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“Bere caffè, tè e vino fa bene alla salute dei batteri intestinali”

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MILANO – Ecco una delle notizie che vorremmo sempre leggere. Tra l’altro un annuncio che era stato ampiamente anticipato nel corso del convegno milanese promosso dal Consorzio Promozione caffè dal professor Luca Piretta, gastroenterologo e nutrizionista dell’Università Campus Biomedico di Roma.

Sì perché bere caffè, tè e vino aiuta a mantenere sani i batteri intestinali buoni. Lo ha chiarito un gruppo di ricercatori dell’Università di Groninga, nei Paesi Bassi, in uno studio pubblicato sulla rivista Science.

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A questo proposito il professor Piretta aveva precisato: “Oltre ai ben conosciuti effetti della caffeina contenuta nel caffè sullo stato di vigilanza e concentrazione e sulle performace fisiche (resistenza), tra i vari fronti della ricerca uno certamente molto sorprendente è quello relativo al nostro “secondo cervello”, l’intestino. Infatti si è scoperto che l’intestino possiede numerosissimi recettori del gusto amaro, che inviano segnali al cervello per ridurre l’appetito e rallentare lo svuotamento gastrico. Il caffe, ricchissimo di sostanze amare, potrebbe rivelarsi anche attraverso questa via un importante alleato della salute”.

Su questo tema il professor Piretta ha chiarito che “Da alcuni anni la ricerca scientifica ha infatti permesso di scoprire l’esistenza dei recettori del gusto lungo tutto il tratto intestinale e perfino sul pancreas. In particolare sono stati osservati i recettori del gusto dolce, del grasso e del gusto amaro. I recettori del gusto amaro sono decisamente più complessi e articolati, tanto da avere un famiglia di oltre 25 geni deputati alla loro espressione”.

“Recenentemente – ha aggiunto Piretta – si è messa in relazione la stimolazione di questi recettori con la produzione di alcune sostanze (come il GLP-1, Glucagon-Like Peptide-1 e la CCK, colecistochina, ormone gastrointestinale) che notoriamente agiscono a livello del sistema nervoso centrale riducendo l’appetito e a livello gastrico riducendo la velocità del suo svuotamento”.

Ma torniamo alla ricerca degli scienziati olandesi. Che sono partiti da un dato noto da tempo: quello che una persona mangia o beve influenza i batteri intestinali. Quelli buoni hanno effetti anti-infiammatori, contrastando l’azione dei batteri cattivi che promuovono invece l’infiammazione.

Mantenere l’equilibrio tra i batteri buoni e cattivi nell’intestino diventa quindi importante per la salute.

Ora i ricercatori olandesi hanno scoperto che una tazza di tè o di caffè, e un bicchiere di vino può aiutare a mantenere sani i batteri buoni. Questo mentre tutte le persone che consumano regolarmente yogurt o latticello hanno anche una maggiore diversità di batteri intestinali. Mentre, il latte intero e le diete ad alto contenuto di calorie possono compromettere questa diversità. Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori hanno coinvolto persone sane, anziché malate.

In particolare, si sono focalizzati sulle risposte a questionari sulla dieta, sulle prescrizione di medicine e sulla salute di 1.100 persone. I ricercatori hanno inoltre analizzato il Dna del loro intestino da campioni di feci. “Normalmente i ricercatori studiano solo una particolare regione del Dna in cui si possono distinguere diversi gruppi di batteri”, ha spiegato Cisca Wijmenga, che ha coordinato lo studio.

“Noi abbiamo mappato tutto il Dna batterico – ha continuato – per ottenere informazioni piu’ dettagliate su tutti i tipi di batteri. Si può vedere, per esempio, l’effetto della dieta nell’intestino”. L’analisi del Dna ha permesso di esaminare quali fattori possono avere un impatto sulla diversità del microbioma.

“In totale abbiamo trovato 60 fattori dietetici che influenzano la diversità”, ha spiegato Alexandra Zhernakova, altra autrice dello studio. “Che cosa significa esattamente è ancora difficile da dire. Ma c’è – ha aggiunto – una buona correlazione tra diversità e salute: una maggiore diversità è meglio”.

Oltre la dieta, i ricercatori hanno scoperto che almeno 19 diversi tipi di medicine, alcune delle quali sono ampiamente utilizzate, hanno un impatto sulla diversità del microbioma.

Uno studio precedente ha mostrato che gli antiacidi diminuiscono questa diversità, mentre gli antibiotici e la meformina possono influenzarla.

“Le malattie spesso si verificano come risultato di molti fattori”, ha sottolineato Wijmenga. “La maggior parte di questi fattori, come i geni o l’eta’, non sono cose che si possono cambiare. Ma si può cambiare – ha proseguito – la diversità del microbioma adattando la dieta o i farmaci. Quando capiremo come funziona, si avrà questa possibilità”.

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