domenica 24 Marzo 2024
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Andrej Godina: «Una prima riflessione sul futuro del bar in Italia dopo la pandemia»

Dalla parte dei consumatori, dal punto di vista dei baristi e, infine guardando lo scenario dei Paesi d'origine, che cosa cambierà dopo l'emergenza sanitaria nel settore del caffè? La risposta arriva dalla riflessione di Andrej Godina

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MILANO – Una riflessione sui modelli di somministrazione del caffè post pandemia è nata in occasione del webinar “Coffee Talk” organizzato da Misceliamo di Pietro Chiarella. Il bar non sarà come prima: in questo articolo delineo tre possibili scenari di trasformazione tra cui uno è quello in cui il barista è sostituito dalla macchina super automatica.

di Andrej Godina

L’evento live streaming “Coffee Talk, il futuro della filiera caffeicola” mi ha dato modo, con
altri 5 caffesperti, di riflettere sullo scenario odierno che stiamo vivendo e di discutere il tema del caffè e del suo futuro post pandemia. La conversazione ha coinvolto Pietro Chiarella da Roma, Misceliamo Coffee Emotion, Manuel Terzi da Bologna, Caffè Terzi, Emanuele Bernabei da Roma, torrefazione Picapau, Giorgio Piracci dal Perù, presidente dell’associazione 7 Elements, Federico Pezzetta da Milano, Romedia Studio.

Pandemia: la nuova sfida per il futuro dei bar

In questo momento difficile di pandemia, diffusa ormai a livello globale, le sfide che il mondo del caffè affronta sono di assoluta novità. Nei Paesi consumatori la chiusura dei bar e ristoranti a causa delle restrizioni sociali hanno imposto lo stop delle attività. Centinaia di migliaia di baristi e ristoratori stanno vivendo una crisi mai vista che ha costretto i consumatori di caffè a cambiare le loro abitudini di consumo.

La preparazione del mio intervento presentato al live Coffee Talk mi ha dato l’occasione di
riflettere su quelli che sono gli attuari scenari caffeicoli e i possibili cambiamenti futuri. Il
primo pensiero è andato ai Paesi produttori. La situazione anche lì è pesante in quanto la
pandemia ha colpito territori già in difficoltà e questo era dovuto al livello basso dei prezzi
sulle borse merci assieme a rovinosi fenomeni di cambio climatico che avevano reso la vita dei produttori non sostenibile. Ora, con l’aggiunta delle restrizioni sociali e del pericolo della pandemia, la situazione si è aggravata notevolmente.

In questo scenario di pandemia riporto la situazione che in questo momento si vive in Honduras, nella regione di Copan

Dove con altri 33 soci abbiamo comprato una piantagione di caffè, Finca Rio Colorado. Anche in Honduras il Coronavirus ha causato alcuni decessi, episodi che hanno spinto il governo a instaurare norme di restrizione sociali molto rigide. Ciò evidentemente è necessario per evitare il dilagare del virus nel paese che, per la scarsissima qualità dei servizi sanitari, creerebbe un disastro inimmaginabile.

Queste restrizioni hanno provocato la “chiusura” sociale delle comunità agricole dove si produce caffè, dove gran parte del caffè raccolto rimane in magazzino e non è ancora esportato. Ad aggravare questa situazione di “stasi” ci sono i fenomeni climatici di
questi ultimi 6 mesi che hanno danneggiato il raccolto determinando -30% rispetto ai livelli dell’anno scorso.

Il secondo pensiero è rivolto ai Paesi consumatori di caffè

Quando le norme di restrizione sociale verranno meno come cambierà il modo di ospitare i clienti nei bar? Il cliente e il barista come faranno a stare al banco a più di un metro di distanza e con la mascherina sul viso? Come faremo a ritornare al vecchio rituale dell’espresso consumato all’italiana? Tutto è destinato a cambiare.

Il mestiere del barista non sarà più quello di prima: gli scenari dove il barista è sostituito da macchine superautomatiche, dove il bar si trasforma in un locale per il take away, dove il barista formato diviene un esperto ed eleva la qualità creando nuovi marketplace on line, è secondo me il futuro del settore dei pubblici esercizi. Credo che tanti bar chiuderanno e saranno proprio quelli dove il barista è in grado di servire il medesimo caffè espresso che è possibile erogare con una macchina superautomatica.

A mio modo di vedere questa situazione porterà a un mercato che si frantumerà in tre segmenti:

– segmento 1, il bar tale e quale. In questo scenario il bar rimane sostanzialmente il
medesimo grazie a una ubicazione strategica e a degli spazi interni che permetteranno
una distanza sociale sufficiente. Ritornati alla normalità tanti Italiani avranno bisogno
di normalità e per questo motivo frequenteranno come prima i bar che si saranno
adattati alle nuove normative.

– Segmento 2, il bar si trasforma in un luogo self service e di prodotti take away.
Molti Italiani rimarranno diffidenti al ritornare come prima nei luoghi pubblici dove ci
sarà un certo assembramento di persone. Tanti vorranno uscire dalle proprie  abitazioni e durante le pause lavorative in ufficio, fare due passi e recarsi in un locale
dove le distanze sociali saranno assicurate e non ci sarà contatto con l’operatore.

In questo segmento vincerà il formato “tutto a self service”

In questo scenario non c’è più il bancone dove assembrarsi per ordinare e consumare l’espresso ma ci sono macchine super automatiche con le quali i clienti potranno, stando in fila, servirsi da soli. I prodotti di pasticceria, le bevande, gli snack, i pasti take away saranno disponibili a scaffale, il pagamento sarà principalmente in formato elettronico.

– segmento 3, il barista inizia un percorso di formazione e trasforma l’attività con
il delivery e l’e-shop. In questo periodo un numero enorme di persone hanno scoperto il mondo degli e-shop e dei servizi di delivery. Questi nuovi consumatori manterranno in buona parte le abitudini prese durante questo periodo di restrizioni sociali e continueranno a servirsi on line.

Il barista che in questo periodo approfitterà per formarsi ed evolvere la sua attività trasformerà il vecchio bar in un laboratorio artigianale dove produrre ciò che vendeva prima ma in formato take away per il delivery. La nuova attività sarà organizzata per la consegna a domicilio e per la spedizione via corriere.

È tempo di chiudere tutti quei bar che sono divenuti non sostenibili

Ovvero quelli dove il barista ha scelto il caffè non per la qualità ma perché il torrefattore gli ha fornito maggiori servizi finanziari e dove il barista è costretto a vendere di tutto, dalla gomma da masticare al primo piatto surgelato, il tutto solamente per riuscire a coprire i costi.

Andrej Godina

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