologico. Anima unisce la tradizione artigianale del vetro soffiato a bocca con tecnologie avanzate. I prodotti, pensati per una degustazione professionale di alto livello, sono personalizzabili e riflettono l’identità di ogni cliente

• Unionbirrai – Fondata nel 1999, Unionbirrai è l’associazione pioniera per la tutela e la promozione dei microbirrifici italiani. Diventata Associazione di Categoria nel 2017, supporta i piccoli produttori indipendenti con azioni normative, promozionali e di difesa contro l’industria, valorizzando la Birra Artigianale.

 

La Fipe presente a Beer&Food attraction di Rimini anima i dibattiti sull’evoluzione del bar

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Beer&Food Attraction 2025: successo di pubblico e crescente consapevolezza nel consumo di alcol (immagine concessa)

RIMINI – Il mondo della birra, spirits, soft drink e acque minerali si è riunito a Rimini nei tre giorni di Beer&Food attraction per scoprire nuovi prodotti e nuove tendenze nel mondo del beverage. Un settore in costante evoluzione che ha attribuito un ruolo di primo piano anche ai prodotti zero alcol in linea con le nuove tendenze del mercato. Al riguardo è bene ricordare che il consumo di alcol segue da decenni una traiettoria di contrazione che nell’arco di 50 anni ha toccato il -70%.

Fipe è stata presente con un proprio spazio nel quale si sono susseguiti incontri e dibattiti su temi di grande attualità come l’andamento dei consumi di bevande alcoliche, l’evoluzione del bar e quella delle pizzerie.

La Fiera è stata anche l’occasione per misurare la conoscenza delle persone del proprio grado di tolleranza dell’alcol. A questo scopo sono stati effettuati test alcolemici a cui si sono sottoposti su base volontaria oltre 600 visitatori della fiera da cui è emersa la generalizzata inconsapevolezza delle quantità di alcol che assicurano un consumo responsabile.

“L’esperimento che abbiamo fatto a Rimini – ha dichiarato Aldo Mario Cursano, vice presidente Vicario di Fipe-Confcommercio – dimostra che per arrivare ad un consumo responsabile di bevande alcoliche non c’è bisogno di anatemi o di un approccio da tolleranza zero ma di maggiore conoscenza e consapevolezza degli effetti dell’alcol sul proprio organismo”.

Aldo Mario Cursano aggiunge: “La generalizzata negatività dei test conferma che il pubblico è sempre più attento a bilanciare piacere e responsabilità e che su questa strada è possibile coniugare sicurezza e consumo. Fipe continuerà a promuovere iniziative che incentivino un consumo consapevole, valorizzando al contempo la qualità delle eccellenze enogastronomiche italiane ed il ruolo dei pubblici esercizi come luoghi di socialità”.

“L’entrata in vigore del nuovo Codice delle Strada – prosegue Cursano – ha creato un allarme generalizzato ed ingiustificato che anziché ridurre gli abusi nel consumo di alcol rischia di influire negativamente proprio sul consumo responsabile che è quello della quasi totalità dei consumatori”.

Guerra dei dazi con gli USA? Aice, associazione commercio estero Confcommercio: imprese colpite dall’incertezza

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Il logo dell'Aice

MILANO – La guerra dei dazi tra Stati Uniti ed Unione Europea avrebbe importanti ripercussioni sul sistema delle imprese del terziario, ma ancora più preoccupante in questa fase è la situazione di incertezza legata agli annunci e alla minaccia dei dazi stessi: le imprese, per pianificare forniture e consegne e, quindi, gestire la propria catena del valore, hanno bisogno di condizioni stabili nel tempo.

Lo rileva Aice, l’Associazione italiana commercio estero Confcommercio, alla luce degli ultimi dati sull’interscambio e il sentiment emerso dall’indagine di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza che ha coinvolto oltre 400 imprese.

Nel 2024, come ha certificato l’Istat, l’export italiano ha registrato un lieve calo in valore (-0,4%) con dinamiche contrapposte (-1,9% export verso UE, + 1,2% export verso extra UE): un dato che sarebbe stato positivo (+0,3%) al netto dei prodotti energetici. In questo contesto, diminuisce l’export verso i due mercati principali per il Made in Italy: Germania e Stati Uniti (per entrambi i Paesi -3,7%).

II valore dell’export negli USA: circa 65 miliardi nel 2024, ma meno del 2023

Nel 2024 il valore dell’export italiano negli Stati Uniti (dato ancora provvisorio) è stato di circa 65 miliardi, in calo del 3,7% rispetto al 2023. Gli USA sono al secondo posto dopo la Germania, e prima della Francia, come destinazione delle esportazioni nazionali.

Sentiment delle imprese: il caso di Milano

L’imposizione reciproca di inasprimenti doganali tra USA e UE avrebbe un’influenza negativa sulle imprese: nell’indagine condotta da Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza (dati elaborati dal Centro Studi) lo rileva l’86% di chi svolge attività di import e il 74% di chi pratica sia attività di import sia di export.

In sostanza, per più di 3 imprese su 4. Gli Stati Uniti sono il secondo partner commerciale delle imprese che esportano dalla Città Metropolitana di Milano (dopo la Svizzera) con oltre 4 miliardi 494 milioni di euro (fra gennaio e settembre 2024).

Quali conseguenze dalla “guerra dei dazi”

La conseguenza pressoché immediata e più importante sarebbe l’aumento dei prezzi con una maggiore inflazione: con una contromisura UE di dazi del 10-15% (in risposta agli eventuali dazi americani) sui prodotti che vengono importati maggiormente dagli Usa (si tratta per lo più di prodotti importati da imprese intermediarie e non direttamente da venditori/rivenditori), le imprese importatrici assorbirebbero circa la metà di questi incrementi. L’effetto sui consumatori nel territorio di Milano, Lodi, Monza e Brianza – secondo la stima del Centro Studi di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza in raccordo con Aice – sarebbe di un probabile aumento dei prezzi del 5%.

Gli accordi di libero scambio (come Ue-Mercosur): risposta al protezionismo

Dall’indagine di Confcommercio Milano, Lodi, Monza e Brianza emerge inoltre che il 56% delle imprese operanti sui mercati esteri è a conoscenza dell’esistenza degli accordi di libero scambio siglati dall’Unione Europea con Paesi terzi. Patti che prevedono l’azzeramento o la forte riduzione dei dazi in export ed import. Sono quindi giudicati uno strumento positivo per diversificare i mercati di sbocco e approvvigionamento: lo pensa il 63% delle imprese. Gli accordi di libero scambio sono, in generale, la risposta più forte che si può dare al protezionismo.

Entrando in particolare nel concreto su uno degli accordi di libero scambio, il 38% delle imprese che opera sui mercati esteri conosce l’intesa UE-Mercosur (siglato dalla Commissione Europea con Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay): per le imprese rappresenta un’opportunità di crescita.

“I dazi all’import negli Stati Uniti non sono una novità, c’erano anche prima dell’Amministrazione Trump. Gli Usa, infatti, sono tra le cinque economie più protezionistiche al mondo, in buona compagnia di Russia, Cina, India e Brasile – spiega Riccardo Garosci, presidente di Aice e vicepresidente Confcommercio e Confcommercio MiLoMB per l’internazionalizzazione – E non parliamo solo di barriere tariffarie, ma anche di ostacoli non tariffari che, molto spesso, pesano sull’esportazione di un prodotto più dei dazi. Basti pensare alle difficoltà burocratiche che si devono affrontare per vendere prodotti agroalimentari. Ciò che in questa fase è più preoccupante è la costante situazione di incertezza che gli annunci minacciosi d’Oltreoceano hanno sulle imprese”.

“L’introduzione di dazi indiscriminati su tutti i prodotti e verso tutti i Paesi avrebbe comunque come effetto certo – rileva Garosci – l’aumento dell’inflazione anche per il consumatore americano.

E’ importante che le nostre imprese monitorino anche l’introduzione di dazi tra i vari Paesi anche se non riguardano direttamente l’Europa o l’Italia. L’introduzione di dazi per il Messico o il Canada, ad esempio, colpirebbe le aziende italiane che hanno produzioni in quei Paesi o che forniscono di beni intermedi aziende localizzate in quei Paesi per essere vicine al mercato statunitense. Ed è bene ragionare con attenzione anche su un ulteriore aspetto: oltre ai comparti principali del Made in Italy, dazi imposti ad altri settori che vedono le imprese italiane parte della catena del valore, possono provocare danni alla nostra economia”.

“Insomma – conclude Garosci – il protezionismo non porta benefici a nessuno”.

Roma, nuovo regolamento sui dehors: prevista la suddivisione della capitale in fasce

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Il settore del bar e della ristorazione (immagine: pixabay)

La proposta di aumentare lo spazio occupato dagli arredi all’aperto dehors a Roma ove compatibile con i luoghi arriva sia dalla maggioranza dem che dalle opposizioni. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Maria Egizia Fiaschetti per il quotidiano Il Corriere della Sera.

Il nuovo regolamento sui dehors a Roma

ROMA – Il 25 febbraio è previsto il secondo round in aula sul nuovo Regolamento delle Osp (occupazioni di suolo pubblico) con la discussione di una serie di emendamenti presentati sia dalla maggioranza dem sia dalle opposizioni.

Secondo quanto filtra, vi sarebbe la disponibilità bipartisan a concedere più spazio ai tavolini nelle aree pedonali, tranne in quelle già sature come ad esempio Campo de’ Fiori o piazza Navona, compatibilmente con i criteri indicati nella nuova norma in approvazione.

Il Regolamento prevede infatti la ripartizione della città in fasce: nell’ambito T4 del sito Unesco (il centro storico delimitato dalle Mura Aureliane) gli arredi en plein air potranno essere un terzo della superficie di somministrazione interna; nell’ambito della Città storica (contesto più ampio che comprende tessuti di espansione novecentesca e ambiti urbani di interesse strategico tra cui Tevere, Mura Aureliane, Parco archeologico monumentale, Foro Italico-Eur, cintura ferroviaria), la quota non può superare i due terzi.

Nel suburbio si può arrivare fino a 3/3 (il 100%), ma nelle zone tartassate dalla movida come Centocelle e Città Giardino i Municipi potranno chiedere limiti più restrittivi. Dopo la discussione in Aula, però, non è escluso che nei quartieri periferici si possa concedere fino al 120%.

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World of Coffee Ginevra: al via la prevendita dei biglietti dell’event, 26-28/06

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Il logo di World of Coffee Ginevra

GINEVRA – World of Coffee ritorna a Ginevra, la location ideale per ospitare la fiera europea di punta della SCA, Specilaty coffee association, strategicamente situata nel cuore dell’Europa e attore chiave nel mercato globale del caffè. La manifestazione, in programma dal 26 al 28 giugno, garantirà un atmosfera unica e dinamica, novità coinvolgenti e approfondimenti sul chicco.

Il ritorno di World of Coffee in Europa

World of Coffee Geneva si terrà a Palexpo SA Rte François-Peyrot 30 1218 Le Grand-Saconnex. All’edizione di Copenhagen 2024, la Fiera ha registrato oltre 13mila visitatori da più di 150 Paesi e 120 torrefattori nel padiglione roaster village.

Ginevra vanta un’eccellente infrastruttura di trasporti, strutture congressuali di livello mondiale ed è un hub internazionale con una straordinaria accessibilità per i partecipanti di tutto il mondo.

La registrazione per l’evento a Ginevra è ora aperta con uno sconto di oltre il 25% se ci si iscrive prima dell’inizio di aprile.

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Dolcella: il brand del cioccolato della Val d’Aosta resiste ai rincari e punta sul risparmio energetico e le certificazioni

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Il logo Dolcella

L’azienda Dolcella specializzata nella produzione di cioccolato con sede Pont-Saint-Martin in Valle d’Aosta dopo le recenti assunzioni punta sul risparmio energetico e le certificazioni resistendo ai rincari del cacao. Idris Anday, il direttore dello stabilimento, ha dichiarato: “Riusciamo a essere competitivi nel rapporto qualità e prezzo”. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Carlo Andrea Finotto per il quotidiano Il Sole 24 Ore.

Il piano produttivo di Dolcella

PONT-SAINT-MARTIN (Aosta) – È passato quasi un anno da quando l’azienda Dolcella ha avviato l’attività di produzione di cioccolatini a Pont Saint Martin. Da alcuni giorni il numero di dipendenti della fabbrica è salito a venti.

“A differenza di altre realtà della Bassa Valle che vivono situazioni di difficoltà, noi possiamo dire di procedere gradualmente con il nostro piano che comprende anche nuove assunzioni”, afferma Idris Anday, direttore dello stabilimento a capitale olandese – Dolcella è controllata al 100% dalla Ortu Holding – che ha sede in quella che era la fabbrica Feletti.

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Pasticcerie svizzere in Italia: ecco il motivo della loro presenza

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La Svizzera

Partite dal cantone dei Grigioni alla ricerca di fortuna, decine di famiglie svizzere hanno legato la propria storia a pasticcerie e drogherie del Bel Paese. Ma pochi hanno mantenuto le origini rivoluzionarie di uno stile raffinato. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Lorenzo Cresci per il quotidiano La Repubblica.

La pasticceria svizzera in Italia

MILANO – Sapete perché in Italia esistono decine di pasticcerie svizzere? È una storia che scava nei secoli, ed è fatta di emigrazione, quella degli svizzeri del cantone dei Grigioni, che ha portato centinaia di persone in Italia a partire dal Settecento in cerca di fortuna, aprendo laboratori e negozi.

A Venezia: attorno al Settecento su 42 pasticcerie e caffè, 38 erano elvetiche; già nel 1725, oltre 100 locali erano grigionesi. E così a Trieste: nei primi dell’Ottocento 21 botteghe di caffè sulle 37 totali erano a guida elvetica. L’onda svizzera fu talmente forte da conquistare l’Italia.

Ci sapevano fare con i clienti, avevano un’idea di caffetteria – elegante – come intendiamo oggi, tra caffè e dolcetti. La qualità li aiutò a emergere e i caffè diventarono un luogo di incontro per l’emergente borghesia europea.

Secondo il “Jacobs Museum” di Zurigo, conosciuto come Museo del Caffè, oggi è l’intera pasticceria internazionale a essere in debito di riconoscenza nei confronti dei grigionesi per aver lanciato famiglie di pasticceri nelle più importanti capitali europee. Tante realtà si sono perse, alcune sono sopravvissute ai secoli. Ecco una mappa.

Liguria

La Pasticceria Svizzera di Albaro, a Genova, riaperta da pochi mesi, fu fondata nel 1910 da Vital Gaspero, in un palazzo che ospitò tra gli altri Lord Byron. Nell’Ottocento – quando a Genova c’erano 12 pasticcerie svizzere – arrivò Klainguti, noto per la sua torta engadina e un classico della pasticceria genovese: la Zena.

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