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giovedì 08 Maggio 2025
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Timmycoffeemaster, il formatore social: “Gli allievi mi raggiungono così” 29mila followers Instagram

Il formatore: “Se dovessi avere un locale mio e dovessi scegliere tra un ragazzino che non l’ha mai fatto e uno con tantissima esperienza, sceglierei il primo caso. Questo perché è più semplice trasferire le conoscenze e le competenze a qualcuno che è ancora fresco, rispetto a chi è già convinto di essere esperto."

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TME Cialdy Evo

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MILANO – Sui social noto come Timmycoffeemaster, con 29mila followers su Instagram, è il formatore che ha portato il mondo della caffetteria professionale al popolo del web. Un racconto che permette di fare divulgazione proprio anche verso quelle nuove generazioni che il settore caffè teme di non riuscire a intercettare in prospettiva.

Timmycoffeemaster nasce barista e poi diventa formatore con Aicaf: quali sono le ragioni che l’hanno spinta a compiere questo percorso e proprio con questa accademia?

“Nel 1995 nasco barista. Ma ancor prima mi illuminavo da piccolo entrando in qualsiasi bar, rimanendo imbambolato su chiunque si muovesse dietro il bancone. Avevo proprio una vocazione, un talento per questo mestiere. Fino al 2019-2020 ho avuto in gestione un primo locale nel 2012 e poi nel 2014 un secondo a Rozzano (l’ultimo venduto a due gestori cinesi, e attualmente nelle mani di un francese).

Andava tutto per il meglio, al punto che mi hanno fatto un prezzo che non ho potuto rifiutare.”

Poi il lavoro si sposta all’interno di una caffetteria a Rozzano, nel Bar Danil, e poi proprio a Milano nel Bar Baobab (dentro i magazzini generali), in fine a Trezzano sul Naviglio, nel Gaugin, stavolta un ristorante, fino al 2019.

“Questa mia esperienza su diversi fronti nell’horeca, mi ha permesso di entrare subito in connessione con i ragazzi che diventano miei studenti e che arrivano da contesti non sempre tra i più aggiornati. Bisogna capire chi si ha davanti e individuare le esigenze di ciascuno.”

Ha fatto un percorso con Gianni Cocco e ho portato avanti la mia formazione con Aicaf, come mai?

“Ho scelto questo circuito piuttosto che l’altro importante di SCA, perché ho percepito nell’offerta dell’Accademia, che ci fosse una maggiore attenzione sul barista e non sulla materia prima. Principio che condivido: se non c’è la figura a valorizzare la filiera dietro il risultato finale, è tutto inutile. È l’operatore che deve riuscire da dietro al banco, esprimere al massimo il prodotto.

Ho pensato poi di diventare formatore, probabilmente trainato dalla mia passione per la latte art. Dopo 28 anni come barista, tutti mi chiedevano di affiancare i giovani da formare.

Quindi in realtà ho sempre svolto anche questo ruolo: le qualifiche sono arrivate dopo, perché non basta avere soltanto l’esperienza sul campo: le competenze vanno sviluppate per diventare dei Maestri. C’è bisogno di conoscere per davvero le dinamiche di un servizio ad alte vendite, della gestione di un gruppo, dell’operatività dietro a un bancone, ma oltre la gavetta ci vuole lo studio. Teoria e pratica, questo è necessario.”

Timmycoffeemaster ha quasi 27mila follower su Instagram: allora non è vero che la formazione e il bar non piacciono più a nessuno?

“Assolutamente no. Penso che pratica, qualifiche e comunicazione messe insieme possano portare a ottimi risultati. Si può avere il prodotto migliore, ed essere certificati, ma se non lo si sa raccontare in maniera corretta e mirata, perde di senso. Siamo in tanti, mi seguono molti, perché probabilmente il mio modo di espormi è reale.

Sono fatto esattamente così come mi presento sui social. Negli ultimi due anni ho formato centinaia di baristi e continuo ad entrarci in contatto con la maggiorparte, attraverso i social. I miei allievi mi raggiungono così.”

Ma i social come le sono venuti in mente?

“Durante il Covid ho iniziato per gioco su Tik Tok come Timmy il barista e sono diventato virale (150mila followers in qualche mese) in Albania (che è il mio Paese d’origine). Sono diventato molto famoso lì, mi conoscevano tutti. Ho quindi imparato a comunicare in maniera efficace i contenuti e a governare questi canali. Dopo aver preso confidenza con le telecamere, è diventato automatico rivolgermi a centinaia e migliaia di persone.

A livello lavorativo però non mi ha portato nulla: non c’è stata un’azienda che ha preso coraggio e mi ha coinvolto in un progetto professionale vero e proprio. Nel 2023, dopo aver preso tutte le certificazioni e aver concluso tutti i percorsi con Aicaf – perché ancora una volta sottolineo, bisogna avere tutte le competenze ed essere costantemente aggiornati – sono arrivato all’Instagram italiano, parlando di formazione, latte art: a quel punto sono arrivate le prime opportunità lavorative.

A Milano c’è tanta competizione, ma la bravura si nota e si premia. Io ero pronto a cogliere la palla al balzo.

Da responsabile di un punto vendita di Leroy Merlin e parallelamente facendo formazione, ho aperto la partita IVA e mi sono totalmente dedicato al training, girando anche a Dubai, in Arabia Saudita, Svizzera, Londra, nel Sud in Italia, nelle scuole alberghiere, nelle torrefazioni (mantenendomi sempre sganciato da qualsiasi brand)”.

Timmycoffeemaster, da formatore che cosa ha notato tra i suoi corsisti?

“Se dovessi avere un locale mio e dovessi scegliere tra un ragazzino che non l’ha mai fatto e uno con tantissima esperienza, sceglierei il primo caso. Questo perché è più semplice trasferire le conoscenze e le competenze a qualcuno che è ancora fresco, rispetto a chi è già convinto di essere esperto.

Quando mi è capitato di confrontarmi con chi fa questo mestiere da tanti anni, spesso la reazione è stata: “Ho sempre fatto così, perché dovrei cambiare ora dopo 30 anni?”. Si instaura quasi una dinamica di sfida tra me formatore e loro studenti, e spesso ci si scontra con una mentalità e una gestualità troppo consolidata.

Poche volte, di fronte all’evidenza, sono riuscito a convincere ad andare oltre il pregiudizio. Se impari a lavorare nel modo sbagliato, si resta così per tutta la carriera. È importante quindi l’intervento del formatore per aprire ad un mondo diverso, un approccio di lavoro differente.”

Il podcast “I gradi francesi”: il tema personale

Timmycoffeemaster è anche podcaster: “Il nome l’ho scelto dall’unità di misura della durezza dell’acqua in estrazione. È stato in questa sede che ho toccato il tema della mancanza del personale: negli ultimi 35 anni si è fatto un po’ cosa si è voluto, senza regole, senza nessuna norma che valorizzasse gestori e operatori.

Ora sono venuti a galla tutti i problemi accumulati in questo lungo arco di tempo. A nessuno piace lavorare i fine settimana e percepire degli stipendi da fame, magari poi vivendo in città come Milano.

La prima cosa è poter contare su delle figure qualificate nel proprio locale, per poi alzare il prezzo del caffè: non è possibile continuare ad essere sostenibili economicamente con una tazzina ad un euro e venti.

Bisogna dare qualità, nel servizio e nel prodotto e allora il prezzo passerà in secondo piano. C’è una differenza tra costoso e caro e sta proprio nel valore di quello che si sta offrendo. Con i miei corsisti, i più giovani, affrontiamo spesso questo tema serio e delicato. Ma quando escono dal mio percorso, hanno le competenze giuste per affrontare il mercato.

Iniziamo da qui per poi cambiare il resto. Con un background solido e la giusta motivazione, ci si può evolvere insieme come settore.”

La comunicazione sui social è utile anche per raggiungere il consumatore finale?

“Assolutamente sì. Tanti mi scrivono tra i coffeelovers, per chiedermi le informazioni che sembrano più banali: molto si interessano sulle capsule e il macinato, in generale sul consumo domestico. Consiglio sempre di investire per macinare i grani freschi, per una migliore tazzina e bere anche qualcosa di più salutare.

Qualcuno mi ha chiamato per imparare la latte art, ma come hobby sconsiglio io per primo di spendere soldi per apprendere una tecnica da sfruttare soltanto dentro casa. Tanti consumatori iniziano a controllare nei bar l’estrazione, la pulizia delle attrezzature. Stiamo spingendo su tutti i canali per svegliare la massa, che bisogna sempre più coinvolgere per far pretendere un prodotto di qualità.”

Come vede il futuro del barista in Italia, se molti di quelli formati diventano trainer e dietro al bancone restano gli stranieri?

“E’ un fenomeno vero. Gli italiani non vogliono più fare alcuni mestieri. Ma è un falso problema: quando sono entrato a Dubai in una caffetteria specialty (ed è successo anche in Portogallo), con 4-5 macchine enormi di espresso e 12 macinadosatori e altrettante monorigini, la ragazza dietro al banco è riuscita a spiegarmi tutte le referenze nei minimi dettagli.

Il valore del bar italiano, allora, qual è?

Negli ultimi trent’anni abbiamo fatto tanto, dall’invenzione dell’espresso alla produzione delle attrezzature, ma siamo rimasti fermi ad allora. In Italia c’è tanta tradizione ma poca cultura. Perché da noi, quando chiedo come dev’essere un caffè buono, la risposta è: amaro, con tanta crema, lo zucchero deve galleggiare. Questa è la percezione del consumatore medio italiano dell’espresso.

E perché?

Perché siamo stati abituati a bere miscele tostate scurissime. I baristi si sono appoggiati al comodato d’uso e ai finanziamenti: quindi le torrefazioni per rientrare velocemente da questo primo investimento, usavano blend di scarsa qualità, super cotti ed ecco qui fuori
l’amaro che gli italiani associano alla tazzina. Questo ci ha lasciato indietro.

Quindi il bar italiano non si deve preoccupare degli stranieri dietro alla macchina, ma di tutto lo storico lasciato in eredità dalle torrefazioni. Si deve tornare a proporre caffè di qualità e vendere soltanto quello, non tutto il resto.”

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