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Baravalle, oggi a.d. Lavazza, ex Marchionne boy: «La copertina di Fortune da cancellare»

L’attuale amministratore delegato della Lavazza, venne scelto a quarant’anni dal Ceo Fiat come capo di Alfa Romeo. «Era impossibile dirgli “questo non si può fare”»

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MILANO – Tra le numerose rievocazioni di Sergio Marchionne abbiamo scelto di rigore questa apparsa sul Corriere della Sera a firma di Marco Castelnuovo. Il protagonista è Antonio Baravalle, amministratore delegato Lavazza, e a lungo nel gruppo ristretto dei Marchionne boys come amministratore delegato dell’Alfa Romeo, azienda per la quale era stato direttore marketing. Una promozione sul campo dopo due colloqui di due ore con lo stesso Marchionne. Ma sentiamo Baravalle.

di Marco Castelnuovo

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Quando Sergio Marchionne arrivò in Fiat, Antonio Baravalle – oggi amministratore delegato della Lavazza – aveva quarant’anni ed era il direttore marketing di Alfa Romeo. Riportava a un superiore che riportava a un altro superiore che riportava a Marchionne.

«Nei primi tempi Marchionne capì che l’azienda era ricchissima di competenze a tutti i livelli ma che era soffocata dalla burocrazia: lavorò per liberare dell’entropia positiva e, rischiando, mise ai vertici del gruppo dei quarantenni».

Così nacque il mito dei «Marchionne Boys»: Luca De Meo, Alfredo Altavilla, Olivier Francois e appunto Antonio Baravalle che diventò un po’ a sorpresa amministratore delegato di Alfa Romeo.

«Mi fece due colloqui di due ore ciascuno. Volle sapere tutto. Alla fine mi disse: “Io l’ho scelta, Lei viene con me”»

Lei e gli altri «Marchionne boys» siete diventati una squadra coesa. Forse per gli orari impossibili e la vita tutta dedita al lavoro che il capo pretendeva.

«Era duro e esigente: dirgli “Questo non si può fare” era la tua fine. Voleva persone che sapevano lavorare nelle avversità. “Le competenze si trovano sul mercato, la leadership no”, ripeteva».

E come si concretizzava la sua leadership?

«Con la visione e l’orgoglio restituito ai dipendenti. A quei tempi se lavoravi alla Fiat ti dicevano “poverino”. Invece, all’inizio della sua avventura ci riunì per mostrarci una copertina di Fortune con la Cinquecento rovesciata e il titolo “Arrivederci Fiat”. Lui disse: Lavoriamo insieme e vi assicuro che avremo una copertina dedicata al successo di Fiat».

Arrivò mai?

Marchionne baravalle Lavazza
Le due copertine di Fortune, che Marchionne usò per spronare i suoi Le due copertine di Fortune, che Marchionne usò per spronare i suoi

«A Maggio 2007 chiamò me e Luca (De Meo, ora amministratore delegato di Seat ndr): “Vi ricordate cosa dissi? Vestitevi bene per le foto”. E usci la copertina di Fortune con Marchionne in copertina».

Fu l’anno del passaggio dal rosso al nero nei bilanci.

«Ogni trimestre ci faceva vedere la stessa slide con gli istogrammi in rosso. Quando finalmente andammo in positivo si presentò con una torta e coperta con la slide in zucchero, questa volta con gli istogrammi neri. Fu il suo modo di festeggiare. E a Natale del 2006 regalò a tutta la sua prima linea un orologio con la scritta “in the spirit of ubuntu”».

Cioè?

«È un concetto africano, il cui senso è aiutarsi reciprocamente. Il significato è “io esisto solo se tu mi vedi”. Così ci dava senso di coesione e team”».

Se aveva un così forte senso di squadra, si sarà arrabbiato quando lei se ne andò. Lui ripeteva anche in pubblico che “se c’è una cosa che non mi fa dormire la notte è il pensiero che uno di questi ragazzi possa andar via”.

«Mi capì, invece. Mi invitò a pranzo una domenica, aveva già intuito tutto. Non la prese male, anzi: mi diede un sacco di consigli e anche dopo la mia uscita mi sono sempre confrontato con lui. Mi ha presentato a persone, soprattutto in America, che altrimenti avrei raggiunto con difficoltà. E usando sempre l’espressione “è uno dei miei ragazzi”».

Da come lo descrive sembra avesse anche un cuore, che non fosse il duro che pensa solo al lavoro.

«Certamente. Se sei generale di un esercito, non puoi che mostrare solo un lato. La parte più intima di te non la puoi far vedere, ma non significa che tu non ce l’abbia».

Cosa ha portato di con sé di Marchionne negli altri ruoli che ha ricoperto?

«Niente paragoni, per piacere. Lui era irraggiungibile e l’industria dell’auto non è avvicinabile per complessità a quella del caffè. Ma anche noi in Lavazza dovevamo decidere cosa fare: eravamo i più piccoli dei grandi e i più grandi dei piccoli. Non potevamo stare fermi. Abbiamo iniziato una serie di acquisizioni per diventare globali anche noi. Abbiamo alzato l’asticella, cambiando il metodo lavorativo e continuando a spostare più in là il nostro traguardo».

Lei è nato, cresciuto e lavora a Torino. Cosa lascia Marchionne alla città?

«Intanto lascia un’azienda. Non era scontato. Un’azienda globale che rende noi torinesi orgogliosi e conosciuti nel mondo. Non è poco».

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