giovedì 11 Aprile 2024
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Per il sociologo Massimo Cerulo «L’espresso è un rito che ha rilevanza sociale»

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MILANO – Il sociologo Massimo Cerulo, specializzato in “Scienze della cultura”, ha partecipato all’Open Day organizzato dal Consorzio di Tutela del Caffè Espresso Italiano Tradizionale, con un intervento dedicato al rito del caffè e alla sua rilevanza sociale. Il tutto partendo dalla sua opera “La danza del caffè”. Riportiamo una sintesi con le considerazioni salienti formulate nel suo intervento.

Di Massimo Cerulo

In termini sociologici, il rito italiano del caffè espresso si configura come una pratica quotidiana, che scandisce specifici momenti della giornata: dalla sveglia mattutina alla pausa lavorativa, dal dopo-pranzo alla ricarica energetica pomeridiana.

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Per quanto tale pratica possa essere svolta in solitudine, il rito della consumazione del caffè espresso viene di solito riconosciuta come routine: un’abitudine condivisa che mette in relazione due o più persone le quali costruiscono una interazione grazie al consumo della bevanda.

Il seguente elenco riassume le funzioni principali svolte dalla consumazione sociale del caffè espresso.

È un rito sociale che:

– permette un incontro tra le molteplici tipologie di persone: colleghi, amici, famigliari, amanti, ecc. i quali, sorseggiando l’espresso, hanno la possibilità di discutere, raccogliere informazioni, intessere relazioni, stringere accordi; in termini sociologici: fare società;

– crea interazione anche tra sconosciuti, facilitando la nascita di una socialità informale e spontanea tra i fruitori della bevanda (si pensi al bancone del bar), nel frangente di tempo necessario per la consumazione: gli avventori hanno modo di impegnarsi in conversazioni spontanee sugli argomenti più vari;

– dà origine a conversazioni tra soggetti e dunque favorisce la pratica dei comportamenti sociali: interazioni, registri linguistici, atteggiamenti corporali, gestione delle espressioni emotive;

– facilita la socializzazione secondaria per gli adolescenti (compresi, orientativamente, tra i 13 e i 18 anni) i quali iniziano a frequentare la società attraverso la consumazione del caffè espresso in pubblico;

– genera uguaglianza tra i consumatori grazie al suo costo limitato, da una parte risulta alla portata di quasi tutte le tasche; dall’altra affianca nella consumazione, nei luoghi pubblici, soggetti di ruoli, classi, ceti e provenienza sociale anche molto differenti tra loro;

– costituisce un linguaggio universalmente riconosciuto – “prendiamoci un caffè espresso” – che permette un incontro tra persone di etnie, religioni, opinioni politiche-culturali differenti, le quali riconoscono l’unicità del prodotto italiano (si pensi, come esempio tra i tanti, alle interazioni tra studenti provenienti da paesi differenti che prendono forma nelle caffetterie universitarie).

– permette la messa in atto di forme di generosità – simbolica e sostanziale – rispetto al prossimo: si pensi alla pratica diffusa nei luoghi pubblici, di origine napoletana, del “caffè sospeso” (si paga un caffè al bar per il prossimo cliente).

– consente di allenare e valorizzare le capacità delle persone che lavorano in ambiti professionali inerenti alla degustazione (aICAF – Sommelier dell’Espresso; Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè; ecc.);

– accomuna gli Italiani all’estero, i quali spesso si riconoscono per la qualità della bevanda e si riuniscono in luoghi selezionati in base all’autenticità della materia prima e del processo di preparazione sostenendo l’identità della Comunità italiana in quel paese.

Il sottoscritto sostiene la candidatura del Caffè Espresso Italiano Tradizionale a Patrimonio Immateriale dell’Unesco.

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