mercoledì 10 Aprile 2024
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Hoffer, guarda nel futuro della Corsini: “Crescere per ottenere dei margini più importanti”

Il torrefattore, commenta la recente acquisizione: "Oggi si hanno due possibilità: o si resta artigiani con la propria bottega, la propria flessibilità da piccolissima impresa con una marginalità che è indipendente da quella del mercato e senza costi fissi e troppi dipendenti, e così si riesce a superare momenti critici; oppure, se si è all’interno di una struttura più importante, ci si viene a scontrare con le difficoltà derivanti da dimensioni più grandi."

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MILANO – È ancora freschissima l’acquisizione del 70% delle quote della Corsino Corsini da parte del gruppo tedesco Melitta. Per commentare quest’ultima operazione che vede la torrefazione Caffè Corsini fare un balzo in avanti verso un’ulteriore internazionalizzazione, abbiamo parlato con l’uomo della continuità: l’amministratore delegato e socio Patrick Hoffer. È stata questa anche l’occasione per fare un po’ il punto rispetto all’annosa questione del rincaro dei prezzi della tazzina e in generale, delle materie prime.

Hoffer, come si è arrivati a questa acquisizione?

“Questa operazione viene da lontano, ci lavoravamo da molto tempo: strategicamente eravamo concordi sulla valenza strategica e così siamo riusciti a completare un’operazione che lascia entrambe le parti, soddisfatte. La trattativa è stata lunga perché ovviamente è stata interrotta a causa del Covid. C’è stato questo periodo di sospensione durante il quale comunque abbiamo mantenuto vivo il rapporto, perché siamo sempre stati convinti dell’importanza strategica di un’operazione del genere nel settore del caffè: mettere insieme un’eccellenza della torrefazione italiana, con una storica potenza industriale mondiale a tutto tondo come Melitta, ha un impatto evidente per tutti.”

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Cosa ci può dire, qualche aspetto meno ufficiale dell’acquisizione?

“Il comunicato ufficiale ha voluto rappresentare proprio il fatto che ci si è trovati vicini sia come aziende industriali del caffè sia come persone. Con Bentz e i suoi collaboratori abbiamo costruito un rapporto di stima, che è nato nell’arco di mesi. Questa affinità elettiva è stata confermata lungo questo periodo di costruzione. Pensiamo che questa chimica si dimostrerà anche nel tempo a venire.”

Caffè Corsini: che cosa rappresenterà e comporterà per l’azienda questa operazione?

“All’inizio, la mia preoccupazione principale, era quella di capire la volontà da parte di Melitta di potenziare non solo il brand e la sua diffusione del mondo, ma anche di lasciare invariata l’indipendenza produttiva, lo stabilimento di Badia Al Pino (Arezzo). Dal punto di vista strategico, il voler potenziare l’impianto industriale e renderlo più efficiente e importante nel futuro, è una cosa fondamentale.

Da questo aspetto, e dal lato occupazionale è stato un passaggio decisivo. Dall’altra parte, Caffè Corsini rappresenta l’eccellenza tra le eccellenze italiane nel caffè. È un made in Tuscany oltre che un made in Italy nel mondo. Sappiamo la valenza del caffè italiano e il fatto di poter contare su un partner così solido per rafforzarla ancora, sarà per noi fondamentale.”

Quanto era diffuso Caffè Corsini in Germania prima dell’acquisizione?

“Noi esportiamo innanzitutto già in oltre 60 Paesi. La Germania di recente è diventata sempre più importante, ed è così per tutti i torrefattori italiani. Negli ultimi 4 anni, grazie all’online che è cresciuto a dismisura anche in Germania, si è trasformato nel nostro terzo mercato.

Adesso naturalmente crescerà di più
“Ma l’attenzione strategica non è in Germania. Melitta è presente in tante parti del mondo: sono molto forti in Brasile, nei Paesi del nord America. L’acquisizione punta allo sviluppo di sinergie a livello globale.”

Dovrete torrefare un caffè più chiaro?
“L’espresso italiano è quello. Poi se si vuole entrare nella dialettica dei vari gradi di tostatura… – scherza Hoffer – Ricordiamo che il nostro American Coffee è stato il primo caffè filtro prodotto in Italia e nasce nel 1990. All’epoca, a proposito di sinergie, abbiamo siglato una partnership proprio con Melitta per lanciare i filtri in Italia. Un prodotto che ancora oggi distribuiamo da quel primo accordo.”

Hoffer, lei resta l’amministratore delegato

“E anche socio, con totale indipendenza. Ovviamente ci sarà un coordinamento a livello manageriale con il gruppo, ma l’operatività e la gestione resta in capo a me.”

Che cosa ha in mente?

Crescere – ride Hoffer – E di questi tempi, riuscire anche ad avere dei margini importanti. Perché con questi aumenti non solo della materia prima raddoppiata, è una sfida. Lei lo sa che si tosta a combustione di gas: se ieri si pagava 100 euro, oggi sono diventati 150. Per non parlare degli imballi, del cartone, dei trasporti: è una tempesta perfetta.”

Hoffer, ha suscitato molto scalpore questa operazione

Perché si inserisce all’interno di una serie di acquisizioni di grandi gruppi di torrefazioni italiane. Anche grandi gruppi esteri, come Tchibo per Caffè Molinari di Modena, Coca-Cola-Hbc per Caffè Vergnano, e finanziarie italiane che hanno acquisito Caffè Borbone, la Ekaf di Genova…è una tendenza. Il made in Italy è diventato così attraente per il mercato caffeicolo internazionale e, più in generale, per le finanziarie?

“Sì. La risposta semplice, è sì. Quello che sta succedendo nel caffè accade in generale in tanti altri settori. Oggi si hanno due possibilità: o si resta artigiani con la propria bottega, la propria flessibilità da piccolissima impresa con una marginalità che è indipendente da quella del mercato e senza costi fissi e troppi dipendenti, e così si riesce a superare momenti critici; oppure, se si è all’interno di una struttura più importante, ci si viene a scontrare con le difficoltà derivanti da dimensioni più grandi.

Lei ha citato dei casi di aziende italiane che sono entrate in gruppi più ampi, strutturandosi con una forza e una capacità di competizione diversa da quella che avrebbe un’azienda che resta sola. Questo vale in tutti i settori. Il consolidamento è una tappa che oggi sembra obbligatoria a lungo andare. O si è molto leggeri e quasi artigianali, oppure la dimensione conta.”

Hoffer, lei parlava di tempesta perfetta: che cosa si può fare? Come vede la situazione?

“Avessi la risposta, sarei fortunato. Possiamo purtroppo fare solo una cosa: riuscire a portare avanti un aumento dei prezzi del prodotto. Se ieri un chilo di caffè costava 10 euro, oggi ne costa 18. Non si può pensare di venderlo allo stesso prezzo di prima. È una situazione senza via di fuga.”

Un altro dibattito forte, che lei affrontò anche quando ha avuto incarichi istituzionali è noto: la qualità del caffè in tazza. Cosa si può fare per innalzarne il valore al bar, sia qualitativamente che economicamente?

“Non è una questione di qualità. Noi serviamo nei bar italiani degli ottimi caffè, dei caffè medi e di qualità più bassa. Estratti in maniera ottimale, bene, alcuni in modo non ottimale. Però, siamo il Paese che ha creato l’espresso, che è un vero e proprio modo di consumare il caffè. Una maniera che evidentemente ha conquistato il mondo. Quindi, il caffè che serviamo è un prodotto di eccellenza. Può essere, ripeto, fantastico, o più basso, ma non si parla di qualità intrinseca del prodotto.

L’aspetto del prezzo della tazzina, invece è un’altra questione. Oggi, si legge ovunque, che l’Italia è il Paese dove la tazzina del caffè ha il prezzo più basso in Europa, senza un motivo. Perché? Io ricordo da sempre che il prezzo della tazzina andava di pari passo con il quotidiano. Oggi, quanto costa il giornale? Un giorno un euro e cinquanta, un giorno due euro. E allora questa fissazione del prezzo basso di un euro, per quale motivo deve restare?

Non premia nessuno: in primis il consumatore, che non può apprezzare la totale valenza della filiera del caffè, non può scoprire gusti nuovi, non sa cosa c’è dietro la ricerca della bevanda. L’aspetto del prezzo dell’espresso a un euro penalizza tutta la filiera, andando a ritroso sino in origine.”

Il prezzo lo decidono i baristi o i torrefattori?

Hoffer è perentorio: “Il prezzo della tazzina lo decide il proprietario del bar. Non c’è nessun altro che può farlo per lui. Non ci sono associazioni di categoria, gruppi di baristi, torrefattori: lo decide il titolare esclusivamente e a seconda delle sue valutazioni, del mercato, della piazza, del paese, della città, decide. “

Una delle sue iniziative Hoffer, Ditta Artigianale è decisamente molto popolare: addirittura è arrivata a Toronto con Francesco Sanapo, mentre a Firenze si ingaggia un nuovo grande chef. Che futuro avrà questa catena di caffetteria, alla luce di questa operazione Melitta?

“All’origine di Ditta Artigianale ci sono Patrick Hoffer e Francesco Sanapo, senza che ci sia nessuna commistione societaria con Caffè Corsini. Ovviamente, Caffè Corsini è alla base, perché è stata quella la casa natale da cui sono partite le idee, ma hanno due percorsi completamente indipendenti. Due realtà complementari quindi, collegate dalla mia figura, ma separate. Le accomuna una visione del caffè molto particolare: un prodotto di eccellenza, di cui siamo innamorati.

Il futuro di Ditta Artigianale è radioso: tra me e Francesco ci sono altri soci, tutti appassionati del caffè, che credono estremamente alle potenzialità che ha il caffè nel mondo. Se noi pensiamo ai prodotti più venduti nel mondo, qual è il primo che ci viene in mente? La Coca Cola, che non a caso ha la caffeina alla sua base. E la seconda soft drink è la Red Bull: cosa c’è dietro? Ancora la caffeina. Se noi mettiamo insieme tutti questi
puntini, vediamo che la caffeina è un prodotto che consumiamo molto. Il caffè ne è l’emblema, che offre una quantità di aspetti non solo gustativi, ma di un mondo che parte dalla produzione, dalla lavorazione nei paesi di torrefattori, di operatori. “

Concludiamo con una domanda sullo specialty: è una tendenza da cavalcare anche per i torrefattori più importanti come caffè Corsini, o la vedete ancora come una minaccia?

“Mai visto come una minaccia. Siamo stati la prima azienda in Italia a importare, tostare, vendere specialty. Nel 1989, è avvenuto il lancio dell’Estrella del Caribe, con una pubblicità che diceva: è nato il caffè DOC. Siamo stati i primi a dichiarare l’origine di un caffè. È quello è stato l’inizio di tutto. Non si entrava più nei bar chiedendo solo un caffè. Si dichiarava la sua provenienza.

Dal lontano 1989, con la collaborazione di Silvano Corsini, lo specialty è un punto d’arrivo che dura trent’anni, che non abbiamo creato noi ovviamente, ma che da sempre abbiamo sostenuto – siamo stati noi i soci fondatori della Specialty coffee Association of Europe nel 1999-2000 come azienda. Crediamo che il lavoro di valorizzazione del prodotto, della produzione in origine, la collaborazione con gli agricoltori per valorizzare la tazzina e il suo gusto, sia un percorso fondamentale nel mondo del caffè a tutti i livelli. Non c’è una barriera in termini di dimensione: lo specialty è aperto a tutti i consumatori. Chiunque deve poter scegliere di consumare una tazzina differente, piuttosto che quella solita. “

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