Condividi con noi le tue storie legate al caffè scrivendo a direzione@comunicaffe.it.
MILANO – Dopo l’anteprima avvenuta al Salone internazionale del libro di Torino, Valentina Palange (nota sui social come SpecialtyPal), ha portato il suo “Il caffè in Italia fa schifo” edito da Giacovelli Editore, a Milano, in via Gaetano Giardino 5, dentro il futuristico Ecosistema, creatura dello chef Luigi Cassago (di cui si era già parlato qui).
Si parte subito dal titolo.
Il caffè in Italia fa schifo: provocatorio
“Ne serviva uno che catturasse l’attenzione” spiega l’autrice. E soprattutto, divisivo. Forte. “E’ stato al quinto capitolo – racconta Palange – che è arrivata l’illuminazione”.

Il caffè in Italia fa schifo, vuole essere un monito per un pubblico che, svela la stessa autrice, ha scoperto essere più allineato a quello che voleva sottolineare, di quanto non si aspettasse: fin qui le reazioni hanno visto dei lettori che hanno condiviso la stessa esperienza, l’allontanamento progressivo dal caffè al bar perché cattivo, o il gesto comune di aggiungere lo zucchero per correggerne il sapore bruciato.
Il percorso di Valentina Palange è quello di molti
Che hanno bevuto per tanto tempo espressi cattivi, fino a quando hanno detto basta. Ed è proprio al consumatore medio che “Il caffè in Italia fa schifo” si rivolge – sempre un po’ una novità quando si parla di specialty coffee o di caffè di qualità – che viene introdotto a diverse preparazioni, ai temi più legati al consumo di caffeina e la salute dell’organismo, sino alla valorizzazione della figura del barista.
Quindi, perché il caffè in Italia fa schifo?
E qui si apre il vaso di Pandora: innanzitutto a causa della scarsa pulizia dele attrezzature, macinino e macchine in primis. Ed è il consumatore finale che dovrebbe iniziare a chiedere a chi sta dietro al bancone informazioni rispetto a quello che sta bevendo.
Anche il sistema dei finanziamenti è un ostacolo, insieme all’ignoranza di quest’ultima parte della filiera. Focus anche sull’ospitalità, una capacità che dovrebbe essere curata maggiormente nei locali: “Basta anche solo un sorriso, un saluto” dice Palange. Superando la rigidità di molti specialty coffee shop, che quasi risultano respingenti nel racconto.
Servito durante la presentazione da Davide Spinelli e scelto da Mirabilia, il Sofa blend tostato da Simona Rey di Hub Coffee Lab (un 60% Brasile, 30%Guatemala e 10% Perù), erogato da una Linea Micro La Marzocco affiancata da un macinino Anfim.

Perché le miscele specialty possono esistere, così come ci sono sul mercato dei caffè più commerciali che però sono buoni – insiste Palange “Perchè dietro a qualsiasi prodotto ci sono le persone che lavorano, sempre”.
Capitolo consumo domestico

La discussione scivola tra gli scaffali del supermercato, sia italiani che stranieri: il confronto non lascia molti dubbi. Palange: “Il caffè nella gdo solidamente è mediocre, all’estero c’è scelta di tutti i tipi, dal liofilizzato allo specialty”.
E intanto che l’autrice invita a provare la vecchia cara moka – ovviamente usata e trattata adeguatamente, possibilmente in acciaio – per avvicinarsi agli specialty, lo chef Luigi Cassago riempie l’aria della sala con profumi appetitosi. Uno dei primi che ha scelto di servire specialty nel proprio locale, già nel 2019.

E in questa occasione, il caffè diventa ingrediente, sia per insaporire lo spinacino al posto del sale, sia per conferire un’acidità floreale alla salsa di condimento.
E così, il caffè è servito.
Anche se, in Italia, fa schifo.
O forse no?