lunedì 15 Aprile 2024
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Andrea Ciravegna, l’evoluzione del crudista: “La sua funzione chiave è stata sempre quella di selezionare a monte le qualità”

L'esperto del verde: "Il costo del trasporto, oggi aumentato a dismisura dato l’aumento dei carburanti, viene ammortizzato se il torrefattore ha la propria sede nella regione dove è situato il crudista. I prezzi sono migliori in quanto per la consegna non bisogna attraversare tutto lo Stivale. Il crudista, per spirito nazionalista e consolidata tradizione, si avvale quasi sempre della collaborazione di primarie banche Italiane, di rinomata e solida struttura, ed anche di quelle di minori dimensioni, ma presenti nel territorio dove si opera"

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Andrea Ciravegna, titolare della Caffè Verde Europe Srls di Roma, uno dei maggiori esperti di commercio del crudo in Italia, fornitore di molte aziende, porta la sua opinione sulla figura del crudista in Italia, focalizzandosi sul rapporto che lo lega ai torrefattori e la sua importanza nel selezionare a monte la qualità del chicco. Leggiamo di seguito il suo intervento.

Ruolo ed evoluzione del crudista in Italia

di Andrea Ciravegna

“Soltanto a Roma sessant’anni fa vi erano oltre cinquanta licenze di torrefazione. Allora vigeva l’obbligo del libro di carico e scarico per il caffè crudo che poi fu abolito nel corso degli anni ’80. In tutta Italia dopo la guerra, vi fu un proliferare di nuove torrefazioni grazie all’alto valore economico che rappresentava il caffè.

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Molti bar e drogherie installarono nel retro bottega la macchina per torrefare e vendevano il caffè sfuso posizionato in apposite vaschette di vetro o di metallo che sul davanti portavano l’indicazione della miscela: extra bar, bar,  famiglia e tantissime volte anche la sola provenienza d’origine semplificando in Brasile, Africa, Centro America, ecc.

Quella era l’Italia del boom economico. La gente faceva la spesa più volentieri acquistando e provando nuovi prodotti. Poi il caffè costava trenta lire, come il giornale quotidiano, e ad offrirlo non si faceva un grosso sforzo economico

Quando si entrava in un bar vi era sempre chi ordinava un caffè per tutti e saldava il conto senza poi dover ingurgitare la bevanda di traverso…

I piccoli e medi torrefattori erano serviti dal crudista, nome assegnato alle aziende che importavano direttamente dai Paesi produttori il caffè crudo.

Il caffè arrivava, come ancora oggi, con le navi. I sacchi di juta erano, come lo sono ancora, da 60 kg, l’Indonesia imbarcava sacchi anche da 80 kg, e venivano stipati nella stiva alla rinfusa (i contenitori erano ancora lungi dall’essere inventati). Le polizze di carico partivano da un minimo di 25 sacchi fino ad un massimo di 250.

Le quantità più piccole venivano imbarcate dal Centro-America e dall’Africa Orientale. Quelle intermedie dal Brasile? Lotti da 125 sacchi. Mentre dall’Africa e dell’India le partite raggiungevano i 250 sacchi per qualità.

I crudisti si erano posizionati generalmente nei porti di sbarco fra i quali, i più importanti, erano quelli di Genova, Napoli e Trieste

Il porto di Trieste sviluppò molti anni dopo un forte interesse economico per la facilitazione ad ottenere il pagamento, a mezzo rilascio di una fideiussione, dei diritti doganali fino a sei mesi, corrispondendo alle dogana di Trieste un interesse irrisorio.

Bisogna ricordare che in quegli anni la dogana (diritti doganali) costava cinquecento lire al chilo ed il caffè più basso aveva lo stesso prezzo. Da questo si capisce subito lo sviluppo che ebbe il traffico sul porto giuliano.

Gli altri porti avanzarono vigorose proteste presso i competenti uffici ministeriali affinché fosse concesso loro, per qualsiasi altra dogana nel territorio italiano, la possibilità di avere la stessa agevolazione, che fu però limitata ad un massimo di novanta giorni.

Tornando ai crudisti questi disponevano, come del resto ancora oggi, sia di uffici in città , che di magazzini portuali dove veniva  stoccato il caffè crudo.

Le qualità erano molto più assortite. Di caffè brasiliani, a parte il Santos del quale non si può fare a meno in nessuna buona miscela, s’importavano anche i Bahia, i Pernanbuco, i San Salvador, e così via.

L’importanza del crudista è stata sempre quella di selezionare a monte le qualità, prima d’importarle, facendosi inviare campioni di pre-imbarco dai vari Produttori o Case di esportazione.

Andrea Ciravegna esamina un campione
Andrea Ciravegna esamina un campione

In tal modo i clienti torrefattori avevano modo di scegliere fra le varie provenienze quelle che più si adattavano rispetto anche ai gusti nel territorio.

Come è risaputo al Nord si preferisce una miscela più blanda e leggera, mentre al Sud una più forte e viva.

Ancora oggi il crudista è un’immagine di riferimento per i piccoli e medi torrefattori in quanto garantisce loro delle qualità costanti e regolari nel tempo

Nel corso degli anni molte Case d’importazione, per questioni di praticità, si sono stabilite in grandi città come Roma e Milano.

Nei porti di Trieste, Genova e Napoli resta ovviamente il fulcro e la tradizione del crudo.

Più ditte di crudo sono presenti sul territorio italiano e più i torrefattori hanno la possibilità di poter fare delle cernite riguardo ai prodotti, all’organizzazione, alla logistica ed alla serietà professionale.

Il costo del trasporto, oggi aumentato a dismisura per l’aumento dei carburanti, viene ammortizzato se il torrefattore ha la propria sede nella regione dove è situato il crudista. I prezzi sono migliori in quanto per la consegna non bisogna attraversare tutto lo Stivale.

Il crudista, per spirito nazionalista e consolidata tradizione, si avvale quasi sempre della collaborazione di primarie banche italiane, di rinomata e solida struttura, ed anche di quelle di minori dimensioni, ma presenti nel territorio dove si opera.

Con le notizie di questi ultimi giorni vi è la conferma che è stato meglio sempre diffidare dei grandi gruppi bancari esteri dove, da un giorno all’altro, ci si può ritrovare con i risparmi accantonati, necessari a proseguire ed aumentare nel tempo la propria attività operativa, andati in fumo in un fiato!

Alcuni decenni fa si pensava che il crudista di nazionalizzato fosse una attività che si andasse man mano esaurendo in quanto stavano nascevano nuove torrefazioni solite acquistare il caffè allo stato estero direttamente da esportatori o da grosse case di trading europei.

Tutte le operazioni di sbarco e doganali venivano affidate a case primarie di spedizione ed il trasporto fino alla stabilimento effettuato da corrieri affidati e per di più assicurati contro ogni rischio, anche quello della rapina a mano armata.

Le cose belle però hanno il loro costo. Tutte queste operazioni per quantitativi limitati non facevano quadrare i conti.

S’iniziò pertanto a rivolgersi di nuovo al crudista di nazionalizzato, il quale aveva da tempo contrattato tutte le spese al minimo con gli spedizionieri, i trasportatori e le banche avvalendosi del maggiore quantitativo importato annualmente.

Quest’ultimo poi negli ultimi anni si è lanciato anche nei cosiddetti specialty, caffè gourmet di alto pregio e caro prezzo, ma che ancora incontrano delle difficoltà nella commercializzazione in Italia, mentre invece nei Paesi europei stanno avendo un buon sviluppo.

Possiamo concludere che, come nella storia, anche nel caffè vi sono corsi e ricorsi. L’importante è avere buone idee e tanta voglia di superare le difficoltà che sempre s’incontrano e chiudere con una invocazione: Italians do il better!

                                                                                                       Andrea Ciravegna

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