venerdì 03 Maggio 2024
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Packstyle si mette alla prova con gli specialty: il test su 3 imballaggi diversi con Zanon

I pacchetti sono stati spediti il 20 marzo, coinvolgendo 19 assaggiatori professionisti di specialty discolati in 12 paesi europei. Questi hanno in seguito compilato una Quantitative descriptive analysis per attribuire una valutazione da 1 a 5 per il gusto e il corpo, una descrizione sensoriale degli aromi del caffè ed eseguire un test distriminante (tazza migliore e crosta più evanescente)

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MILANO – Packstyle azienda specializzata nella produzione di imballaggi, ha deciso di mettere alla prova i suoi risultati per poter entrare nel mercato dello specialty. Ad accompagnare questo ingresso, l’esperta di caffè Renata Zanon: dopo un primo incontro durante il Trieste coffee festival, l’obiettivo comune è diventato presto quello di raccontare Packstyle a tutta la community.

Come? Facendo assaggiare lo specialty conservato all’interno di tre diversi tipi di packaging: il codice 361, il 704 (entrambi sacchetti Packstyle, il primo in alluminio il secondo riciclabile in mono-materiale film PP) e infine il 528 realizzato in plastica da un’azienda competitor che detiene una buona fetta di mercato in tutta Europa.

Lo scopo: confrontare i tre imballaggi per verificare se, quanto e come il contenitore potesse modificare le caratteristiche sensoriali dello specialty.

Il caffè selezionato e poi lavorato, spedito, testato per Packstyle

Tostato un caffè etiope Banko Gotiti, l’8 febbraio 2023, poi confezionato due ore dopo la tostatura in sacchetti tutti da 150 grammi.

I pacchetti poi sono stati spediti il 20 marzo, coinvolgendo 19 assaggiatori professionisti di specialty discolati in 12 paesi europei. Questi hanno in seguito compilato una Quantitative descriptive analysis per attribuire una valutazione da 1 a 5 per il gusto e il corpo, una descrizione sensoriale degli aromi del caffè ed eseguire un test distriminante (tazza migliore e crosta più evanescente).

Specifica Zanon: “Questi 19 assaggiatori non avevano idea di cosa avrebbero trovato all’interno dei 3 campioni spediti, numerati a random. Il panel non è stato calibrato: sono stati però selezionati degli assaggiatori esperti, la maggior parte certificati Q Grader.”

Anche l’invio in 12 paesi ha avuto un ruolo importante, perché in questo modo il caffè ha dovuto affrontare un viaggio in areo per raggiungere i destinatari. Si è aggiunta così un’ulteriore variabile all’esperimento.

I risultati del test:

Test quali-quantitativo:361 e 704 sono risultati più acidi, 528 caratterizzato da un’acidità più negativa o meno presente. 704 ha avuto il giudizio migliore sull’amarazza, il peggiore il 528. Per il parametro più soggettivo di overall è emersa la stessa cosa. Per quanto riguarda la dolcezza: il campione 361 è risultato il migliore.

Test qualitativo: sono stati suddivisi i descrittori aromatici a disposizione degli assaggiatori, 361 predominanti cioccolato al latte e della frutta a guscio. Nel 528 cambia nettamente: invece del cioccolato a latte si trova il fondente, invece dei frutti di bosco si trovano dei sentori cereali (non positivi) e una piccola percentuale di vegetale. Nel 704 sia il cioccolato al latte che quello fondente, nocciola, cereale decisamente inferiore e si sviluppa di più il fruttato.

Evanescenza della crosta: quale campione ne aveva una più evidente? 8 panelists hanno riscontrato un risultato comune. Di questi 8, 5 hanno indicato il 528, 2 il 361, 1 il 704.

Dalla Bolivia, il test a sorpresa Packstyle

In Bolivia, dove si trovava la stessa Renata Zanon ha svolto una sessione di cupping includendo anche i tre campioni del progetto Packstyle. il 361 ha ottenuto 84 punti, il migliore (da febbraio con quasi 4 mesi di vita), il 704 83,5 e il campione 528 ha ottenuto 82.

Una considerazione finale arriva da Nicoletta Garbo, amministratrice unica di Packstyle

I materiali utilizzati per questi imballaggi Packstyle hanno zero contaminazioni e garantiscono la conservazione delle caratteristiche del prodotto.

Trade off in futuro: packaging sostenibile. La capacità di un packaging riciclabile non è per ora comparabile all’alluminio che preserva al 100% dalla luce, dall’umidità e dal gas.

“L’alluminio da solo non permette tuttavia di confezionare il sacchetto perché non si salderebbe. Quindi dobbiamo accoppiare e comporre strati diversi in cui l’alluminio sta insieme con il polietilene (il polimero più usato a contatto con il cibo in quanto più inerte e rilascia meno sostanze concesse nei limiti dei regolamenti europei).

Due strati però non permettono la riciclabilità dell’imballaggio. Sappiamo che abbiamo il 100% di barriera ma questo prodotto non può tornare ad esser separabile. Oggi non è possibile in post consumo separare questi strati.

Invece il prodotto riciclabile è fatto in un unico polimero, polipropilene: in questo caso, si deve trovare un sistema di bilanciamento tra quello che è l’aspetto ambientale di sostenibilità e la protezione dell’alimento.

Siamo tra i primi in Italia ad offrire queste barriere su prodotti riciclabili e certificati da un’azienda tedesca, che collabora con l’UE per stabilire i criteri di cosa sia certificabile come riciclabile, ottenendo 18 punti su 20.

Ancora però non siamo a livello dell’alluminio ma il mondo dell’imballaggio si sta evolvendo. E l’obiettivo è quello di trovare soluzioni sempre più elevate.”

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