giovedì 28 Agosto 2025

Caffè: il prezzo medio della tazzina a 2 euro entro la fine del 2025, il report Unimpresa

Commenta il direttore generale di Unimpresa, Mariagrazia Lupo Albore: "Per i consumatori italiani la questione non è soltanto economica. Il caffè incide per meno dell’1% sulle spese annuali delle famiglie, ma ha un valore simbolico enorme: è il rito quotidiano che accompagna la socialità, la pausa di lavoro, il saluto tra amici. Se il suo prezzo diventa proibitivo, il rischio è che venga percepito come un lusso e perda quella dimensione democratica che lo ha reso unico nel mondo"

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Un report del Centro studi di Unimpresa ha affermato che presto il prezzo medio della tazzina di caffè nel Bel Paese potrebbe arrivare a 2 euro. Alla base dei rincari ci sono i cambiamenti climatici che hanno ridotto i raccolti in Brasile e Vietnam, l’aumento dei costi energetici e logistici, l’inflazione e le nuove normative ambientali Ue.

Leggiamo di seguito il comunicato stampa di Unimpresa.

Il rincaro del caffè: l’analisi di Unimpresa

MILANO – Il prezzo medio di una tazzina di caffè espresso al bar in Italia potrebbe raggiungere i 2 euro entro la fine del 2025, con un incremento superiore al 50% rispetto al 2020. È quanto emerge da un report del Centro studi di Unimpresa, secondo cui negli ultimi cinque anni il costo del caffè è salito da 0,87 a oltre 1,30 euro, con punte a 1,43 euro in alcune città del Nord. Alla base dei rincari ci sono i cambiamenti climatici che hanno ridotto i raccolti in Brasile e Vietnam, l’aumento dei costi energetici e logistici, l’inflazione e le nuove normative ambientali Ue.

Il mercato italiano resta comunque solido, con consumi annuali pari a 327 milioni di chili di verde e un valore complessivo di 5,2 miliardi di euro, destinato a superare i 6 miliardi entro il 2030.

Commenta il direttore generale di Unimpresa, Mariagrazia Lupo Albore: “Per i consumatori italiani la questione non è soltanto economica. Il caffè incide per meno dell’1% sulle spese annuali delle famiglie, ma ha un valore simbolico enorme: è il rito quotidiano che accompagna la socialità, la pausa di lavoro, il saluto tra amici. Se il suo prezzo diventa proibitivo, il rischio è che venga percepito come un lusso e perda quella dimensione democratica che lo ha reso unico nel mondo”.

Conclude: “Per i produttori e i distributori la sfida è invece difendere i margini, sempre più compressi dai costi, puntando sui segmenti premium e monoporzionati che offrono redditività fino al 60%. Non a caso, diverse aziende stanno sperimentando alternative al caffè tradizionale, dai ceci ai semi di dattero, per rispondere alle sfide climatiche e ridurre la dipendenza dai raccolti tropicali”.

L’impennata del prezzo del caffè è il risultato di una concatenazione di fattori che si sommano lungo l’intera catena del valore, dalla produzione agricola fino alla distribuzione. Alla base vi sono gli effetti sempre più visibili del cambiamento climatico: siccità persistenti in Vietnam e piogge torrenziali in Brasile – Paesi che insieme producono circa metà del caffè mondiale – hanno ridotto i raccolti e destabilizzato l’offerta. Nel 2024 il prezzo dei chicchi grezzi è aumentato fino all’80%, mentre i futures sull’Arabica hanno toccato livelli record, alimentati da fenomeni speculativi.

A questi si è aggiunto l’incremento dei costi energetici, con gas ed elettricità che pesano fortemente sulla fase di torrefazione, e quello della logistica internazionale, appesantita dalle congestioni nei porti strategici come Suez e dal raddoppio dei noli marittimi.

L’inflazione ha inciso ulteriormente, gonfiando i costi per imballaggi e manodopera, e la speculazione finanziaria ha accentuato la volatilità dei mercati: nel 2024 i futures del Robusta hanno superato i 4.000 dollari a tonnellata, e nell’agosto 2025 l’Arabica ha sfiorato i 360 dollari per libbra, con un rialzo annuo superiore al 40%.

Infine, le nuove normative europee contro la deforestazione hanno imposto agli importatori sistemi di tracciabilità e certificazioni che, se da un lato rafforzano la sostenibilità ambientale, dall’altro comportano costi aggiuntivi soprattutto per i piccoli produttori, trasferiti a cascata sui listini finali. È la combinazione di tutti questi elementi a rendere plausibile la corsa verso i 2 euro per tazzina entro la fine del 2025.

Secondo il Centro studi di Unimpresa, dal 2020 al 2025 il prezzo del caffè in Italia ha seguito una traiettoria di crescita costante, fino a prospettare, entro la fine dell’anno in corso, la soglia simbolica dei 2 euro per una tazzina al bar.

Si tratta di un aumento che non può essere spiegato con un solo fattore, ma che riflette l’intreccio di dinamiche globali e locali che hanno inciso su tutta la filiera, dalla produzione delle materie prime fino al bancone dei nostri bar. Nel 2020 il prezzo medio di un espresso era di appena 87 centesimi, in un contesto pre-pandemico caratterizzato da stabilità dei costi e da una sostanziale calma sui mercati internazionali.

La ripresa seguita al Covid, con i primi segnali di tensione sui trasporti e sulle materie prime, ha portato nel 2021 a un rialzo fino a 1,03 euro.

La spinta non si è fermata: nel 2023 la media nazionale ha toccato 1,18 euro, con forti differenze territoriali – dai 99 centesimi di Catanzaro agli oltre 1,30 euro di Trento e Bolzano – a testimonianza di un Paese spaccato anche davanti a un rito universale come il caffè. Nel 2024 si è toccata la soglia di 1,30 euro, un livello che rappresenta un incremento del 40% rispetto al 2020, trainato dall’impennata dei futures sul caffè, arrivati a quasi 5.700 dollari a tonnellata. All’inizio del 2025 il prezzo medio nazionale si è assestato intorno a 1,22 euro, con punte di 1,43 a Bolzano, ma le proiezioni indicano che nel corso dell’anno la tazzina potrebbe avvicinarsi alla soglia dei 2 euro.

Dietro a questi numeri ci sono le conseguenze dei cambiamenti climatici, che hanno messo in crisi raccolti fondamentali in Brasile e Vietnam, due Paesi che da soli valgono metà della produzione mondiale. Nel 2024 il prezzo dei chicchi grezzi è aumentato dell’80% a causa della siccità e delle piogge torrenziali. I costi energetici e logistici hanno fatto il resto, con gas ed elettricità sempre più cari per la torrefazione e con trasporti gravati dalle congestioni nei porti e dal rialzo dei noli.

L’inflazione generale ha inciso ulteriormente, aumentando le spese per imballaggi e manodopera, mentre la speculazione sui mercati delle materie prime ha amplificato la volatilità. Le nuove normative europee sulla deforestazione, infine, hanno introdotto obblighi di tracciabilità che pesano soprattutto sui piccoli produttori e si riflettono sui prezzi finali.

Nonostante tutto, il mercato italiano del caffè resta robusto. I consumi sono ancora elevati, con 327 milioni di chili di verde ogni anno, pari a 5,5 chili pro capite, anche se tra il 2022 e il 2024 si è registrato un calo del 6,9% dovuto alla perdita di potere d’acquisto. Nel frattempo, il segmento delle capsule e delle cialde continua a crescere, rappresentando ormai il 16,2% delle vendite nella grande distribuzione.

Il valore complessivo del settore ha raggiunto i 5,2 miliardi di euro nel 2025 e si stima che possa superare i 6 miliardi entro il 2030, con un export che già oggi vale 2,3 miliardi.

Le previsioni restano tuttavia incerte. I prezzi continueranno a salire nel corso del 2025 fino a toccare la soglia dei 2 euro a tazzina, ma alcune previsioni vanno in senso opposto ipotizzando una possibile inversione nella seconda metà dell’anno o nel 2026, grazie a buoni raccolti in Brasile e Colombia e a un allentamento delle norme ambientali. Anche la Banca Mondiale prevede per quest’anno un aumento del 50% dei chicchi di Arabica e del 25% del Robusta, seguito però da un calo tra il 9 e il 15% nel 2026.

“Dal 2020 a oggi, il prezzo della tazzina è salito del 40% e corre verso un raddoppio. È la prova tangibile di come eventi globali – il clima, l’energia, i mercati – possano riflettersi in un gesto semplice e quotidiano. La traiettoria dei prossimi mesi dipenderà dalle condizioni meteorologiche in America Latina e dalle decisioni geopolitiche in materia di commercio e ambiente. In attesa di capire se davvero pagheremo 2 euro per un espresso, resta una certezza: in Italia il caffè non è solo una bevanda, ma un rito che vale più del suo prezzo” spiega il direttore generale di Unimpresa.

Le ragioni dell’aumento dei prezzi del caffè

  • Costi di conformità stimati tra il 5 e il 10% del prezzo finale.

Cambiamenti climatici

  • Brasile: rischio di perdita dell’88% dei terreni coltivabili entro il 2050.
  • Vietnam: siccità prolungate con cali produttivi fino al 20% nel 2024.
  • Prezzo dei chicchi grezzi: +80% nel 2024.

Speculazione e volatilità

  • Futures Robusta: oltre 4.000 $/tonnellata nel 2024.
  • Arabica: 359,32 $/libbra ad agosto 2025, +44,3% su base annua.

Costi energetici e logistici

  • Torrefazione: incidenza energia su costi di produzione +30% tra 2021 e 2024.
  • Noli marittimi: raddoppio medio dal 2021, aggravato dalle congestioni a Suez.

Inflazione e costi di filiera

  • Imballaggi e materiali: +15-20% dal 2022.
  • Manodopera: incrementi salariali medi del +10% in Sud America tra 2022 e 2024.

Norme ambientali Ue

  • Obblighi di tracciabilità per importatori.

Negli ultimi anni il prezzo di una tazzina di caffè al bar in Italia ha mostrato una dinamica molto differenziata sul territorio, con divari significativi tra Nord, Centro e Sud. Le rilevazioni sui capoluoghi di regione fotografano un Paese in cui il costo del rito quotidiano del caffè varia anche di quasi 50 centesimi a seconda della città.

Al Nord Italia si registrano i valori più elevati. A Bolzano, da tempo la provincia più cara, il prezzo medio è passato da 1,38 euro nel 2023 a 1,43 euro nel 2025. Anche Trento conferma livelli alti, da 1,31 a 1,35 euro nello stesso periodo, mentre a Milano la tazzina è salita da 1,23 a 1,28 euro. Torino si colloca appena sotto, con una media di 1,20 euro nel 2023 e 1,24 euro nel 2025, e a Genova si passa da 1,18 a 1,22 euro.

Venezia si mantiene in linea con le grandi città del Nord (da 1,22 a 1,27 euro), mentre a Trieste i valori sono leggermente più contenuti, con 1,20 euro nel 2023 e 1,24 nel 2025.

Nel Centro Italia i prezzi risultano più vicini alla media nazionale. A Bologna si passa da 1,19 euro a 1,24, mentre a Firenze il costo di un espresso sale da 1,17 a 1,20 euro. In Umbria, Perugia registra un incremento da 1,12 a 1,16 euro, mentre nelle Marche ad Ancona si passa da 1,13 a 1,17 euro. Nella Capitale, a Roma, la tazzina costa in media 1,15 euro nel 2023 e 1,19 nel 2025. Più contenuti i valori nelle regioni appenniniche: a L’Aquila si sale da 1,10 a 1,13 euro, a Campobasso da 1,09 a 1,11 euro.

Al Sud Italia e nelle Isole i prezzi restano i più bassi del Paese, spesso al di sotto della media nazionale.

A Napoli si passa da 1,05 euro a 1,08 euro, confermando la tradizione di una tazzina accessibile e popolare. A Bari i valori crescono da 1,08 a 1,12 euro, a Potenza da 1,06 a 1,10. La città meno cara resta Catanzaro, con 0,99 euro nel 2023 e 0,95 nel 2025, unico capoluogo ancora sotto l’euro. In Sicilia, Palermo si muove da 1,07 a 1,12 euro, mentre in Sardegna, a Cagliari, il prezzo passa da 1,10 a 1,15 euro.

Il quadro complessivo mostra dunque una netta frattura territoriale: mentre nelle aree alpine e in alcune grandi città del Nord il caffè si avvicina a 1,40 euro, nelle regioni meridionali e insulari si trovano ancora listini inferiori a 1,10 euro, con punte minime a Catanzaro sotto l’euro.

La media nazionale, oggi attestata intorno a 1,22–1,30 euro, fotografa una tendenza verso l’alto che, secondo le proiezioni, potrebbe portare entro la fine del 2025 a un prezzo medio di 2 euro, confermando il caffè come simbolo delle tensioni inflazionistiche che attraversano il Paese.

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