giovedì 11 Aprile 2024
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I fondi di caffè potrebbero essere l’elemento chiave nel trattare le malattie neurodegenerative

L'acido caffeico è unico perché può penetrare la barriera emato-encefalica ed è quindi in grado di esercitare i suoi effetti sulle cellule del cervello

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MILANO – E se i fondi di caffè potessero aiutare a formulare nuovi piani terapeutici per trattare le malattie neurodegenerative, li buttereste ancora nell’organico senza farci caso? Li considerereste ancora uno scarto? A gettare luce sul tema, una ricerca che si trova ancora nel suo primo stadio.

Svolta dall’Università del Texas a El paso e sostenuta da una sovvenzione del National Institutes of Health, ha scoperto che i Carbon Quantum Dots (CACQDs, ovvero nanoparticelle di carbonio di dimensioni inferiori a 10 nm, n.d.r.) derivati dai fondi di caffè esausti potrebbero proteggere le cellule cerebrali dai danni causati da malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson.

Il team sotto la guida di Jyotish Kumar, dottorando presso il Dipartimento di Chimica e Biochimica, e supervisionato da Mahesh Narayan, Ph.D., professore e Fellow della Royal Society of Chemistry dello stesso dipartimento, hanno rilevato che i Quantum Dots (CACQD) a base di acido caffeico, che possono essere ricavati da fondi di caffè esausti, potrebbero avere una funzione protettiva delle cellule cerebrali dai danni causati da diverse malattie neurodegenerative – se la condizione è innescata da fattori come l’obesità, l’età e l’esposizione a pesticidi e altre sostanze chimiche ambientali tossiche -.

Il tutto, attraverso un processo di estrazione ecologico che rende questo approccio economicamente valido e sostenibile. Nel laboratorio, il team cucina i campioni di fondi di caffè a 200 gradi per quattro ore per riorientare la struttura del carbonio dell’acido caffeico e formare i CACQD.

Il lavoro è descritto in un articolo pubblicato nel numero di novembre della rivista Environmental Research.

Fondi di caffè, una barriera protettiva per il cervello

I CACQD infatti potenzialmente potrebbero indirizzare le cause alla base dei disturbi neurodegenerativi, anziché limitarsi a gestirne i sintomi e quindi rimuovere i radicali liberi e inibire l’aggregazione dei frammenti di proteina amiloide.

Un vero e proprio cambio di passo rispetto alle attuali terapie, perché nessuno dei trattamenti attuali è una soluzione della patologia, ma è focalizzato alla gestione dei sintomi. L’obiettivo del seguente studio invece, è trovare una cura affrontando le basi atomiche e molecolari che guidano queste condizioni.

L’acido caffeico appartiene a una famiglia di composti chiamati polifenoli, di origine vegetale e noti per le loro proprietà antiossidanti, o di eliminazione dei radicali liberi.

L’acido caffeico è unico perché può penetrare la barriera emato-encefalica ed è quindi in grado di esercitare i suoi effetti sulle cellule del cervello.

I disturbi derivati dalle malattie neurodegenerative, quando sono in fase iniziale e sono causati da fattori ambientali o di stile di vita, condividono diverse caratteristiche.

Tra queste, gli elevati livelli di radicali liberi – molecole dannose che sono note per contribuire all’insorgere di altre malattie come il cancro, quelle cardiache e la perdita della vista – nel cervello e l’aggregazione di frammenti di proteine che formano l’amiloide e che possono portare a placche o fibrille nel cervello.

Kumar e i suoi colleghi hanno scoperto che le CACQD agivano come neuroprotettori in esperimenti in provetta, linee cellulari e altri modelli di Parkinson quando il disturbo era causato da un pesticida chiamato paraquat.

I CACQD, ha osservato il team, sono stati in grado di rimuovere i radicali liberi o di impedire che causassero danni e hanno inoltre inibito l’aggregazione di frammenti di proteina amiloide senza causare effetti collaterali significativi.

Il team ipotizza che negli esseri umani, nella fase iniziale di una patologia come l’Alzheimer o il Parkinson, un trattamento a base di CACQD possa essere efficace nel prevenire la malattia vera e propria.

Il traguardo finale è ancora lontano. Tuttavia per ora, lo sviluppo della ricerca potrebbe portare alla creazione di un farmaco – una pillola, forse – in grado di prevenire la maggior parte dei disturbi neurodegenerativi causati da fattori diversi dalla genetica.

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