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LONDRA – Negli ultimi anni, diverse ricerche hanno mostrato come il caffè, entro certi limiti, possa avere effetti benefici sul cuore, sul metabolismo e perfino sul cervello. Ma questo non significa che valga la regola “più ne bevo, meglio è”, soprattutto dopo una certa età. L’organismo cambia, il metabolismo rallenta, le capacità di recupero non sono più quelle di prima: ciò che a 30 anni viene tollerato senza problemi, a 60 o 70 anni può avere un impatto diverso, in particolare sulle funzioni cognitive.
È proprio su questo punto che arriva l’allarme: una recente ricerca internazionale ha messo in relazione il consumo elevato di caffeina con un peggioramento di alcune abilità mentali negli over 60. Non stiamo parlando di una tazzina ogni tanto, ma di abitudini consolidate, fatte di troppi caffè ripetuti durante la giornata.
Lo studio non dimostra che il caffè “causi” direttamente il danno, ma mostra una correlazione che, vista l’età dei soggetti coinvolti, ha spinto gli esperti a lanciare un avvertimento molto chiaro.
La ricerca, presentata alla Conferenza internazionale dell’Alzheimer’s Association, ha analizzato i dati di oltre 8.400 persone con più di 60 anni, arruolate nella Biobanca britannica. Gli studiosi hanno confrontato le abitudini di consumo di caffè e tè con l’andamento di alcune funzioni mentali nel tempo, in particolare la cosiddetta “flessibilità cognitiva”: la capacità di cambiare strategia, risolvere problemi, elaborare informazioni in modo rapido ed efficace.
Cosa ha scoperto lo studio: il legame tra troppo caffè e declino cognitivo
Dai risultati è emerso che chi beveva quantità elevate di caffè mostrava, nel periodo osservato, un peggioramento più marcato di queste abilità rispetto a chi ne consumava poco o in modo moderato. In media, la flessibilità cognitiva di chi beveva meno caffè si riduceva di quasi il 9% in meno rispetto ai grandi consumatori, con effetti sul problem solving e sulla velocità di elaborazione dei dati.
Curiosamente, per il tè il quadro sembrava opposto: le persone che non lo bevevano o lo consumavano raramente avevano risultati peggiori, mentre un consumo regolare appariva associato a performance migliori, sempre entro i limiti considerati sicuri.
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