giovedì 18 Aprile 2024
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Saeco, la crisi della fabbrica del caffè simbolo di un Paese a due velocità. E il confronto con De Longhi…

La Philips vuole spostare il montaggio in Romania e tenere il commerciale in Emilia. I commercianti di Gaggio, come nella Torino anni 80, hanno abbassato le saracinesche. Ma nel trevigiano la De Longhi fa utili e produce un milione di macchine

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Dario Di Vico, analista per il Corriere della Sera di eventi economici legati al lavoro, ha scritto questo commento-indagine sul caso Saeco – Philips. Ve lo proponiamo ricordando che il prossimo incontro al ministero del lavoro per risolvere la vertenza è fissato al 18 gennaio.

di DARIO DI VICO*

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Nonostante il rischio neve gli operai della Saeco di Gaggio Montano, grazie alla roulotte prestata dalla Protezione Civile, hanno tenuto fermo il presidio h24 della fabbrica contro i 250 licenziamenti decisi dai proprietari olandesi della Philips.

La vertenza è iniziata a fine novembre e continua ad avere un impatto molto forte sul clima politico-sindacale di Bologna, distante solo 50 chilometri. Si sono inerpicati fino all’Appennino sia il sindaco Virginio Merola sia il neo-arcivescovo Matteo Maria Zuppi e il presidente della Regione Stefano Bonaccini ha trascorso nello stabilimento l’ultimo dell’anno.

E nella conferenza stampa del 29 dicembre anche Matteo Renzi ha fatto un velocissimo accenno al caso.

L’impianto della Saeco di Gaggio fa macchine domestiche per il caffè, dà lavoro da sempre a 550 dipendenti e la Philips è subentrata dal 2009 a un fondo francese di private equity. Gli olandesi dopo anni di produzione a singhiozzo, con tanta cassa integrazione, sono giunti alla conclusione che è meglio lasciare in Emilia ideazione e commerciale e portare il montaggio in Romania.

Nel settore degli elettrodomestici quella della Saeco non è la prima vertenza dura degli ultimi anni, basta ricordare i casi Electrolux e Whirlpool, a confronto di lavatrici e frigoriferi però l’assemblaggio delle macchine del caffè è una lavorazione a minor valore aggiunto e pertanto la differenza del costo del lavoro pesa ancora di più.

Ma i licenziamenti della Saeco nella stagione della ripresa e del Pil che dovrebbe cominciare a correre ci raccontano il lato amaro di questa stagione dell’industria italiana.

La ripartenza, quando si sarà manifestata anche più robusta di come appare oggi, non sarà una sanatoria, non impedirà un’ulteriore scrematura dell’apparato industriale italiano con quello che ne consegue in esuberi, chiusure e vertenze.

Non è entusiasmante sottolinearlo, ma tra tante imprese-lepri che sfondano nell’export ce ne sono altrettante – e forse di più – che non hanno saputo reagire ai mutamenti dei mercati. E un giorno o l’altro dovranno saldare il conto con le loro inefficienze e le loro pigrizie.

Come detto il caso Saeco a Bologna fa discutere animatamente. Capita così che i politici locali si improvvisino esperti di politica industriale e lancino fantasiose ipotesi alternative, succede anche che la Fiom locale per una volta vada d’accordissimo con il ministro (bolognese) Federica Guidi e le manifestazioni di sostegno da novembre ad oggi non hanno avuto cali di tensione.

In città caso mai c’è qualcuno che maliziosamente mette a confronto la visibilità della vertenza Saeco con il pudore che avvolge il caso Coop Costruzioni, 300 lavoratori senza lavoro per il crac dell’azienda che hanno ottenuto in zona Cesarini un anno di cassa integrazione.

Comunque mentre Bologna, dopo i successi di attrazione del Suv Lamborghini e dell’impianto Philip Morris, si candidava a insidiare Milano come hub delle multinazionali in Italia, gli olandesi della Philips stanno guastando la festa.

Nei rapporti con il ministero dello Sviluppo economico finora sono stati arroganti, non hanno prodotto motivazioni e numeri certi e così in Emilia sono diventati il diavolo. Il governatore Bonaccini si è spinto addirittura a minacciare ritorsioni contro gli stranieri che vengono in Italia a depredarci dei nostri marchi.

In realtà l’avvento delle cialde pronte ha rivoluzionato il mercato e sono entrati in gioco direttamente i grandi brand del caffè e comunque il confronto con i concorrenti della De Longhi è impietoso.

I veneti producono un milione di pezzi l’anno e vanno a gonfie vele, Saeco solo centomila e hanno problemi enormi di produttività ed efficienza. A Gaggio c’è un’altra azienda del gruppo che fa i grandi distributori automatici di caffè – quelli da ufficio – e va bene perché il prodotto è più complesso, l’investimento negli impianti fissi più consistente e non si può delocalizzare in quattro e quattr’otto.

Vedremo come andrà a finire una vertenza che ha il sapore delle «eroiche battaglie» del sindacalismo del ‘900 e sulla quale la politica bolognese ha messo la faccia.

A Gaggio, sull’Appennino a 700 metri di altitudine, un abitante su due deve il suo reddito alla Saeco e i commercianti, come nella Torino anni ‘80, hanno abbassato le saracinesche in segno di solidarietà con gli operai e aspettano notizie da Roma.

Dopo la Befana, il 18 gennaio, al ministero la Philips dovrà uscire allo scoperto, si capirà qualcosa di più e dovrebbe iniziare una vera trattativa. Nessuno al tavolo potrà dimenticare che un operaio rumeno costa quasi la metà di un italiano ma nei casi Electrolux e Whirlpool, pur differenti, alla fine una mediazione s’è trovata. C’è da sperare che sia onorevole.

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