sabato 13 Aprile 2024
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Così la fine delle politiche zero-Covid fa ripartire il settore del caffè in Cina

La banca di investimenti americana Cowen ritiene che il ritorno alla normalità in Cina si rifletterà positivamente sulla performance globale di Starbucks, contribuendo a far crescere l’eps del 20%, di qui al 2025. La risorta Luckin Coffee (547 milioni di dollari di vendite nell’ultimo trimestre) guarda con ottimismo al futuro. Le catene di caffetterie specializzate devono però fare i conti con un fenomeno che sta prendendo sempre più piede in Cina: quello dei locali e dei brand “crossover”

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MILANO – La Cina riapre lasciandosi improvvisamente alle spalle la drastica politica zero-Covid, che aveva caratterizzato il suo approccio all’emergenza pandemica per quasi 3 anni. Nel dicembre scorso, Pechino ha smantellato progressivamente le restrizioni alla mobilità interna e allentato i rigidi protocolli sin qui vigenti: niente più lockdown per le zone ad alto contagio, possibilità per i positivi di trascorrere la quarantena in casa.

In una parola, il governo cinese ha deciso di voltare pagina e iniziare, come nel resto del mondo, a convivere con il virus, che ha oggi un tasso di mortalità nettamente inferiore.

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L’intento è ora quello di far ripartire l’economia, pesantemente penalizzata dalle forti limitazioni degli anni trascorsi.

La transizione non sarà però facile. La riapertura ha portato infatti a un boom di positivi, che ha spaventato il resto del mondo. Pochi i dati a disposizione. Ma, secondo uno studio dell’Università di Pechino, circa 900 milioni di persone (il 64% della popolazione) sono state sin qui contagiate dal Covid.

In testa alla poco invidiabile classifica delle aree maggiormente colpite c’è la provincia di Gansu, dove il 91% della popolazione risulta infetto, seguita da quelle di Yunnan, massima area di produzione del caffè cinese (84%), e Qinghai (80%). Secondo gli esperti, il picco dei contagi durerà per altri 2-3 mesi.

Rendendo difficile la ripartenza un po’ in tutti i settori, a cominciare da quelli dei servizi: dettaglio e pubblici esercizi in testa. Molte aziende sono state costrette a chiudere temporaneamente o a ridimensionare le proprie attività avendo la maggior parte del personale in quarantena.

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