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giovedì 12 Dicembre 2024
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Antonio Baravalle, l’ad di Lavazza: “Il Green Deal va attuato in maniera pragmatica e realistica”

L'amministratore delegato: "Siamo i primi ad aver imboccato la strada della sostenibilità: è fondamentale per le future generazioni. A livello europeo ci dovrebbe soltanto essere maggiore consapevolezza degli effetti che si provocano nell’immediato"

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ROMA — “Se consideriamo l’intera filiera dell’industria alimentare il fatturato vale 600 miliardi, le imprese sono 1,3 milioni e gli addetti sono oltre 3,5 milioni. È un pezzo fondamentale del Pil. Ho avuto esperienze anche in altri comparti industria dell’auto ed editoria – per questo dico che l’alimentare non va considerato un settore di serie B. Dovrebbe avere un’attenzione superiore rispetto a quella che ha, considerando il ruolo sociale del cibo, come ci siamo accorti durante il Covid”.

Così si esprime Antonio Baravalle, amministratore delegato di Lavazza. Guida l’azienda della famiglia del caffè di Torino, gruppo che fattura 2,7 miliardi, dal 2011. Baravalle si rivela parlando del settore alimentare post-Covid e del cambiamento climatico alla luce del Green Deal. Leggiamo di seguito parte dell’intervista di Diego Longhin pubblicata sul quotidiano La Repubblica.

Per leggere l’intera intervista basta cliccare QUI.

Baravalle, ha citato la pandemia, l’alimentare è uno dei settori che è stato più colpito. Com’è il post-Covid?

“Si è scoperto l’e-commerce, che è rimasto come canale. Per fortuna c’è stato un ritorno della ristorazione e dei bar e del turismo. Un segmento che si è però trasformato: tanti posti hanno chiuso e c’è stata una crescita dei grandi gruppi. Da non sottovalutare l’effetto smart working: un giorno a settimana significa il 20% in meno di venduto nel segmento distributori automatici uffici. C’è stato un bilanciamento con il domestico, ma sul post-Covid è arrivata la botta dell’inflazione”.

Che effetti ha?

“Secondo i dati Nielsen vediamo che il mercato cresce in valore del 7%, ma i volumi diminuiscono del 5% nei 15 Paesi principali che monitoriamo. In Italia il calo è del 2,5%. Il mercato rallenta. Nel caso del caffè il costo della materia prima, tra miscela arabica e robusta, è cresciuto dell’80% rispetto al 2021, arrivando al massimo storico”.

Baravalle, quali sono le ricadute sulla competitività delle imprese?

“Ha colpito tutti i torrefattori, in maniera trasversale. I grandi gruppi hanno retto meglio, quelli piccoli fanno fatica. Come Lavazza abbiamo deciso di assorbire una fetta dell’aumento dei costi per proteggere il consumatore finale. Scelta che ci ha permesso di preservare i volumi, ma che si vedrà alla voce margini nei conti 2023”.

Sarà un anno peggiore del 2022?

“Si vedranno gli effetti veri dell’inflazione, uno tsunami. Il caffè che pago oggi inizio a trasformarlo dopo sei-sette mesi. Nel 2022, nella seconda parte, il settore è riuscito a bilanciare grazie ai prezzi del primo semestre. Ora quella coperta non c’è più. Nel 2022 il margine ha tenuto, nel 2023 non sarà così: pensiamo ad un calo a doppia cifra, dal 10 al 20%”.

Il cambiamento climatico non è una minaccia?

“Certo, concordiamo sulla centralità del tema. Siamo i primi ad aver imboccato la strada della sostenibilità: è fondamentale per le future generazioni. A livello europeo ci dovrebbe soltanto essere maggiore consapevolezza degli effetti che si provocano nell’immediato”.

Un esempio?

“Il regolamento sulla deforestazione. Siamo d’accordo sull’importanza della questione e abbiamo progetti attivi da anni per contrastare la deforestazione. Il regolamento prevede una tracciabilità completa del prodotto per poter dire che arriva da zone che non sono state deforestate, ma in Vietnam, ad esempio, ci sono produttori di caffè che hanno due ettari coltivati e che poi riversano ciò che coltivano a consorzi. Per noi è difficile, nei 18 mesi previsti dal regolamento, risalire all’origine di tutta la materia prima che arriva dal Vietnam. Il principio è giusto, va attuato in un modo pragmatico e realistico”.

L’intera intervista si trova QUI.

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