mercoledì 10 Aprile 2024
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Cristina Caroli sul rincaro-tazzina: “Non esiste una tariffa unificata del caffè del vino o dell’olio: dipende da qualità e dalla varietà”

L'esperta del chicco: "Cari signori di Assoutenti, chi lo ha deciso che il prezzo del caffè deve essere inferiore a 1 euro a tazzina? Quale carta costituzionale mette il caffè tra i diritti inalienabili dell’essere umano … a non più di 99 centesimi? Perché adeguamenti che sono stati assolutamente necessari e imprescindibili solo per pagare le bollette, o i costi del personale sarebbero da censurare? Perché li definite “Un danno evidente per le tasche dei 5,5 milioni di italiani che tutti i giorni fanno colazione nei bar dislocati sul territorio”

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MILANO – Si continua a parlare dell’aumento del prezzo del caffè con l’articolo pubblicato dal quotidiano La Stampa che riporta la denuncia di Assoutenti, il quale, afferma, la tazzina costa agli italiani circa 720 milioni di euro all’anno in più rispetto al 2021. L’articolo riporta la lista delle città in cui l’espresso è più caro con Bolzano in cima, caratterizzata da una media di 1,34 euro a tazzina. La città più economica risulta Messina, con 0,95 euro ad espresso.

Cristina Caroli, tra le figure di spicco della coffee community grazie anche ai ruoli istituzionali ricoperti in Sca Italy, esprime la sua opinione sull’articolo, spiegando come l’aumento di fatturato non sia altro che un’ovvia conseguenza innescata dalla crisi del periodo Covid.

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“E’ ovvio che ci sia stato un’aumento dei fatturati, di 720 milioni rispetto ad un’anno di crisi nera: nel 2021 i fatturati erano crollati, si poteva solo ripristinare un flusso” afferma l’esperta del chicco.

Caroli si spinge oltre spiegando come, nella classifica, non venga menzionato l’importante metro di paragone della qualità che dovrebbe essere più importante del prezzo ma che, troppo spesso, viene trascurato.

Leggiamo di seguito l’opinione di Cristina Caroli.

Caro-tazzina: l’assassino è sempre il maggiordomo (ovvero il barista)

di Cristina Caroli

Domenica 24 settembre, il quotidiano online La Stampa dedica un momento di giornalismo d’inchiesta pruriginosa per informare il pubblico di rincari “sostanziosi” e listini “salati” per la tazzina da parte dei soliti esercenti arraffoni.

Il tutto parte da una cosiddetta “denuncia” (ma a chi?) di Assoutenti che tuona “una vera stangata: la pausa-caffè costa oggi ai cittadini la bellezza di 720 milioni di euro in più rispetto al 2021, con un giro d’affari per l’espresso che passa dai 6,24 miliardi di euro di due anni fa ai quasi 7 miliardi di euro del 2023”.

La ragione dietro il caro-tazzina

Peccato che l’aumento di 720 milioni di euro strombazzato in pompa magna si riferisca alla differenza tra 2021 – anno nel quale erano ancora in vigore le famose zone, ovvero si era in piena crisi Covid, ad oggi in cui vi è stata una normalizzazione dei flussi.

E’ ovvio che ci sia stato un’aumento dei fatturati, di 720 milioni rispetto ad un’anno di crisi nera: nel 2021 i fatturati erano crollati, si poteva solo ripristinare un flusso.

Peccato che questo dato, di una ovvietà imbarazzante, venga strumentalizzato e ripreso da altri organi d’informazione nazionale per ottenere un quadro di impennata di prezzi e spacciarsi da analisti e presunti paladini degli interessi violati. Un fatto davvero increscioso

I toni invece sono quelli tipici con i quali si sbatte il mostro in prima pagina, in cui la fanno da padrone cifre da capogiro difficilmente interpretabili dagli utenti visto che parliamo di un biennio a base nazionale miste a percentuali da emeriti studiosi di statistica applicata qua e là.

Ma tant’è. Basta e avanza il sospetto dell’ingiustizia caffeicola per promuovere all’onore della stampa il parere unilaterale di Assoutenti – associazione che parrebbe doversi occuparsi di ben altri soprusi e scagliarsi nei confronti di altri attori: pubblica amministrazione, evasione fiscale, trust assicurativi, banche, utenze, trasporti e molto, molto altro.

Il che, a mio avviso richiederebbe tutta la forza associazionistica, anziché disperderla nei rivoli di una polemica in cui l’assassino è sempre il maggiordomo – ovvero il barista.

Nella presunta denuncia, Assoutenti avverte i consumatori che solo nei bar di tre città italiane, Catanzaro, Reggio Calabria e Messina, si può ancora consumare un espresso a prezzi inferiori a 1 euro a tazzina…

Lo so, pensavate già di trasferirvi per colazioni al risparmio, ma attenzione allo psicodramma: poche righe più sotto, nell’implacabile J’accuse della Associazione, leggiamo “A Catanzaro il prezzo sale in due anni da 0,80 a 0,99 euro, facendo segnare un +23,8%. “ Male, molto male… e noi che ci eravamo fidati della convenienza a Catanzaro.

Ma, cari signori di Assoutenti, chi lo ha deciso che il prezzo del caffè deve essere inferiore a 1 euro a tazzina? Quale carta costituzionale mette il caffè tra i diritti inalienabili dell’essere umano … a non più di 99 centesimi?

Perché adeguamenti che sono stati assolutamente necessari e imprescindibili solo per pagare le bollette, o i costi del personale sarebbero da censurare? Perché li definite “Un danno evidente per le tasche dei 5,5 milioni di italiani che tutti i giorni fanno colazione nei bar dislocati sul territorio”.

Cari signori di Assoutenti e carissimi giornalisti dei quotidiani nazionali, lasciate che vi racconti una storia. Anzi due”.

La prima storia di Cristina Caroli

“Durante gli anni della epidemia Covid noi baristi, quelli che dipingete come svaligiatori delle tasche degli italiani, dopo essere stati chiusi per mesi senza un solo incasso, ripeto zero (provateci voi) ce ne stavamo in piedi a guardare una porta che non si apriva e consumatori che non arrivavano più, tra zone gialle, arancioni, a strisce e a pallini e una intera economia dell’Italia al bar in frantumi.

È stato allora che sono arrivate le banche, accompagnate da una promozione statale di presunti aiuti, è stato lì che abbiamo firmato, disperati, sottoscrivendo mutui a tasso fisso, ma era per un solo anno e poi sono diventati variabili … sarà una procedura corretta?

Sarei lieta di avere un vostro studio Signori di Assoutenti, in merito agli aumenti dei mutui per gli imprenditori dal 2021 ad oggi, gradirei moltissimo l’elenco delle banche che hanno applicato i tassi peggiori, delle aziende di erogazione di luce, gas e acqua che hanno taglieggiato e fatto fallire attività di caffetteria con bollette da decine di migliaia di euro di cui ha parlato tutto il mondo.

Perché nel caso di tariffe come quelle bancarie e come quelle delle utenze mi permetto di farvi notare che il “perfino” il barista è un consumatore, fino a prova contraria”.

La seconda storia di Cristina Caroli

Non esiste una tariffa unificata del caffè, come pure non esiste un solo caffè ma esistono varietà e provenienze, esattamente come per vino, formaggio, dell’olio e tutte le produzioni agricole.

Non credo che le associazioni e la stampa generalista abbiano mai pensato di porre un limite di un euro per un calice di vino o per una fetta di formaggio.

Ritengo un atto di presunzione voler “prezzare” tutti i professionisti, tutte le più diverse offerte, e soprattutto tutte le tipologie e le varietà di caffè che esistono, inglobandole all’interno di un’unica idea di prezzo che si ritiene opportuno pagare.

Non esiste il prezzo unico definito da chicchessia per nessuna delle cose o dei beni agricoli che vengono commercializzati a qualunque livello o utilizzati all’interno dei circuiti di ristorazione e accoglienza.

Il troppo o il poco sono assolutamente relativi e se si volesse parlare di caffè, argomento di questa presunta indagine, bisognerebbe cercare di sapere qualche cosa di più del settore e dei soggetti imprenditoriali che si accusano, nonché del bene che si vuole classificare.

Quando associazioni, stampa generalista, televisione e altre fonti di informazione ritengono di voler definire il prezzo giusto di una tazzina di caffè pari ad 1 euro, o preferibilmente meno, dovrebbero prima di tutto cominciare a comprendere che il caffè non nasce dentro la tazzina e nemmeno dentro al barattolo di casa.

Da qualche parte nel mondo c’è un agricoltore che coltiva quel bene che voi non siete disposti a pagare oltre una certa cifra, e che quindi per essere venduto a quella cifra viene prima di tutto sottopagato ad una persona che zappa la terra per dare da mangiare i suoi figli

Da quel campo fino alla tazzina c’è una filiera intera, persone, industrie, imprenditori, dipendenti. Ultimo e non ultimo c’è lo Stato con la sua pressione fiscale e contributiva, se vi pare poco.

Quando con un ragionamento brutale si fissa arbitrariamente un tetto di un euro si decide di negare, dalle differenze qualitative del prodotto a qualunque esigenza di tutti coloro che con il loro lavoro stanno a monte di quella tazzina.

Ci si limita a comunicare l’immagine distorta di un bene che tutti vogliono per diritto, ma al quale non si vuole riconoscere il valore che ha: è una tazzina di qualità? E’ servita in modo appropriato? Il locale è consono? Si sdogana il “ti do questo e non un soldo di più”.
Una cosa molto volgare e pericolosa.

Non è difficile immaginare cosa genera una compressione dei prezzi: scadimento della qualità, condizioni di lavoro pessime per non parlare di sommerso e altri espedienti per fare quadrare i conti a discapito della logica e della realtà.

Posso assicurare che i consumatori sono più che disposti a spendere cifre ben più alte per prodotti molto meno raffinati di una ottima tazza di caffè, semplicemente perché nessuno gli ha messo in testa che il prezzo che pagano sia ingiusto.

Ma sull’espresso e sui baristi è così facile… come sparare sulla croce rossa, tanto qualcuno ci crede sempre”.

                                                                                                               Cristina Caroli

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