domenica 05 Maggio 2024
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Guido Cattolica racconta il suo borgo delle Camellie in lucchesia: 2500 piante di tè, resistenti a meno 12°

L'agronomo: "Faccio tutto da solo insieme a mia sorella, ma ci tengo molto a lavorare così e rigorosamente a mano, a partire dalla raccolta. Non applico trattamenti chimici, nonostante non sia iscritto al biologico."

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MILANO – Guido Cattolica, il primo botanico che ha creato una piccola piantagione di tè in Italia in lucchesia nel 1988, è praticamente un’istituzione del settore. Il suo esperimento della Camellia Sinensis in Italia è partito all’orto botanico di Lucca, presso il quale erano custodite due piante piuttosto grandi.

Nell’85, con una grande gelata, erano riuscite a sopravvivere rispetto ad altre. Allora l’idea: provare ad acclimatare la CamelliaSinensis a quella località.

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Oggi Cattolica ha già raggiunto un buon numero di piante, 2500, idonee a sopravvivere all’inverno (che è il problema principale per una pianta subtropicale) resistendo fino a 12 gradi sotto zero.

Cattolica, da dove arrivavano i primi semi da cui è partito l’esperimento?

“Il tutto è partito dalla collaborazione con l’orto botanico di Lucca. Negli anni ’70 stavo già scrivendo un libro sul tema e lì c’erano due piante di Camellia Sinensis acquistate da Londra che sono sopravvissute alla gelata dell’88: questo mi ha spinto a iniziare una selezione di soggetti che potesse sopravvivere al freddo.

Questo mi è riuscito soltanto dopo vari anni: da agronomo ho proceduto prendendo le piante più grandi che poi ho chiamato linea Sant’Andrea.

Il risultato è stato talmente interessante, che da un istituto specializzato del tè del Cina, sono venuti varie volte da me in visita a prelevare la foglia.

In realtà ho sfruttato quello che in natura si usa fare: la sopravvivenza degli individui più robusti.

I miei colleghi botanici con cui collaboravo all’epoca, mi hanno dato un po’ del folle, anche perché la letteratura scientifica fino ad allora dicevano che non era possibile coltivare il tè in Italia.”

In lucchesia ci sono condizioni favorevoli?

Cattolica: “Ci sono per l’attecchimento del genere Camellia – sono stato io l’iniziatore del borgo della Camellia – e naturalmente la situazione del terreno è adatta. Bisognava comunque provarci e insistere nell’esperimento selettivo.”

Come ha organizzato il terreno su cui stanno crescendo le sue piante?

“All’inizio della coltivazione ho arato i 5 appezzamenti di cui sono in possesso, ubicati in una sorta di anfiteatro che degrada su cui queste 2500 piante di tè sono suddivise. Sono un ibridatore di Camellie e ho ottenuto quasi 200 nuovi ibridi di Camellia ornamentale.”

L’appezzamento dell’azienda Fabrica de Cha Porto Formoso situata nella costa nord di ilha de São Miguel nelle Azzorre (foto concessa)

Cattolica, lei come lavora poi il tè che ha coltivato? Quali sono i vari step prima di raggiungere il risultato finale?

“Premetto che faccio tutto da solo insieme a mia sorella, ma ci tengo molto a lavorare così e rigorosamente a mano, a partire dalla raccolta. Non applico trattamenti chimici, nonostante non sia iscritto al biologico.

Infatti definisco il mio tè, naturale.

Faccio tre raccolti annuali, quando va bene: uno primaverile tra aprile e i primi di maggio che destino alla produzione del tè bianco e del verde, i due più delicati. Il secondo passo all’Oolong, intermedio tra i primi due e i neri.

Il terzo raccolto lo uso per il nero, quando anche il germoglio nuovo prodotto diventa più coriaceo e meno acquoso.

Nella lavorazione del tè bianco e verde si lotta per non farli ossidare: si sottopone subito dopo la raccolta il prodotto a un innalzamento termico fino a 100 gradi, fatta velocemente, in tre minuti.

Per bloccare l’ossidazione si applica questo trattamento e dopodiché si passa all’essicazione.

In quello Oolong, si deve fare il contrario e facilitare l’ossidazione con la rollatura: si agisce energicamente sulle foglie, si rompono le nervature fogliari.

La bravura consiste nel bloccare il processo al momento giusto. Il tè nero invece vede l’ossidazione spinta fino all’estremo.

Questo ha dei pro e dei contro: rispetto al tè verde e bianco, contiene meno principi attivi buoni per la salute che con l’ossidazione vanno via. Mentre il tè Oolong e quello nero assumono un gusto più accentuato che a qualcuno piace.

Quasi tutti i miei tè contengono un livello più o meno costante di caffeina, la sola cosa che cambia è la teina nell’organismo: i polifenoli attenuano l’effetto negativo della caffeina.

Poi c’è la fase del packaging finale, pensando alla shelf life.

Ho progettato una scatolina che confeziono, con i filtri fatti fare in Germania, asettici che non disturbano i sapori, di due grammi e mezzo per scatola, adatti ad un’infusione per 200ml di acqua. Il bilancio tra tè e acqua è fondamentale.”

Cattolica, lei distribuisce il suo tè in negozi specializzati o vende online?

“Lo distribuisco direttamente soltanto alle persone che mi vengono a trovare presso la mia piantagione.

A loro spiego il prodotto e in questo modo sono diventati miei clienti affezionati. La maggioranza arriva in occasione di una mostra che ho organizzato sulle Camellie a marzo.

Qui abbiamo organizzato una valle intera di Camelie di origine antica e abbiamo ospitato un congresso mondiale a riguardo.

Abbiamo persino cambiato il nome del luogo: è vero che siamo A Sant’Andrea di Compito, ma è riconosciuto ormai come il borgo delle Camelie.

Produco circa 1200-1300 tè all’anno. Ma è il quantitativo sufficiente per evadere la richiesta dei miei clienti affezionati.

Un altro aspetto che mi convince molto di questo progetto è che incuriosisce: la mia piantagione è diventata meta di diversi personaggi particolarissimi, come Gerard Depardieu, Alain Delon e di un romanziere che ho ispirato per il suo romanzo “Assam” – perché ho dei parenti inglesi che negli anni ‘30 erano responsabili di 4 piantagioni in India di tè in Assam -.

E da questo, ne hanno tratto un film.”

Cattolica, ha vissuto esperienze in altre piantagioni?

“Quella che conosco bene è nelle isole Azzorre, in cui c’è l’unica piantagione vera e propria come grandezza a livello europeo: si distingue dalla mia che è micro, di mezzo ettaro, contro quella che è di varie decine di ettari.

Mi piacerebbe molto vedere quelle giapponesi: i miei amici coltivatori di lì vengono spesso da noi per fare degustazioni e mi hanno sempre invitato.

Ho partecipato a vari concorsi internazionali, uno ad Amburgo in cui il mio Oolong è arrivato dodicesimo tra i 60 migliori del mondo.

Poi ho aiutato altre persone a realizzare la propria piantagione in Europa: a Nantes, in Galizia, in Olanda e una in Inghilterra in Cornovaglia, in Scozia. Abbiamo proceduto con la stessa linea di selezione per arrivare a piante resistenti. Il terreno, ovviamente, dev’essere favorevole.”

È diventato d’interesse anche per la Cina il suo ecotipo: un viaggio al contrario. Ce lo racconta?

“Addirittura quando ci fu il disastro di Fukushima, mi hanno chiesto del tè verde da vendere incontaminato.

Dal Giappone vengono a trovarmi almeno una volta all’anno, i membri del Tea Japan Exporter, l’associazione più importante per l’esportazione del mondo.

Il mio mondo quindi attualmente si alterna tra l’Italia e le Azzorre, dove ho acquistato un terreno per replicare l’esperimento soprattutto con il tè Oolong.”

Secondo lei ci sarebbero condizioni per replicare il suo modello altrove in Italia?

“Sì ci sono. Tant’è vero che sto seguendo un piccolo impianto di tè alle pendici dell’Etna.

È una zona molto diversa rispetto a quella che hanno provato ad avviare gli inglesi nei primi dell’800 nella zona di Caltanissetta.

Nel terreno ricco di sostanze fertilizzanti dotato di irrigazione, invece, ci sono prospettive: finora, 150-200 piante di tè sono attecchite.”

E ora come procederà questo esperimento, che ormai sembra più che riuscito?

Cattoilca: “Sto cercando nel tempo di passare da 5 ripiani a 6, aumentando leggermente la produzione. Vista la richiesta, ce n’è bisogno.

La speranza è che l’organizzazione culturale che gestisce la mostra della Camellia si interessi un domani ad annettere questo mio progetto.

Attualmente sto portando avanti un esperimento per non addetti ai lavori, di coltivazione de tè sott’acqua a largo di Livorno.

Abbiamo posizionato alla base di una secca, una bolla di plexiglass abbastanza alta. Ci
può entrare una persona.

In situazione idroponica, abbastanza asettica, con un substrato con una soluzione
circolante al cui interno stanno le piantine di tè.

Questo perché ho la speranza di poter verificare che a una certa profondità, le piante mettano in atto dei sistemi per emettere alcune sostanze: un polifenolo, l’epigallio catechingallato, l’unico che veramente dal punto di vista scientifico protegge dal tumore del colon del retto.

Se ci concentrasse questa sostanza a 12 metri di profondità, lo studio potrebbe andare avanti.

Sono d’accordo con il Sant’Anna dell’Università di Pisa per sviluppare la ricerca, che è operativa da un anno e mezzo. Le giovani piantine stanno andando avanti e tra poco saranno in grado di ricevere i primi prelievi per constatare il parametro.

Hanno capito che il tè ha delle risorse importanti da studiare. Prova ne sia che la stazione spaziale ha lassù, proprio il tè delle Azzorre.”

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