MILANO – L’anno scorso il primo negozio a Bergamo. Quest’estate lo sbarco nel parco della Villa reale di Monza. Il prossimo obiettivo: Milano. Il gelato all’azoto di Marios Gerakis, pasticciere e titolare di Al d. mangiami, prende piede.
«Di primo acchito incuriosisce l’atmosfera magica, alla Harry Potter», racconta Gerakis, ma la bottega è in realtà un laboratorio tecnologico, con il mantecatore ad azoto liquido.
«Il valore aggiunto per me non è l’azoto, lo considero un coadiuvante tecnologico, ma la pulizia dell’etichetta: produciamo gelato senza additivi o grassi del latte e della panna».
Neanche il gelato biologico è così?
«L’Ue prevede per gli alimenti bio una deroga proprio per il gelato e accetta gli additivi. Noi li abbiamo superati con l’azoto. La conseguenza è l’assenza di quella sensazione di secchezza in bocca, che provoca sete. Inoltre il gelato è più digeribile e ha un gusto più deciso».
Vi sono arrivati ordini dall’estero?
«Ci hanno contattato, ma dobbiamo dividere l’estero in due parti. Nel mondo anglosassone il gelato all’azoto è diffuso, ma il gelato viene fatto in lavorazione estemporanea: lo ordini, te lo preparo e lo devi consumare subito. Ad esempio, non si può portare a casa una vaschetta. Noi siamo gli unici ad aver superato questo ostacolo, quindi lo prepariamo al mattino e lo vendiamo a una cifra identica alle altre gelaterie. Ed ecco che veniamo al mondo latino, dove il gelato all’azoto non si è sviluppato per la velocità del servizio».
Come avete costruito il mantecatore?
«Quando abbiamo aperto, lavoravamo il gelato a mano. Preparavo due litri per volta, una quantità per 15 coppette. Era diventato faticoso, allora con mia moglie ci siamo spremuti le meningi e abbiamo costruito una macchina che esegue degli automatismi. Negli Stati Uniti vendono mantecatori ad azoto, sono delle planetarie con un beccuccio. La nostra è diversa. E sostenibile: un mantecatore tradizionale lavora per 15 minuti consuma 3 kilowattora, il nostro 5-6 minuti per 350 watt. Un tradizionale usa 20 litri di acqua per un litro di gelato, il nostro zero».
Come le è arrivata l’illuminazione?
«Avevamo aperto un ristorante in Italia, vendevamo anche gelati. Un giorno ho letto la lista degli ingredienti e ho scoperto che era piena di «schifezze»… se penso che davo gelato a mia figlia di 7 anni allora. Quindi ho deciso di fare un gelato che non contraddicesse la definizione di alimento sano. La chimica agguerrita non è necessaria, serve a rendere la vita del gelataio più facile. E dagli studi del professore di fisica Davide Cassi dell’università di Parma ho avuto l’illuminazione. Un gelato convenzionale alla frutta è composto da 15 ingredienti, noi ne abbiamo tre».
Lei dimostra che anche in un settore tradizionale come la gelateria si può fare innovazione
«Negli ultimi 40 anni nel settore non era successo niente, è un mondo appiattito. Ci sono stati un miglioramento delle macchine, gusti strani, nuove basi senza proteine animali. Noi abbiamo introdotto un prodotto nuovo, conservabile, tanto che siamo l’unica impresa italiana di trasformazione del cibo iscritta all’albo delle imprese innovative».
Novità sui gusti?
«Voglio aumentare la produzione di gusti senza latte, per ragioni organolettiche».
Luca Zorloni