venerdì 03 Maggio 2024
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Rapporto Ico: indicatore composto ai minimi da agosto 2010

Corretta al rialzo di 400 mila sacchi la stima sulla produzione Consumi in calo in alcuni mercati tradizionali, compresa l’Italia

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MILANO – È slittata addirittura metà mese la pubblicazione del rapporto Ico, che ha subito svariati giorni di ritardo rispetto alla tempistica consueta per consentire l’integrazione nel documento di importanti aggiornamenti statistici. Il report di aprile, diffuso nel primo pomeriggio di ieri, evidenzia innanzitutto un’ulteriore correzione al ribasso dell’indicatore composto, ormai in calo da 7 mesi a questa parte, ossia dall’inizio dell’annata caffearia corrente.

Report Ico: che cosa è emerso

La media del mese trascorso si è attestata a 160,46 centesimi per libbra, in flessione del 4,4% rispetto a marzo e del 30,6% rispetto ad aprile 2011. Si tratta del valore più basso da agosto 2010. In calo generalizzato tutte le voci dell’indicatore, fatta eccezione per la media della seconda e terza posizione del Liffe, che guadagna lo 0,5% sul mese riducendo i differenziali tra le borse di Londra e New York. Più forte la flessione degli indicatori degli Arabica. Anche questo mese, le performance maggiormente negative sono quelle dei brasiliani naturali (-5,8%) e degli altri dolci (-4,9%), che limitano comunque i danni rispetto alle perdite in doppia cifra di marzo. Colombiani dolci e New York arretrano rispettivamente del 3,8% e del 3,7%, mentre l’indicatore dei robusta, in crescita da gennaio, registra la sua prima variazione negativa su base mensile dall’inizio dell’anno solare 2012.

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Va osservata intanto una correzione al rialzo di quasi 400 mila sacchi del dato sulla produzione mondiale per l’annata in corso stimato ora in 131,382 milioni di sacchi

Ridimensionate nel rapporto Ico le cifre di Messico&America centrale e sud America (dove la produzione della Colombia è stimata ora in 7,8 milioni di sacchi, contro gli 8,5 milioni indicati nel report di marzo). A ciò fanno riscontro le più positive previsioni relative all’Asia&Oceania, dove migliorano significativamente le aspettative di raccolto di Vietnam e Papua Nuova Guinea. Rimane da verificare il dato dell’Africa, l’unico a non subire variazioni rispetto al mese precedente, che potrebbe tuttavia essere rettificato al ribasso nei prossimi mesi, se l’andamento dell’export etiope (deludente e in forte calo rispetto all’anno scorso) continuerà a risultare incongruente con le ottimistiche previsioni di raccolto fornite dalle autorità di Addis Ababa.

Il dato sopra citato di 131,382 risulta inferiore del 2,1% a quello del 2010/11: un calo nettamente più contenuto rispetto a quelli registrati nelle più recenti annate negative. Le cifre disaggregate evidenziano una flessione sull’anno in tutte le macroaree geografiche, con la sola eccezione dell’Africa. Dei 15 massimi paesi esportatori mondiali, che assicurano oltre il 90% degli imbarchi, ben 8 sono destinati a registrare un calo del proprio export rispetto al 2010/11. L’approfondimento di questo mese focalizza l’andamento storico delle esportazioni del primo semestre (ottobre-marzo) nell’arco delle ultime 12 annate caffearie (ossia dal 2000 a oggi), con due tabelle riassuntive che riportano i valori assoluti e percentuali suddivisi per grandi aree geografiche e per tipologie. L’analisi rispecchia l’evoluzione della geografia del caffè dai primi anni 2000 a oggi, i paesi in ascesa e quelli che hanno segnato il passo. Se raffrontiamo i dati complessivi relativi all’export registrati nella prima e nell’ultima annata in esame (2000/01- 2011/12) osserviamo un incremento dei volumi pari al 18,3%, dai 43,666 milioni di sacchi del 2000 ai 51,677 di quest’anno. Il massimo storico si è registrato nel primo semestre 2010/11, con il dato record di 52,885 milioni di sacchi. L’export dell’Africa ha toccato i suoi livelli massimi nel 2000/01 sfiorando i 6 milioni di sacchi esportati.

Rapporto Ico: l’export del primo semestre di quest’anno si è attestato poco al di sotto dei 4 milioni, in calo di un terzo rispetto a 11 anni fa e del 23% rispetto all’anno scorso

Pur in lieve ripresa sul 2010, gli imbarchi di Messico&America centrale segnano nel periodo osservato una flessione del 15,5% rispetto al 2000/01, annata in cui questo gruppo di paesi registrò un dato record di 8,5 milioni di sacchi esportati. Ai massimi storici, invece, l’export di Asia&Oceania, che ha raggiunto nel primo semestre di quest’anno i 17,7 milioni di sacchi con un incremento del 18,7% rispetto al pari periodo dell’anno scorso e del 36,4% rispetto a 11 anni fa.

Tutti i principali paesi produttori di quest’area (fatta eccezione per la Tailandia) hanno registrato una crescita significativa dei loro imbarchi nell’arco del periodo in esame. La progressione più significativa rimane tuttavia quella del sud America, che passa dai 16,2 milioni del 2000 ai 22,8 di quest’anno (+40,6%). Il dato è ancora più impressionante se si considera che il Brasile è quest’anno in ciclo negativo e che la Colombia ha registrato, ancora una volta, una performance inferiore alle medie storiche del decennio trascorso. Colpisce anche la forte crescita del Perù, il cui export è aumentato in 11 anni del 166%.

Isolando le singole tipologie, l’export del primo semestre di colombiani dolci ha toccato i suoi massimi nel 2007/08, quello di brasiliani naturali nel 2010/11

Mentre altri dolci e robusta hanno registrato le loro migliori performance proprio quest’anno. Fortemente ridimensionato, in termini percentuali, il ruolo dell’Africa e di Messico&America centrale, mentre cresce la share di Asia&Oceania e sud America. Il report fornisce in conclusione i dati preliminari relativi ai consumi nell’anno solare 2011. che segnano un incremento dell’1,7% rispetto al 2010 raggiungendo i 137,9 milioni di sacchi. Nonostante il saldo positivo sull’anno, le statistiche Ico evidenziano cali significativi in vari mercati europei, compresa l’Italia (-1,8%), nonché in altri importanti paesi consumatori come il Giappone (-2,5%) e la Corea del sud (-17,1%). Tutte queste cifre – avverte tuttavia il report – vanno prese con ampio beneficio di inventario, viste le oggettive difficoltà che si incontrano ricorrentemente nelle stime dei consumi, e potrebbero subire dunque significative revisioni nei mesi a venire.

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