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Perù, potrebbe essere il cacao la via d’uscita dalla produzione di cocaina

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MILANO – Dopo la Colombia anche il Perù sta cercando di uscire dal giogo che la lega alla produzione della cocaina e al mercato internazionale dei narcotici. Descrive bene questa situazione un articolo apparso sul sito dell’Espresso a forma di Federica Bianchi.

di Federica Bianchi

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Israel Ganieta Ganizo se lo ricorda bene il giorno in cui suo padre lo tirò fuori da scuola per obbligarlo a lavorare nei campi.

«A 15 anni lavoravo a raccogliere foglie di coca che trasformavamo in pasta per vendere ai colombiani», racconta commosso: «Erano gli anni Ottanta, facevamo tanti soldi ma c’era anche tanta violenza. I terroristi di Sendero luminoso prima ci impedivano di coltivare e poi si misero d’accordo con i narcotrafficanti a cui garantivano un certo livello di protezione per le loro attività. Noi in mezzo, sempre. Ho perso uno dei miei cinque fratelli. Ognuno di noi ex cocalero ha perso un familiare. Oggi non permetterò che mio figlio ripercorra i miei stessi passi».

Continua a raccontare Israel, e le sue parole disegnano il volto familiare della storia dell’economia peruviana, secondo produttore mondiale di cocaina dopo la Bolivia. «La coca ci dava lavoro ma ci toglieva il futuro».

Sono un paio di di decenni che il Paese tenta di liberarsi dal giogo della cocaina ma non è facile là dove non ci sono grandi alternative per i migliaia di contadini.

Nella sola regione di San Martin de Pangoa, circa 120mila persone negli anni Ottanta e Novanta vivevano esclusivamente di polvere bianca. «I soldi erano tanti ma la violenza e l’insicurezza ancora di più», ricorda Israel.

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Poi qualcosa è cambiato a partire dalla valle Huallaga. Nel 2003 un accordo riuscito tra il sindaco di Tocache, Pedro Gogarin, le autorità locali, l’agenzia peruviana di lotta alla droga Devida, e la cooperazione internazionale (tra cui quelle tedesca e americana, particolarmente attive) intravedono nel cacao la possibilità non solo di una sostituzione produttiva ma anche di vera riscossa economica.

Nascono le prime cooperative come quella di Tocache per trasformare il cacao da fresco a secco e poi per produrre la pasta di cacao.

Gli agricoltori ricevono formazione tecnica e credito finanziario per convertire la produzione e migliorare la qualità dei raccolti. Tra il 2009 e il 2017 la produzione di coca dell’areacrolla del 90 per cento. Il cacao diventa alternativa reale alla coca. Cacao come portatore di pace e prosperità.

«Grazie alla polvere nera ci sono zone pacificate come San Martin e le famiglie stanno recuperando il senso della dignità della propria vita», spiega Rosario Pajuelo, rappresentante in Francia dell’ufficio di promozione degli investimenti peruviani: «Ovviamente non ovunque in Perù, il Sud, al confine con la Colombia, è ancora un’area in mano ai narcotrafficanti, ma è per questo che speriamo che non si torni più indietro, un rischio sempre presente quando cala troppo il prezzo del cacao».

Il Perù è oggi solo l’ottavo esportatore di cacao con una produzione che si forma al 2 per cento di quella mondiale. Ma avanza la creatività e con essa le nuove forme di cacao aromatizzato (all’ananas, al mirtillo, al caffè, tra le altre) e una produzione certificata dal fair trade che la rende più appetibile agli occhi dei cioccolatieri europei, tra cui la lecchese Icam, e che può chiedere un prezzo più alto.

Soprattutto, le nuove cooperative per la prima volta hanno preso a utilizzare il porto di Anversa in Belgio, lo stesso da cui entra la cocaina in Europa, per esportare cacao direttamente, senza bisogno di intermediari che riducevano drasticamente gli utili.

«A Bruxelles chiediamo di facilitare le nostre esportazioni che poi vuol dire combattere anche il mercato mondiale di cocaina», spiega Higor Jaramillo, gestore della cooperativa Central Cacao Aroma di Tocache, in tour europeo per promuovere il suo cacao: «Ma adesso guardiamo anche all’Asia con speranza visto che cinesi e indiani hanno finalmente iniziato a consumare cioccolato».

Tra i Paesi europei che guardano con maggior favore alle 60 varietà di cacao peruviano ci sono, oltre all’Italia e al Belgio, anche la Svizzera, la Russia e la Svezia.

Intanto il governo peruviano, visti i risultati raggiunti dalla ex-regione cocalera, guarda a sud con maggior convinzione e lo scorso primo novembre ha lanciato una serie di operazioni mirate a sradicare la produzione di coca nella nuova enclave dell’inaccessibile regione di Vraem che, a stare ai dati di tre anni fa dell’agenzia delle Nazioni Unite sul traffico di droga e il crimine, ha contribuito al 70 per cento della produzione nazionale.

E nel 2017 aveva addirittura aumentato la produzione del 20 per cento, in tandem con la vicina Colombia.

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