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Così Unilever rischia di cancellare per sempre il dna artigianale del gelato Grom

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MILANO – Il gelato di Grom diventa un prodotto soprattutto da grande distribuzione e rischia di smarrire per sempre la propria identità negli scaffali dei supermercati. Unilever, che ha acquisito l’azienda torinese nel 2015, annuncia un riordino del business che potrebbe infliggere un colpo mortale al dna del marchio. Anche nell’industria del gelato – come in quella del caffè – i grandi player globali fanno lo shopping puntando su piccoli marchi di alta qualità, nell’ottica della diversificazione e della nobilitazione della propria offerta.

Il rischio però è quello di snaturare le caratteristiche specifiche e i valori stessi dei brand acquisiti. Scopriamo il perché, nel caso di Grom, leggendo questa analisi, a firma di Fabio Savelli, pubblicata dal Corriere della Sera.

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Che cosa sta succedendo ai gelati Grom? E’ in atto un’importante riduzione della rete di negozi del marchio di gelati nato a Torino per opera dei suoi due fondatori, Federico Grom e l’enologo Guido Martinetti, poi comprato nel 2015 dal colosso olandese Unilever.

Le chiusure dei negozi di Grom

Grom ha appena chiuso a Torino nella storica via Cernaia da dove tutto è partito. Ha deciso di chiudere in centro ad Udine, a Treviso, Modena, Mestre, Alessandria. Nel primo trimestre di quest’anno ha in programma un’ulteriore accelerazione nella riduzione di taglia del canale «retail». Per privilegiare quello della «grande distribuzione». Un piano che porta con sé inevitabili ricadute occupazionali e sociali anche se la multinazionale assicura il ricollocamento (comunque difficile) degli addetti in esubero. Un progetto che testimonia come Grom sia ormai diventato un gelato dal connotato industriale. E stia abbandonando l’imprinting artigianale che era stato all’origine del suo successo.

Il peso delle catene cinesi

Per capire il cambio di strategia deciso da Unilever — che si dice sia stato dovuto digerire loro malgrado dai due fondatori che sono comunque ancora presenti nel board della società ma con incarichi sempre meno operativi — bisogna partire dall’operazione di acquisizione di Unilever nata dalla volontà di Grom di avere le risorse e le economie di scala per intercettare anche le strategie dei colossi distributivi cinesi, che sono l’ambizione di tutte le aziende alimentari italiane: Sam’s Club, Cityshop, Ershang, Crv Olè, Jenny Lou’s. Ma la Cina è un mercato complesso da decifrare e questo non è ancora avvenuto. Proprio Grom due anni fa al Corriere aveva raccontato che il supermercato fosse l’inevitabile punto di approdo. Perché – al netto dell’Italia – in altri Paesi il gelato si compra aprendo celle frigorifere degli store. Con consumi in crescita che non riguardano soltanto le aree del mondo in cui il clima risulta favorevole.

I nuovi mercati del gelato

Ad esempio un rapporto della società di consulenza PricewaterhouseCoopers aveva segnalato come il terzo mercato al mondo era ormai la Russia, con oltre 4,3 miliardi di dollari di giro d’affari in un settore dominato dagli Stati Uniti in cui è proprio la grande distribuzione a intermediare quasi il 97% delle vendite, lasciando alle gelaterie una quota residuale. Si sta perciò imponendo uno scenario che potremmo definire «americano» in cui neanche la terza via sperimentata da Grom sta raggiungendo le aspettative. Una via che potremmo definire ibrida.

Angoli Grom nei supermercati

A Roma e a Milano ha aperto due angoli Grom in altrettanti supermercati Carrefour gourmet. Una gelateria vera e propria, con i coni e le coppette per il cliente al dettaglio, all’interno di store definiti l’alto di gamma del colosso francese. Quelli dove convivono i prodotti biologici e quelli a chilometro zero, chiedendo però un prezzo più alto. Federico Grom riteneva l’esperimento interessante, meno pesante in termini di costi (per avviare una gelateria, tra macchinari e location si può arrivare fino a 300 mila euro). Ma i risultati non sembrano eccellenti nonostante il gelato sia sempre meno soggetto a stagionalità.

La nota dell’azienda

L’azienda, contattata dal Corriere, replica che «la nostra missione è portare nella vita di più persone, in tutto il mondo, il puro e autentico gelato italiano. Perseguirla ha richiesto, negli ultimi anni, un’evoluzione del modello di business e una visione proiettata sul medio e lungo periodo, che tenga conto di nuove opportunità, nuovi canali e nuove attitudini di acquisto. Tutto questo si traduce anche in un’analisi della rete di vendita e nella scelta di chiudere alcuni negozi, mantenendo tuttavia il ruolo del retail come hub dell’esperienza e DNA di Grom: anche il gelato confezionato nasce dal desiderio di “mettere la nostra gelateria in barattolo”. Per questo abbiamo ristrutturato altre gelaterie in Italia e stiamo valutando una nuova apertura sul territorio».

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