mercoledì 10 Aprile 2024
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Jamaica, bar storico degli artisti a Brera

Micaela Mainini, attuale titolare del Jamaica: "Brera all’epoca era un quartiere molto lontano da quello a cui siamo abituati oggi, era malfamato e periferico. Le strade erano piene di bordelli, delinquenti e artisti senza una lira. C’erano numerosi pittori, che erano soliti condividere una stanza per lavorare".

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MILANO – Esistono alcuni luoghi che trascendono la funzione per cui sono stati creati e che, con il tempo, diventano parte della storia, perdendosi nella leggenda, della città in cui si trovano. Il bar Jamaica non ha di certo bisogno di presentazioni: lo storico locale milanese simbolo di Brera è stato il punto d’incontro di innumerevoli menti artistiche degli anni ’40 come Salvatore Quasimodo o Sirio Musso per dirne alcuni tra i tanti. Il Jamaica è bar divenuto un emblema per i sognatori di Brera e di tutto il mondo, il quale ha guadagnato il soprannome di Montmartre di Milano dalla stampa per la sua natura artistica ed eclettica. Riportiamo di seguito dal sito Mentelocale un articolo interessante che ha il Jamaica come protagonista e di qui avevamo già parlato qui.

Il bar Jamaica

MILANO – “Quasi tutti quei fotografi sono diventati grandi, famosi. Ma per chiunque sia nato e cresciuto al Jamaica le loro fotografie più belle restano quelle là, con quattro o cinque giovani molto giovani seduti sulle poltroncine di ferro del giardino, o dentro, contro lo sfondo delle piastrelle bianche, in vaghe pose sognanti e incomprensibili, davanti a un bicchiere di bianco e ad altre cose – cose invisibili, quelle, eppure, a guardare bene, specchiate confusamente nelle loro pupille magari anche raffigurate come enigmi da quattro soldi nelle pose di quel loro orgoglio inconsistente, fin troppo vulnerabile” (Emilio Tadini).

Con le parole del fotografo, pittore e scrittore Emilio Tadini vogliamo trasportarvi all’interno dell’atmosfera del Bar Jamaica, l’undicesima tappa del tour di mentelocale.it per le botteghe storiche di Milano.

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Il bar Jamaica a Milano

Il locale milanese, che un tempo si chiamava Fiaschetteria Ponte di Brera, fu rilevato nel 1911 dal signor Carlo Mainini, che nel 1928 sposò Adele Rossini, detta Lina.

Lina, per oltre mezzo secolo ha portato avanti l’attività contribuendo in maniera significativa alla fortuna del locale. Fu poi il figlio Elio a portare avanti l’eredità di famiglia.

La storia del bar

La svolta del Jamaica risale al 1948, quando molti gruppi di artisti della zona, dopo essersi spostati dal bar di fronte, iniziarono a frequentare in maniera assidua il locale. Il magico luogo nel cuore di Brera venne poi soprannominato dalla stampa e dalla gente la Montmartre di Milano grazie a quella abbondanza di menti creative che popolava la zona.

“Brera all’epoca era un quartiere molto lontano da quello a cui siamo abituati oggi, era malfamato e periferico”, racconta Micaela Mainini, nipote di Carlo e attuale titolare del Jamaica: “Le strade erano piene di bordelli, delinquenti e artisti senza una lira. C’erano numerosi pittori, che erano soliti condividere una stanza per lavorare”.

Tre generazioni hanno portato e portano avanti ancora oggi un luogo, che per Milano non rappresenta solo un bar, ma una vera e propria casa, una città dentro la città. Da qui sono passati artisti, politici, fotografi, giornalisti, designer, modelle, registi, attori, architetti.

Gli artisti del bar Jamaica

A quel bancone hanno bevuto Piero Manzoni, Bobo Piccoli, Arturo Camassi, Dario Fo, Mariangela Melato, Ugo Mulas, Sirio Musso, Salvatore Quasimodo, Mario Dondero e molti altri nomi e volti noti.

Qui c’era sempre un tavolo libero per i sognatori, per i single, per quelli che non avevano nessuno. C’era sempre spazio per idee e pensieri, anche quelli più inesprimibili. Fu proprio qui, tra queste mura che Pomellato ha ideato alcuni dei suoi gioielli.

“Qui le persone trascorrevano molto del loro tempo tempo, c’era perfino il cenone di Natale dedicato a coloro che non possedevano una famiglia”, racconta Micaela Mainini: “Mio nonno non chiudeva praticamente mai il locale e accoglieva gente di ogni ceto ed estrazione sociale. È stato l’impegno della mia famiglia e l’insieme di alcuni fortunati eventi a rendere questo posto un simbolo per migliaia di persone”.

Un punto d’incontro d’eccezione

Il Jamaica possiede una particolare energia attrattiva: chiunque ci passi davanti non può fare a meno di sbirciare dentro una delle vetrine, e immaginare, che proprio seduta su una di quelle sedie, una mitica Maria Monti beveva un caffè caldo.

Luoghi come il Jamaica a Milano erano per i milanesi punti di incontro, di aggregazione e socialità in cui bere, scrivere, ridere, amare; dove confidarsi mangiando un panino, piangere bevendo un bianchino, ma soprattutto fantasticare e immaginare.

Qui ci si poteva permettere di vivere l’istante e di godere del momento; qui non c’erano telefonini o computer, semmai c’erano le mani di qualche giovane con una macchina fotografica pronta a immortalare una Milano che non tornerà più.

Qui c’era spazio per i sogni, anche per quelli più irrealizzabili e insensati, perché tanto si era giovani, e quando si è giovani il tempo può anche aspettare.

Ancora oggi al Bar Jamaica si respira ancora l’aria di quella vecchia Milano forse sepolta, ma che resta, come un’impronta, nel cuore di chi, anche solo per poco o per un’istante l’ha vissuta.

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