giovedì 03 Luglio 2025
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Malatesta Teamwork: a Rimini la sfida per giovani talenti nell’ospitalità

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Il concorso Malatesta Teamwork ha visto sfidarsi 21 studenti delle classi seconde dell’omonimo istituto alberghiero di Rimini in una serie di prove per professionisti di sala e bar. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale d’informazione altarimini.

Il concorso Malatesta Teamwork

RIMINI – Le aule dell’Istituto Alberghiero Malatesta di Rimini si sono trasformate in un vero e proprio palcoscenico per giovani talenti del settore dell’ospitalità. Il concorso Malatesta Teamwork ha visto sfidarsi 21 studenti delle classi seconde, dimostrando un’eccellenza e una passione che promettono un futuro brillante nel mondo della ristorazione.

Nato dall’idea della professoressa Clivio e del professor Dimatteo, l’evento ha messo alla prova le capacità degli studenti in una serie di prove pratiche che hanno simulato le sfide quotidiane di un professionista della sala e del bar. Dalla preparazione di una mise en place impeccabile all’arte della caffetteria, fino alla creazione di cocktail originali, gli studenti hanno dimostrato di padroneggiare le tecniche fondamentali del mestiere.

Dopo una prima fase teorica, basata su un quiz a tempo su Kahoot, i concorrenti si sono sfidati in prove pratiche che hanno messo alla prova non solo le loro abilità individuali, ma anche la loro capacità di lavorare in squadra. Sotto lo sguardo attento di una giuria composta da esperti del settore, da Andrea Bertelli, Vito Campanelli e Charles Flamminio, i team hanno dato il meglio di sé, dimostrando un’ottima coordinazione e una grande creatività.

Alla fine, è stata la squadra 2F rappresentata da Stefano Gulinazzo, Saliou Lo Serigne e Andrea Polidori a conquistare il premio Malatesta Team Work, ma un plauso va a tuti gli altri gruppi partecipanti, che hanno dimostrato un grande spirito di squadra e passione.

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Valentino Caffè lancia Caffè sospeso: è il nuovo podcast sulla tazzina disponibile su Spotify

LECCE – Valentino Caffè annuncia il lancio del suo nuovo podcast, Caffè sospeso, un progetto nato dal desiderio di andare oltre il prodotto e dare al caffè il profondo significato che merita. Disponibile su Spotify, il podcast è un luogo d’incontro dove dialogare di attualità, viaggi, letteratura e molto altro, sempre con una tazza di caffè come filo conduttore.

Un progetto nato dalla passione

“Per noi, il caffè non è solo una bevanda: è un simbolo di connessione, un rituale che unisce persone e racconta storie uniche,” spiega Giulia Montefrancesco, titolare di Valentino Caffè. “Quando insieme alla creative director Ilenia Tesoro ci siamo fermate a riflettere su come trasmettere al meglio questo valore, ci siamo dette: “raccontiamo delle storie”. Così è nato il podcast Caffè sospeso, un format che celebra l’essenza del caffè come simbolo di legame e condivisione. Chi conosce la comunicazione di Valentino Caffè sa che il nostro obiettivo è sempre quello di andare oltre il convenzionale. Non ci accontentiamo di promuovere il nostro prodotto come migliore di altri: vogliamo farlo vivere. Con il podcast Caffè sospeso, ci proponiamo di promuovere momenti di riflessione, ispirazione e leggerezza. Ogni episodio sarà un invito a fermarsi, proprio come un caffè al bar, per ascoltare storie che aprono lo sguardo sul mondo.”

La scelta del nome Caffè sospeso

Il nome del podcast si ispira a una tradizione napoletana carica di significato: il caffè sospeso, un gesto di generosità che permette a chiunque di ricevere una tazza di caffè offerta da uno sconosciuto. Questo spirito di dono e condivisione è il cuore pulsante del nostro progetto.

Un viaggio tra cultura e storie umane

Il primo episodio, dal sapore di viaggio e scoperta, invita a esplorare prospettive nuove e sorprendenti, come solo il caffè sa fare. Ogni puntata vedrà la partecipazione di ospiti speciali che condivideranno esperienze, visioni e riflessioni, creando una pausa di qualità che arricchisce e riscalda, proprio come un buon caffè.

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Torino: apre NUN la prima pasticceria persiana d’Italia

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Nazanin Majidi, iraniana venuta in Italia per studiare all’Accademia delle Belle Arti di Torino, non ha mai lavorato nel mondo dell’arte. Pasticciera e cuoca autodidatta, dopo anni tra home restaurant e dark kitchen, ha finalmente aperto il suo posto: NUN, la prima pasticceria persiana in Italia. Leggiamo di seguito un estratto dell’articolo di Vivian Petrini per il portale d’informazione Cibo Today.

L’apertura di NUN a Torino

TORINO – Torino si conferma ancora una volta la culla di progetti innovativi e multiculturali, dove sapori e tradizioni da tutto il mondo trovano casa. Tra le novità più interessanti spiccano street food palestinese La Terrasanta, Tuttofabrodo dedicato ai ravioli asiatici e il sorprendente ristorante turco Kadeh. Tra le sue vie, dove si mescolano una fortissima tradizione e avanguardia, nasce un nuovo progetto che unisce artigianato e sapori lontani: si tratta di NUN, la prima pasticceria persiana in Italia.

Il nome, che in persiano significa “pane”, porta con sé un significato profondo, nonostante il pane qui non venga preparato. “Una volta non esistevano i dolci: il pane era la base di tutto. Poi, con l’aggiunta di zucchero, miele e spezie, sono nati i primi dessert. Per me, il dolce è un’evoluzione del pane”, spiega Nazanin Majidi a Cibo Today, pasticciera autodidatta e fondatrice di questo indirizzo unico nel suo genere, inaugurata a dicembre 2024.

Il viaggio di Nazanin: dall’Iran all’Italia

Classe 1986, Nazanin arriva a Torino nel 2011, inseguendo il sogno di studiare arte all’Accademia. “Avevo già una laurea in Iran, ma volevo continuare i miei studi in Italia. Era un sogno d’infanzia: studiare nella patria dell’arte”. Dopo aver completato gli studi nel 2015, Nazanin decide però di dedicarsi a un’altra passione che la accompagna da sempre: la pasticceria. “Ho ereditato l’amore per i dolci da mia madre e da mia zia, che a casa facevano meraviglie. Per me era magico vedere come da zucchero e farina potessero nascere cose così buone. Ho iniziato a cucinare da bambina con il libretto di ricette di mia zia, di cui poi mi ha regalato una copia”.

Trasferitasi in Italia, Nazanin ha continuato a preparare dolci per amici e familiari, finché i complimenti e l’entusiasmo non l’hanno spinta a trasformare questa passione in un lavoro.

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Starbucks: negli Stati Uniti non si potrà più entrare gratis nelle caffetterie

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In tutte le caffetterie Starbucks del Nordamerica non si potrà più entrare gratis: questa è la nuova politica del ceo Brian Niccol in vigore dal 3 febbraio che prevede anche l’abolizione dell’acqua gratuita. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Giuseppe Baselice per il portale d’informazione First Online.

La nuova politica di Starbucks

SEATTLE – A partire dal 3 febbraio, in tutte le 11mila caffetterie della rete Starbucks in Nordamerica non è più possibile entrare per ripararsi dal freddo, riposare qualche minuto, usufruire del bagno o ricaricare il cellulare.

O meglio, non è più possibile farlo a gratis, senza cioè consumare e spendere almeno qualche dollaro per un caffè o anche per un bicchiere d’acqua, visto che la nuova policy del ceo Brian Niccol, in carica dallo scorso settembre, prevede persino l’abolizione della free water di cortesia.

La popolare catena di caffetterie ha rivoluzionato il suo concept: nel 2018 si era definita un ambiente accogliente e aperto a tutti, dove qualsiasi visitatore era cliente a prescindere se comprasse qualcosa o meno, adesso invece i clienti vengono considerati consumatori a tutti gli effetti.

Sono insomma obbligati a consumare, dopodiché potranno ancora beneficiare – come è sempre stato – del refill gratuito di caffè. Dal 3 febbraio, chi non si adegua alle nuove regole potrà essere invitato ad uscire dal negozio.

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Londra: il cocktail più caro in Europa a 8800 euro al bicchiere

Viene servito a Londra e porta la firma della star dei barman, Salvatore Calabrese: è il Salvatore’s Legacy, un mix di storia e bottiglie uniche vintage. Negli Usa si trovano drink anche più costosi, ma farciti con perle e diamanti. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Lara De Luna per il quotidiano La Repubblica.

Il Salvatore’s Legacy servito a Londra

MILANO – Mix, mixology. Un’alchimia che da minimo due ingredienti – e si spera raramente più di 4 – crea una bevanda altra. E un mercato dal notevole valore economico. Ma il costo del drink è uguale alla somma degli ingredienti più la manodopera? Non sempre. Alcuni cocktail diventano piccole opere d’arte – per quanto effimera -, portando all’interno del calice qualcosa in più. Il racconto, la storia, il prestigio. Il lusso.

Elementi che uniti insieme possono far lievitare di molto il prezzo, fino ad arrivare a più di 7500 £ (circa 8800 euro) per un cocktail che profuma di storia. Il Salvatore’s Legacy – oggi regolarmente servito al The Donovan di Londra -, inventato dal barman superstar Salvatore Calabrese, è probabilmente il più caro in Europa.

Ma, tra cocktail vintage e stravaganze lussuose, non è decisamente il solo sull’Olimpo. E non solo perché ha da poco rubato lo scettro al Sazerac del Savoy di Londra, che rimane fermo a 5000£ (5900 euro, circa).

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World Nutella Day: il 5 febbraio si celebra con l’esposizione al Maxxi di Roma

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MILANO – Il 5 febbraio si festeggia in tutto il mondo il World Nutella Day. L’evento commemorativo è stato istituito per la prima volta nel 2007 da Sara Rosso, una blogger americana appassionata di Nutella, che amava talmente tanto la crema spalmabile di Ferrero da pensare di creare una giornata interamente a lei dedicata.

Il World Nutella Day

Da allora i fan di Nutella condividono storie, foto, ricette e ispirazioni sui social media ogni anno il 5 febbraio.

Quest’anno a Roma ci si spinge oltre con un evento speciale al museo di arte contemporanea Maxxi nel contesto dell’esposizione Joyn! che ripercorre i 60 anni di Nutella nata dal genio di Michele Ferrero nel 1964 ad Alba in Piemonte.

Nel corso della serata verrà inoltre presentata la nuova edizione del libro “Il nuovo mondo Nutella – 60 anni di innovazione” di Gigi Padovani, giornalista e scrittore.

UNIDO: presentato il progetto italiano per la sostenibilità della filiera del caffè in Africa

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UNIDO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale, ha presentato l’evento dedicato alla sostenibilità ”Who Pays? For the Implementation of Sustainability-Driven Regulations”.  Il progetto italiano introdotto si concentrerà sul miglioramento della resilienza climatica e della trasformazione nell’industria del caffè in Africa attraverso un approccio continentale alle sfide condivise del settore. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale d’informazione Onu Italia.

Il progetto italiano sulla sostenibilità della filiera del caffè

VIENNA – All’ Onu di Vienna l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale UNIDO ha organizzato l’evento ”Who Pays? For the Implementation of Sustainability-Driven Regulations”. Con le normative orientate alla sostenibilità sempre più adottate in vari paesi, le discussioni si sono concentrate sul loro impatto ambientale e sociale nelle catene di fornitura globali.

L’evento si è concentrato sulla domanda urgente: chi sostiene i costi di implementazione? In un esempio di dialogo multilaterale, relatori e partecipanti hanno visto la partecipazione di rappresentanti del settore pubblico, privato e non profit, dei paesi produttori e consumatori e di tutti i livelli della catena di fornitura. Riunendosi, hanno discusso non solo delle sfide per rendere le catene di fornitura più sostenibili, ma hanno anche proposto soluzioni pratiche e lungimiranti per affrontarle.

Il direttore generale dell’UNIDO Gerd Müller ha sottolineato nel suo discorso di apertura che rendere le catene di fornitura globali più eque e sostenibili è una priorità per l’UNIDO. “Abbiamo bisogno di una globalizzazione equa. Lo sfruttamento delle persone e della natura deve finire. Abbiamo bisogno di una maggiore creazione di valore locale nei paesi in via di sviluppo, prezzi equi e, soprattutto, standard sociali e ambientali vincolanti e applicati. Per questo dobbiamo supportare i fornitori e i produttori più piccoli nei paesi in via di sviluppo nell’implementare le normative sulla sostenibilità della catena di fornitura”.

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Cioccolato di Modica Igp: nel 2024 produzione a +3,8% e vendite a +12%

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Nell’anno del riconoscimento del Consorzio di Tutela sono stati prodotti oltre 347mila chili di cioccolato di Modica Igp, con un incremento del 3,8% rispetto al 2023. Nel 2024 sono state, inoltre, immesse in commercio 3.870.645 barrette di cioccolato di Modica Igp. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale d’informazione askanews.

Il cioccolato di Modica nel 2024

ROMA – Un incremento della produzione del 3,8% e delle vendite del 12%. Il 2024 per il Cioccolato di Modica Igp si è chiuso con volumi produttivi in crescita e un ottimo riscontro sia in Italia che all’estero. Nell’anno del riconoscimento del Consorzio di Tutela sono stati prodotti oltre 347mila chili di cioccolato di Modica Igp, con un incremento del 3,8% rispetto al 2023. Incremento che assume un significato particolare in corrispondenza del secondo anno di seguito nel quale si è registrato un aumento di oltre il 120% del cacao, ingrediente principale.

Nel 2024 sono state, inoltre, immesse in commercio 3.870.645 barrette di cioccolato di Modica Igp, con un incremento rispetto al 2023 di circa il 12% . Al 31 dicembre salgono pertanto a oltre 22 milioni e 700mila le confezioni di cioccolato di Modica Igp immesse in commercio dall’avvento della certificazione IGP. Per il Consorzio si tratta di “un risultato al di sopra di ogni aspettativa”.

Un dato rilevante proviene dall’impiego del cioccolato di Modica IGP quale ingrediente nei prodotti trasformati: sono infatti 396 i prodotti autorizzati ad utilizzare la denominazione “Cioccolato di Modica IGP” sulla base delle autorizzazioni concesse dal Masaf fino alla data di riconoscimento del Consorzio e cioè il 16 dicembre 2024. Decadute per effetto di tale riconoscimento, la Direzione Generale del Consorzio è già alle prese con la proroga delle precedenti autorizzazioni e con il rilascio delle nuove.

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Emanuele Tomassi: il viaggio dalla Danimarca a SIGEP 2025

MILANO – Dalla Danimarca a SIGEP World 2025: il viaggio di Emanuele Tomassi, uno dei punti di riferimento nel mondo della tostatura. Infatti, dopo essersi aggiudicato il titolo di Campione nazionale di roasting per ben due volte nel 2018 e nel 2024, anche quest’anno ha dimostrato la sua maestria, classificandosi al secondo posto. Una conferma che rafforza la sua reputazione e sottolinea il suo ruolo tra i più autorevoli del settore.

Per comprendere questa sua evoluzione, bisogna comprendere come nasce la passione di Emanuele Tomassi per la tostatura: la sua storia affonda le radici nella sua esperienza in Danimarca, dove ha iniziato il suo percorso in un ambiente innovativo e all’avanguardia. È stato lì che ha appreso i segreti della tostatura, perfezionando le tecniche che oggi applica nel cuore dell’Italia, con la Tomassi Coffee.

Durante il SIGEP World 2025, Emanuele ha saputo trasformare le sue competenze in un’opportunità per presentare non solo la qualità delle sue tostature, ma anche la filosofia che guida ogni chicco prodotto da Tomassi Coffee. La sua attenzione alla selezione delle materie prime, la ricerca di profili aromatici unici e la capacità di innovare, sono stati i punti cardine della sua partecipazione alle cinque giornate del SIGEP 2025.

Tuttavia, il successo della Tomassi Coffee Roaster non si limita a Emanuele.

La forza del marchio risiede anche nel suo team, che condivide la stessa passione e dedizione. Quest’anno, il gruppo ha partecipato a numerose competizioni di altissimo livello, quali la gara Barista, la gara Brewers Cup e la gara Cezve/Ibrik dove André Tomassi (figlio di Emanuele) ha agguantato il secondo posto.

André Tomassi in azione (immagine concessa)

Questo risultato rappresenta non solo una continuità generazionale, ma anche la dimostrazione di come l’eredità di Tomassi Coffee sia destinata a crescere e innovare.

Un lavoro di squadra ben rodato, in cui la condivisione di conoscenze e la ricerca del nuovo sono al centro di tutto.

Tomassi Coffee è il perfetto equilibrio tra tradizione e modernità, dove ogni tazza di caffè racconta una storia fatta di dedizione, passione e continuo perseguire della perfezione.

Per le due discipline di Cezve/Ibrik e Brewers cup, il team ha selezionato un caffè di Mikawa Coffee, proveniente dalla regione di Risaralda, in Colombia, coltivato a 2000 metri di altitudine.

Che stato scelto per la sua varietà (Geisha) ed il suo profilo aromatico complesso. Grazie al metodo di lavorazione, una fermentazione anaerobica con CO2 per sette giorni, seguita da una essiccazione lenta su letti africani, si è riusciti ad esaltare le note fruttate e floreali con i metodi di estrazioni scelti per le competizioni. Ed infine ovviamente, la gara di tostatura.

Competizione che si distribuisce in tre giorni di prove su varie prove che fanno parte delle operazioni giornaliere in una torrefazione: la verifica del caffè verde e di eventuali difetti, i test dei campioni di caffè, gli assaggi, la creazione di un profilo adatto a quel tipo di caffè, la sua esecuzione ed infine l’assaggio finale della tostata.

Emanuele, durante la gara, ha sfruttato tutta la sua esperienza e conoscenza sia della materia prima che delle attrezzature per ottenere e tostare al meglio il single origine Ethiopia Mirado Daya Bensa Washed.

La bellezza delle gare sta nel superare anche imprevisti ed errori che possono accadere. Un piccolo disguido può costare punti preziosi e compromettere il piazzamento finale, ma non bisogna mai abbattersi e perdere la concentrazione.

Come dice Emanuele “Scelgo, per ogni caffè, il profilo di tostatura adatto per poter esaltare al meglio le note aromatiche di quel caffè. Per questo prediligo adattare e differenziare le tostature in base al metodo di estrazione a cui saranno destinate: espresso o filtro per esempio. Ogni tostata rappresenta per me la possibilità di ottenere dei profili diversi avendo sempre in mente se un caffè dovrà essere lavorato per espresso o per altri metodi e anche il tipo di palato che lo assaggerà. Questa per me è la vera magia che sta dietro al mestiere e all’artigianalità del tostatore“.

Emanuele e il suo team lavorano ogni giorno per informare e formare i clienti della torrefazione e far capire che il momento caffè è un’esperienza unica. Così come il viaggio di Emanuele dalla Danimarca all’Italia, anche ogni chicco di caffè ha una storia da raccontare che narra di terre e popoli lontani che si uniscono. Una storia che si conclude con un’esperienza sensoriale differente, dentro ogni tazza.

Gianluigi Goi: “L’espresso in Italia? Evviva! De gustibus non est disputandum”, una analisi

Gianluigi Goi è un nostro lettore nonché giornalista specialista di agricoltura di fama riconosciuta. Goi è affezionato a queste pagine alle quali, con la sua lunghissima esperienza e il suo punto di vista, ha contribuito diverse volte proponendo contenuti sempre interessanti. Questa volta Goi analizza la situazione dell’espresso in Italia dalla puntata di Report di Rai3 fino al marchio di tutela Espresso STG Specialità Tradizionale Garantita. Leggiamo di seguito la sua opinione.

La situazione dell’espresso in Italia

di Gianluigi Goi

MILANO – “Evviva! Un’affermazione controcorrente importante addirittura in latino. Roba da non credere in tempi di parossistica esterofilia linguistica: “De gustibus non est disputandum”, i gusti non si discutono, ma si accettano. Autore di questa affermazione storicamente risaputa ma del tutto ignorata e negletta dai soloni delle discipline sensoriali – ho volutamente scritto discipline e non scienze – è Antonio Malvasi, autore di Barista Sapiens, giurista e docente, che su queste pagine ha, lo scorso 12 gennaio, pubblicato l’articolo “Antonio Malvasi in risposta a Report di Rai3: “Uniti per riconoscere il marchio di tutela Espresso STG specialità tradizionale garantita”.

Faccio mio, seppur consapevole di contare personalmente come il due di coppe con briscola di bastoni, l’appello del “barista sapiens” in quanto la proposta dell’Espresso SGT mi sembra assolutamente di buonsenso – merce oggi rara – e soprattutto si rivolge ai consumatori, i grandi assenti, purtroppo, nella fin troppo confusa e affollata arena del caffè. “Tutti insieme – appassionatamente quindi – per l’Espresso SGT e sottolinea Malvasi: “ci guadagna l’Italia, gli italiani, i baristi, i torrefattori, gli importatori e soprattutto i clienti che accetterebbero di pagare un espresso anche 2 euro sapendo che è estratto e garantito secondo quanto stabilito dal disciplinare”.

La denominazione STG, quando approvata – esemplifica Malvasi – è marchio valido in tutta l’Unione europea e “tutela la tipicità di un prodotto in virtù della ricetta o del metodo di produzione tradizionale. Il metodo di produzione dell’espresso è (indiscutibilmente: ndr) italiano e risale a circa un secolo fa”.

In altre e poche parole, l’SGT “tutelerebbe il metodo d’estrazione, la sua tradizionalità sull’intero territorio nazionale, il suo forte ed iconico legame culturale con il popolo del Bel Paese”.

antonio vincenzo malvasi
Antonio Malvasi, coautore del libro Barista Sapiens, giurista e docente (immagine concessa)

Per quanto concerne la vexata quaestio – per continuare con la suggestione del latinorum – della qualità dell’espresso (sono sempre parole di Malvasi) se “ai napoletani e parte degli italiani piace bere un espresso amaro, astringente, con odori e aromi di bruciato, in una tazza super bollente, è una loro libera scelta.

Non commettono mica un reato. E gli altri se ne facciano una ragione … si è stati abituati a quel tipo di espresso”: ammesso e non necessariamente concesso, aggiungo io, che sia stato un errore.

L’imposizione da parte di una critica molto agguerrita, indiscutibilmente ‘saputa’ ma troppe volte arrogante, di un espresso per così dire ‘radical chic’ (oggi una parolaccia!) “poco cremoso, con odori floreali, speziati, con spiccata acidità, come se fosse l’alternativa ad un’abitudine immorale e vergognosa della stragrande maggioranza degli italiani” si è rivelata e si rivela, sic et simpliciter, un grande flop.

“Siamo tutti consapevoli – chiosa Malvasi – che l’italiano medio beve l’espresso in pochi secondi – non a caso si chiama “espresso”, sottolineiamo noi – si accerta che ci sia la crema, si inebria degli odori e aromi tipici di tostati, è consapevole dell’innato gusto amaro, che smorza con lo zucchero e poi si attende quel regalo, l’essenza dell’Espresso, ovvero la carica di energia e di tonicità donata dalla caffeina”.

Il dottor Ernesto Illy, grande figura di scienziato e chimico del caffè, imprenditore straordinario e uomo di assoluto carisma, anche a chi scrive ebbe modo di sottolineare che gli italiani, soprattutto al mattino, cercano caffeina e incidentalmente bevono caffè. Per quanto concerne il gusto amaro gradito a molti a fine pasto, va pur ricordato che dei cosiddetti “Amari” (liquori alcolici di varia gradazione e tipologia) è letteralmente pervasa tutta la Penisola.

Un altro articolo dell’8 gennaio, sempre qui su Comunicaffè, a firma del conte Giorgio Caballini, presidente del Consorzio di tutela del caffè espresso tradizionale titolato “La candidatura del rito dell’espresso italiano a patrimonio Unesco, questione diventata ormai di principio” – ci offre lo spunto per alcune considerazioni semplicemente scorrendo la cronistoria del Consorzio.

Inizio dell’attività il 15 settembre 2014; 2016: per la prima volta si concettualizza “Il caffè espresso italiano tradizionale”; 2019: la CNIU (Commissione Nazionale Italiana Unesco) sostenuta dal ministero dei Beni Culturali decide di riassegnare la candidatura al ministero delle Politiche Agricole Alimentari Forestali e del Turismo (l’attuale MASAF); 2020: nasce la “Comunità del Rito (Arte) del caffè espresso italiano tradizionale” accompagnato dalla Carta dei Valori.

Ma “Rito” ed “Arte” sono paroloni molto impegnativi da spiegare ed utilizzare in un ambito come questo che non è di studi sociologici raffinati sostanzialmente per pochi intimi, ma di lavoro allargato a categorie diverse; 2021: inizio trattative con la variegata realtà caffeicola napoletana.

Sostanzialmente si confrontano la proposta iniziale del Consorzio “Il Rito e l’Arte del Caffè Espresso Italiano” con quella partenopea “Il caffè napoletano fra rito e socialità” avanzata nel 2019 dalla “Comunità emblematica napoletana” (dicitura colta quanto fumosa) rappresentata dall’Associazione Gran Caffè Gambrinus, dall’Associazione Espresso Napoletano e dall’Accademia Medeaterranea.

Secondo noi astruserie colte quanto inconcludenti sul piano pratico e sostanziale paravento di interessi locali.

Di qui la necessità della ricerca di un compromesso che, nel 2021, si sostanzia nel documento “Il caffè espresso italiano tra cultura, rito, socialità e letteratura nelle comunità emblematiche tra Venezia e Napoli”.

Difficile capirne il significato e obiettivamente impossibile pensare di presentare simile documento ai rappresentanti dell’Unesco con un minimo di possibilità di accoglimento.

Goi continua: “Ergo, secondo noi opportunamente, nel 2022 il Gruppo di lavoro CNIU attivo nel ministero dell’Agricoltura ha deciso di cassare e non inoltrare questo documento tanto pretenzioso e complicato. Come dire, con il vecchio proverbio, che chi troppo vuole nulla stringe. Di emblematico in questa vicenda assolutamente dolorosa e nociva per la comunità del caffè italiano nel suo insieme e alla quale si dovrà cercare di mettere una qualche pezza in questo 2025, resta la constatazione che le sceneggiate non vanno oltre il pittoresco, possono anche stufare e qualche volta inducono persino ad evitarle”.

Goi: “Per concludere, ciliegina sulla torta, riportiamo – sempre da Comunicaffè del 16 gennaio di quest’anno, dal sommario dell’articolo “Cognini, Neroespresso riflette sullo specialty in Italia: “Ha senso vendere qualcosa che non piace ai consumatori?” “Cognini: Se ne parla spesso, ma il problema è che tutti noi operatori impegnati a spiegare il contrario con corsi e dimostrazioni, ci confrontiamo infine con il consumatore finale che desidera sempre l’amaro e il bruciato. E’ un punto importante di discussione, che non riesco bene a risolvere”.

Meditate gente, meditate”.

                                                                                                               Gianluigi Goi