mercoledì 10 Aprile 2024
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Alla caffetteria kilometro 0 di Cremona, lo specialty si beve ma fatica oltre l’euro a tazzina

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MILANO – Continua l’inchiesta che vuole unire le tante testimonianze dal mondo della gestione di locali in tutta Italia. Il punto di vista di un imprenditore che ha cambiato vita per passione, trasformando la sua professione di architetto in quello di barista. Fondatore della caffetteria Kilometro 0 di Cremona, insieme a sua moglie. Con la quale apre ogni giorno le porte del locale a una clientela che ricerca qualità nell’offerta food&beverage.

Kilometro 0: una sfida che si gioca sul territorio

“Abbiamo aperto pensando che il nostro core business fosse la caffetteria. Quindi abbiamo seguito corsi di formazione con Andrea Antonelli. Ma a un’età vicina ai sessantanni: prima mia moglie lavorava come contabile e io come architetto.

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Non eravamo neppure grandi frequentatori di locali. La scoperta del caffè è avvenuto in una caffetteria, dove abbiamo avuto l’idea di aprine una nostra.

Arrivavamo da settori completamente diversi, poi un giorno abbiamo incontrato Andrea Antonelli. Da lì siamo partiti e non ci siamo più fermati.”

Abbiamo iniziato a formarci, con i corsi di barista skills e ancora oggi aggiorniamo continuamente le nostre competenze

Continua il titolare di Kilometro 0: ” Abbiamo sempre contato sul supporto di consulenza e scambio di opinione di Andrea Antonelli. Siamo curiosi e vogliamo sempre innovare. Lavorando esclusivamente con gli specialty, trattati quotidianamente con espresso e anche in buona parte con il filtro.”

Cosa dovrebbe sapere chi decide di avviare un’attività come Kilometro 0?

“Dal punto di vista tecnico, sul caffè, tutto ciò che compete la filiera dalla piantagione alla tazzina. Come imprenditore, noi siamo stati un po’ atipici: noi purtroppo abbiamo imparato strada facendo molti aspetti.

Questo perché l’elemento più commerciale è anche quello che noi meno condividiamo. Cercare il miglior prezzo non è la nostra filosofia. Noi ci focalizziamo sulla qualità, entro i limiti della sostenibilità economica. In modo da sopravvivere: l’acquisto dello specialty coffee non ha lo stesso prezzo di un caffè commerciale.”

E per questo la vostra tazzina specialty ha un costo che supera l’euro?

“No. Questo perché Cremona è una città dove non è possibile vendere un caffè a più di un euro. Le persone vanno a bere il caffè per socializzare, non per il prodotto. Essendo vicino a un altro bar, se noi vendessimo lo specialty a un prezzo maggiore, indirizzeremmo automaticamente i clienti dalla concorrenza. E noi non sopravviveremmo.”

Quindi per andare avanti, quali strategie avete adottato?

“Con altri prodotti. Infatti noi ci occupiamo delle colazioni, dei pranzi, qualche cena e gli aperitivi. Se io devo analizzare proprio i libri contabili, il caffè non è la bevanda che ci dà da vivere. Non a questi prezzi e non con il bacino di utenti di Cremona, che è molto diverso da quello di Milano o Brescia.

Puntiamo sulla proposta di cibi e bevande che appartengono al territorio. Gli estratti di frutta e verdura sono ottenute con ciò che la pianura padana offre stagionalmente. Il pane lo prendiamo dalla cascina.”

Qual è allora il valore aggiunto della caffetteria Kilometro 0?

“Se vogliamo riferirci al caffè, ovviamente chi è appassionato sa che qui ne troverà uno di alta qualità. E’ innegabile, lo sperimentano tutti e alcuni attraversano la città per berlo qui. Poi l’offerta di un’atmosfera: animiamo il Kilometro 0 con appuntamenti culturali, tra presentazioni di libri e mostre di pittura. Questo è uno spazio anche di coworking dove sono in molti a sostare per lavoro. Il tipo di clientela poi che ci frequenta maggiormente è il pubblico femminile, proprio per il clima tranquillo del locale.

Altri elementi distintivi sono frutto della nostra scelta di non vendere prodotti commerciali e superalcolici. Noi offriamo solo prodotti artigianali, per una clientela un po’ di nicchia. Ci differenziamo quindi per la qualità e l’ambiente: il primo fattore che è stato da noi fortemente cercato; il secondo, che è venuto a crearsi naturalmente.”

Avete lavorato su una strategia di comunicazione della vostra azienda, magari sui social?

“Non abbiamo una strategia di marketing dietro alla nostra attività. On-line lavoriamo con Instagram e Facebook. Ma la vera via è quella del passaparola. Cremona ha ancora un’impronta un po’ arretrata. I clienti più fidelizzati poi comunicano ad altri.

Noi arriviamo da altre realtà lavorative. Siamo cresciuti poco alla volta e l’utilizzo del passaparola, ci ha permesso di evolverci in questo settore con tempi meno serrati.

In automatico poi, questo ha selezionato il tipo di clientela che ci ha seguito.”

Avevate un target ideale quando avete aperto Kilometro 0?

“Sì. Eravamo noi i nostri stessi clienti ideali. Qualsiasi cosa che viene proposta nel nostro locale, è in linea con i nostri desideri. Compreso l’ambiente.”

Lei è un architetto: quindi ha studiato il design di Kilometro 0?

“Quando abbiamo iniziato abbiamo dovuto fare i conti con il budget a nostra disposizione. Di conseguenza, l’allestimento interno è stato improntato molto sul “made in home“. Abbiamo montato noi i mobili. Non è una caffetteria costruita per attirare un determinato cliente. Non c’è quindi una risposta specifica alla domanda: perché continuiamo a stare aperti. Siamo in vita da ben 5 anni ormai.”

Perché secondo lei, molti chiudono nell’arco di un anno?

“Abbiamo visto tante persone di nostra conoscenza, chiudere perché non avevano la volontà di sorreggere un carico di lavoro così alto. Avevano sottovalutato il mestiere. Anche noi lo abbiamo fatto, ma poi abbiamo tenuto duro.”

Che cosa avreste voluto sapere quando avete aperto, per fare meglio?

“Avrei voluto poter contare su un business plan che rispecchiasse in maniera veritiera i tempi, l’impegno e i ricavi per far funzionare la macchina. Gli sforzi non sono proporzionali al guadagno. Abbiamo contato su un professionista che ci ha fornito un business plan che però non si è rivelato effettivo. Non aveva considerato adeguatamente la realtà cremonese.”

Avete analizzato i vostri competitor di successo, studiando i casi italiani e i format esteri?

” Sì. Noi visitiamo i locali più famosi, pur non condividendone le filosofie. Questo perché spesso in questi posti si dà troppo valore al profitto. Ciò che accade dietro le quinte, non ci è piaciuto. Noi entriamo ovviamente con un occhio diverso da quello del solito cliente. La prima cosa che faccio è sentire se c’è odore di caffè bruciato. La seconda è controllare lo stato di pulizia della campana. Oppure osservo il modo in cui viene spurgata la macchina del caffè e se viene riciclato più volte il latte per l’espresso macchiato. Se vedo cose di questo tipo, io semplicemente, esco.

Le strategie di marketing che impongono alcune aziende, non premiano la qualità. Perché esigono la preparazione di un tot di tazzine con un tot di chili caffè, con tot litri di latte e un tot di energia consumata. Noi invece non badiamo a questi dettagli. Per questo ripeto, non siamo dei “commerciali” al 100%. Noi il latte non montato a regola d’arte, lo gettiamo via.”

Avete anche del personale al Kilometro 0?

“Abbiamo due altri dipendenti. In totale siamo in 4 e anche questa è una spesa elevata da sostenere. Questo perché i nostri ragazzi sono assunti in maniera regolare, per un monte ore di 6-8 ore giornaliere. Da soli io e mia moglie non potremmo reggere il ritmo: abbiamo 30 posti dentro e 20 fuori.

Il personale ovviamente è formato da noi e anche da Andrea Antonelli. Continuiamo a puntare sulla formazione e i prodotti di qualità, di cui noi conosciamo approfonditamente.”

Riuscite a ottenere dei margini di guadagno a fine mese?

“Noi stiamo solo tenendo duro. A fine mese noi arriviamo con un margine davvero minimo. Preghiamo che non si rompano il frigo e la macchina del caffè.”

Avete in mente di attuare diverse strategie per aumentare il bacino di utenti?

“Tutti i giorni cerchiamo di ideare nuove soluzioni. Trattando con nuovi fornitori, per aumentare il ricavo senza rinunciare alla qualità. Con loro abbiamo dei rapporti sempre molto stretti, se non addirittura, nel caso di Andrea Antonelli, di vera amicizia. Non sono mai relazioni anonime, ma facciamo rete ogni giorno. Anche quando si tratta di realtà come la Baladine di Cuneo, un po’ lontane, abbiamo stretto dei rapporti molto buoni. Perché comunque, nonostante siano grandi, mantengono un’impronta artigianale.”

Quanto ha inciso il discorso della liberalizzazione della licenza? Se domattina aprisse un altro bar di fronte al vostro, come reagireste?

“Io spero che accada. Sarei felice di questa novità: perché non farebbe altro che alzare l’asticella. Sono a favore della concorrenza, mi farebbe diventare ancora più competitivo. A Cremona esiste un’altra torrefazione di specialty, ma abbiamo sempre collaborato facendo rete.”

Lo specialty però non è fonte di guadagno

“Purtroppo no. Offrire qualità è una scelta di principio, ma certo non ha dietro il pensiero del ricavo.

Però non voglio mandare il messaggio che, per guadagnare, non si possa puntare sul prodotto specialty. Non voglio invitare ad aprire delle caffetterie dove il torrefattore fornisce le macchine, la lavastoviglie e obbliga ad acquistare il caffè a metà prezzo. Perché ancora oggi, il cliente sceglie il costo minore.

All’origine certo, anche il barista deve comunicare il prodotto che ha in tramogia. Ma non basta. Per fortuna anche la percezione del consumatore sta cambiando. Così come la voglia di formarsi da parte degli operatori.

Accanto a noi c’è un bar che sopravvive da 25 anni, proponendo dei prezzi più bassi. Noi siamo qui perché siamo appassionati, ma, obiettivamente, non riesco a spiegarmi perchè un locale che non investe nella qualità e nella formazione, riesca ad andare avanti così a lungo. E, all’opposto, non accade.

C’è un discorso complesso attorno alla qualità del prodotto. Noi paghiamo una birra Baladine a 2 euro e 50, e la devo rivendere a 5 euro. Una Corona invece costa 0,49 e viene rivenduta a 3,50. La differenza è questa, ed è enorme. La plus valenza è impressionante. La mia scelta non va bene dal punto di vista commerciale.

E questo accade perché il fattore prezzo per il cliente è ancora predominante. Non voglio demonizzare le birre più commerciali, ma le persone spesso non sono neppure interessate a sapere cosa stanno ingerendo.

Noi contiamo su un nostro bacino. Ma dobbiamo di continuo inventarci attività o soluzioni per mantenere alta l’attenzione su Kilometro 0.”

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