giovedì 18 Aprile 2024
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Giorgio Grasso a Tce: «Vi spiego perché l’importanza del crudista in Italia rimane imprescindibile»

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TRIESTE – L’importanza del crudista e il suo ruolo nel peculiare comparto italiano della torrefazione, che si caratterizza per la presenza di un numero ancora elevato di Pmi, sono stati il tema trattato da Giorgio Grasso (Aziende Riunite Caffè),  a Trieste Coffee Experts. Vi proponiamo di seguito – su gentile concessione degli organizzatori – il testo integrale del suo intervento all’importante evento triestino.

Innanzitutto, sull’argomento di cui mi hanno invitato a intervenire, parlerò di me stesso e cioè del tipo di azienda che io rappresento e di un business che non rappresentiamo solo noi, ma abbiamo eccellentissimi colleghi che svolgono il lavoro. Quindi mi scuso già adesso se sarà un minimo di parte o autoreferenzianle, ma non è questo il concetto che volevo trasmettere.

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Voglio piuttosto sottolineare come lavoriamo noi del comparto dello sdoganato

In Italia esistono due grosse famiglie di torrefattori: la torrefazione industriale (grosse e medie aziende) che si rivolgono all’origine con i propri strumenti. Perché sono strutture organizzate con rapporti diretti con le piantagioni, acquistano caffè attraverso traders internazionali. E hanno un atteggiamento, un comportamento nei confronti del prodotto che è legato a logiche industriali, a logiche di grandi numeri, quindi hanno dei limiti legati alle modalità in cui sviluppano il prodotto.

Poi esistono le piccole e medie aziende. E credo che l’Italia sia un caso abbastanza particolare a livello europeo: esistono centinaia e centinaia di piccole e medie realtà, alcune storiche, altre meno storiche che hanno necessità di confrontarsi sia con il mercato sia con il prodotto in maniera diversa rispetto alla grossa azienda.

Quindi, vendere il caffè all’azienda industriale non è la stessa cosa che vendere caffè sdoganato.

Qui in Italia esistono i cosiddetti crudisti e per crudista si intende l’azienda che fornisce torrefattori normalmente sotto forma di caffè sdoganato; risolvendo a monte per loro una serie di processi.

Per motivi anagrafici ho visto la prima onda, ho visto la seconda, non so se questa sia la terza chissà se ci sarà una quarta. Ma spero di esserci anche per la 4, la 5, la 6 e la 7.

E quanto meno chi ci sarà dopo di noi affronterà il loro momento grazie anche a noi. Secondo me la nostra funzione è importante perché la Pmi non ha quasi mai la capacità strutturale organizzativa di confrontarsi direttamente con chi prepara i lotti per loro. E per la piccola/media azienda il concetto qualitativo del caffè è più importante.

Le grosse/medie aziende oggi sviluppano la loro immagine attraverso marketing e pubblicità, dove investono molti soldi.

Alla Pmi non rimane altro che il proprio prodotto. Devono concentrare l’attività sul commercializzare il loro prodotto, far conoscere il loro prodotto seguendo una logica qualitativa molto importante.

Paradossalmente, all’interno della miscela di un’azienda c’è la propria essenza – il proprio dna.

Io ritengo che la funzione del crudista sia una sorta di missione nel senso che deve supportare il torrefattore per mantenere la sua funzione nel loro mondo. E visto che questo mercato si è evoluto, si sta evolvendo e continuerà a evolversi la funzione non consiste solo nel vendere caffè ad un certo prezzo e consegnarlo. Ma consiste nell’andare all’origine, scegliere i lotti e confrontarsi con chi prepara i lotti destinati alla fornitura dei propri clienti, avere la conoscenza delle esigenze dei clienti.

E sappiamo benissimo che l’Italia è un paese che ha delle caratteristiche molto eterogenee: forse l’unico caso al mondo che da Merano a Palermo si bevono caffè diversi, preparati in modo diverso e con un’aspettativa sul gusto molto diversa.

Il concetto di qualità poi è un concetto molto vago

perché non esistono caffè migliori o peggiori ma caffè più adatti ad un certo tipo di tostatura o estrazione e il crudista deve avere ben chiaro questo tipo di funzione che ha.

Poi, non solo, se è vero, come è vero, che la filosofia sul prodotto dalla prima onda si sta evolvendo e oggi c’è una ricerca più specialistica sulla qualità… io non sono un fanatico delle specialty fine a sé stesse. Io sono un fanatico della cultura del caffè, della conoscenza del prodotto che si usa, dell’importanza della competenza di chi trasforma il prodotto: grande competenza nello stoccare il prodotto, nel torrefarlo, nell’estrarlo e nel servirlo al proprio cliente in una certa maniera.

Poi certo che in una scala di valori ci sono caffè di altissima qualità e caffè di bassa qualità,

ma è inutile andare a cercare di usare caffè di altissima qualità se non si hanno coscienza e conoscenza della trasformazione del prodotto e del prodotto che si va ad acquistare.

Per quello ritengo che il nostro lavoro sia importante, proprio perché è una sorta di partnership nei confronti della nostra clientela. I miei capelli bianchi testimoniano quanto abbia seguito l’evoluzione del settore. E mi rendo conto di quanto la nostra figura sia importante: non solo al fine di vendere caffè ma per aiutare i nostri clienti a crescere. E qui è importante il concetto di rete.

Veicolo formativo e fonte di evoluzione

Noi siamo anche un veicolo formativo. Perché aiutiamo i nostri clienti a tostare al meglio il caffè, a creare la miglior curva di tostatura per quel tipo specifico di caffè, la miscela, gli accostamenti tra i tipi di caffè, le difficoltà tra un caffè e l’altro.

E dobbiamo essere anche fonte di evoluzione, aiutarli in questa evoluzione, che nasce nella piantagione. Ma arriva poi direttamente al prodotto consegnato e trasformato per seguirlo.

Ho assistito prima al discorso dell’evoluzione nel modo di servire dei locali che approcciano il prodotto al consumatore.

In Italia siamo indietro, perché lo siamo in molti campi e perché esiste un radicamento al concetto di caffè e di espresso diverso dalla Cina dove lì sono partiti da zero, con un terreno più fertile per sviluppare e andare in certe direzioni.

Per gli italiani cambiare un certo tipo di abitudine, di gusto, è sicuramente più difficile,

ma deve avvenire anche attraverso il torrefattore e lui deve essere aiutato dal crudista a conoscere meglio il prodotto che tratta e il torrefattore a trasmetterlo alla propria clientela: una filiera di cui siamo parte integrante.

Il concetto di quarta onda… noi vogliamo essere sul mercato in maniera cosciente, conoscere a fondo le esigenze dei nostri clienti in questo momento… il futuro? Beh, non abbiamo il dono della previsione o la palla di cristallo.

Sicuramente il futuro è orientato nella 3, 4 o 5 onda verso ciò che è legato non soltanto al concetto di evoluzione nel trattare il caffè dalla piantagione alla tazzina, che è importante, ma anche verso la coscienza di chi consuma caffè.

Le logiche di filiera vanno cambiate

Oggi, soprattutto nei paesi occidentali c’è la necessità culturale di far parte di un progetto che favorisca gli agricoltori che producono caffè e che permetta a loro di bere quel prodotto. Che ci sia trasparenza nel meccanismo commerciale e qualitativo. In Italia c’è tanta strada da fare, siamo molto indietro.

Noi forniamo caffè a tutta l’Italia e mi rendo conto che, sentendo le logiche australiane o statunitensi, ancora molta acqua deve passare sotto i ponti. Credo che la nostra funzione quindi sia molto importante, e mi sono permesso in questo intervento di sottolinearlo.

Credo che un crudista che oggi deve fornire la materia prima alla piccola/media torrefazione in Italia debba avere delle caratteristiche di un certo tipo, una cultura, una conoscenza e soprattutto una presa di coscienza di come sta girando il mondo del caffè. E non solo.

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