venerdì 12 Aprile 2024
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La condanna del giurì della pubblicità: “Saeco denigra la moka e quindi Bialetti”

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MILANO – Va bene proporre i propri prodotti come ultima frontiera tecnologica e quindi migliori dei concorrenti predecessori. Ma nel farlo occorre misura e, soprattutto, non si deve denigrare gratuitamente il leader di mercato. Questo è, in sintesi, il succo della pronuncia con la quale il Giurì di autodisciplina ha accolto il ricorso di Bialetti Industrie ed ha ritenuto non conforme all’art. 14 Cap il messaggio stampa relativo al prodotto “Syntia” di Saeco.

Nel messaggio la macchinetta da caffè espresso elettrica pubblicizzata travolgeva una macchina per la preparazione del caffè tradizionale, distruggendola; sopra il claim recitava “Perfetto!”.

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Secondo Bialetti il messaggio era denigratorio, poiché presentava la Moka Bialetti (non direttamente menzionata, ma immediatamente identificabile in quanto market leader nel settore) come inferiore, desueta e superata, rappresentando il caffè preparato con questo strumento come un liquido marrone poco allettante.

Il messaggio costituiva così l’invito ad abbandonare la caffettiera tradizionale per scegliere la macchina elettrica, presentata come più innovativa, in grado di garantire un “autentico espresso italiano ottenuto dai chicchi appena macinati”.

Saeco si era difesa insistendo sul fatto che i due prodotti non erano tra di loro concorrenti, perché l’espresso e il caffè realizzato con una caffettiera tradizionale sarebbero due bevande diverse, prodotte in maniera differente come differente è il loro prezzo.

Inoltre, la rottura della caffettiera costituiva solo un elemento narrativo avente valore meramente suggestivo e iperbolico, atto a rappresentare semplicemente una “irruzione” e “rottura” rispetto alla tradizione.

Il Giurì, dopo aver ricordato che la violazione dell’art. 14 CA sussiste anche nell’ipotesi di prodotti “non nominati”, ha ritenuto l’immagine della macchinetta elettrica che schiaccia la moka una gratuita denigrazione nei confronti di quest’ultima.

Il contenuto violento dell’immagine, ha continuato il Giurì, non appare nemmeno proporzionato all’obiettivo di comunicare che il prodotto nuovo finirà per rendere obsoleto quello già presente sul mercato. Da qui il blocco del messaggio.

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