giovedì 02 Maggio 2024
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SCRIVE ROBERTO COTRONEO* – E un giorno la Coca Cola inventò il Natale

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Da tempo, a pochi giorni dal Natale, risento un lamento sulla festa consumistica, sul fatto che abbiamo laicizzato il giorno della nascita di Gesù, su quelli che preferiscono il presepe, su quelli che amano l’albero, e su quelli che non cantano White Christmas. Però alcune cose vorrei dirle.

Cominciando da una storia, che riferisce un grande antropologo del ‘900: Claude Lévy-Strauss. Il 24 dicembre 1951, il quotidiano France Soir riporta una notizia. A Digione, grandi e bambini, dopo una lunga riunione a cui hanno partecipato molti esponenti del clero, davanti a una cancellata della Chiesa, hanno dato fuoco a un pupazzo di Babbo Natale, o per meglio dire Santa Claus. Naturalmente perché Santa Claus era quanto di più lontano si potesse immaginare rispetto al Natale.

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Lévy-Strauss ne rimase colpito. Noi potremmo indignarci o ironizzare. Ma in realtà il rogo di Babbo Natale ci dice una serie di cose che abbiamo perso di vista. La prima è questa. Lungi da me dare qualsiasi giudizio morale o culturale, ma il Natale occidentale, è un Natale americano.

Si basa sul mito di Santa Claus che vive al polo Nord (invenzione di un poeta, John Webster, nel 1869: «is the near the North Pole, in the ice and snow»). Santa Claus ha mille riflessi e influenze. Non è vestito di rosso, non ha le sembianze che conosciamo.

Nella seconda metà dell’Ottocento appare qua e là, ma niente che stimoli più di tanto l’immaginario collettivo. Finché il genio di un disegnatore, Haddon Sundblom, e le esigenze di un’azienda che aveva bisogno di crescere hanno fatto il miracolo. Siamo nel 1931, un paese intero sta reagendo alla Grande Depressione, la Coca Cola Company ha il problema di vendere il suo prodotto anche d’inverno, quando fa freddo. E purtroppo nei mesi invernali il calo di vendite è evidente.

Pensano di usare la figura di Santa Claus come testimonial d’eccezione. Ma non c’è un’immagine consolidata, globalizzata. Chiedono a Sundblom, che inventa il primo Babbo Natale moderno. Con tutto quello che ne consegue: neve, renne, polo nord, canti dei crooner, film allegri di famigliole che festeggiano, e tutto quello che può rendere insopportabile il Natale, con quell’armamentario dolciastro e appiccoso, come la Coca Cola, che rende la festa una cosa profondamente diversa da quella che avevamo conosciuto.

Così, complice un Santa Claus ancora poco noto, in quel lontano 1931 la Coca Cola ha inventato la bibita fresca anche per l’inverno. Quando ero piccolo io, le gelaterie chiudevano a settembre e riaprivano alla fine di maggio.

Oggi il gelato si mangia tutto l’anno. E la Coca Cola fredda si beve anche a Natale. L’immaginario contemporaneo del Natale non solo è laico, ma è soprattutto commerciale. Coca Cola negli anni impone la sua immagine del Natale, e la esporta in tutto il mondo. Sono gli spot che conosciamo tutti. È quel clima che ci affascina. Se andate sul profilo flickr o instagram di Peter Souza, il fotografo ufficiale della Casa Bianca, vi potete fare un’idea.

Il Natale di Obama è una derivazione di tutto questo. Come lo sono i doni, che diventano sempre più importanti. A tutto questo si sovrappongono, localmente, le tradizioni preesistenti alla globalizzazione di Santa Claus. Il pesce per il cenone, la veglia, i presepi europei con le processioni, tutte cose che hanno una matrice religiosa. Oltre naturalmente la messa di mezzanotte. Ma il polo nord, le renne, le fantasie di Babbo Natale sono ormai il vero Natale per tutti.

Ma vorrei tornare a Lévy-Strauss, e a quel Babbo Natale bruciato a Digione. I francesi sono sempre stati sciovinisti e refrattari a lasciarsi contaminare. Capirono subito che quel feticcio e quel simbolo era la conseguenza della nuova potenza politica ed economica degli Stati Uniti in Europa. E avevano perfettamente ragione.

Ma Levy-Strauss si rende conto di un’altra cosa. Babbo Natale appartiene alla categoria delle divinità. Con la differenza, aggiunge il grande antropologo, che ci credono i bambini e non gli adulti. Questo non solo è inedito, ma spiega molte cose. Sono gli adulti a incoraggiare questa credenza nei bambini, a mistificare una figura che per loro non ha un valore rituale e divino.

È del tutto evidente che l’operazione Babbo Natale, o Santa Claus, parte da questa bizzarra stranezza, che non ha eguali in nessun rituale, neppure laico: o ci credono tutti, sempre, o non ci crede nessuno. Infatti il passaggio più complesso è sempre questo: quando i bambini smetteranno di credere a Babbo Natale? Come dirglielo? E come non fargli scoprire l’inganno quando sono piccoli?

Non sono domande antropologiche. Sono strategie di mercato, un mercato che per la prima volta utilizza l’immaginario come strumento di marketing. Così il Natale diventa non una favola commerciale, ma la commercialibilità della favola, della narrazione. Anche l’immaginario cinematografico attinge a piene mani a tutto questo. È una conseguenza inevitabile.

In ogni caso il disegnatore Sundblom per anni e anni ha lavorato alacremente nel perfezionare il suo Santa Claus per Coca Cola. Fino a dargli l’immagine che è ormai di tutti: dalla Groenlandia alla Cina. Ogni anno Santa Claus con le sue renne ammorba l’immaginario dei grandi e rende felici i bambini.

Più cresco e più sento dire che il Natale si sopporta poco, che certo, quando i bambini erano piccoli… Ogni volta mi domando perché non tornare a riflettere; perché non tornare a modelli culturali e religiosi che appartengono al culto della natività. Alla magia complessa del solstizio d’inverno, ai Re Maghi e alle simbologie arcaiche. Più affascinanti, più belle dei modelli carini ma anche un po’ banali, oggi fuori tempo e persino fuori moda, arrivati dal Nord America.

Forse il Natale andrebbe spacchettato, restituito: di luogo in luogo. Forse bisognerebbe riprenderselo, una notte qualunque, senza luminarie, senza Jiingle Bells cantata da Frank Sinatra, senza neve e senza renne. Persino senza stelle. Ma con la sabbia dei deserti e con il mare, con la nebbia sottile e con il silenzio. Ma probabilmente non è più possibile. Forse è troppo tardi. Buon Natale a tutti, naturalmente.

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