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MILANO – Negli ultimi anni il Ruanda si è distinto per la notevole produzione di caffè di elevata qualità. Distinti da un flavore pregiato e un gusto bilanciato, i chicchi ruandesi non sono ancora entrati nel radar dei torrefattori italiani. Quale luogo migliore per scoprire di più su questa produzione se non il laboratorio di assaggio di caffè?
Il caffè del Ruanda
Nella giornata del 5 maggio si è tenuta, presso ARC – Aziende Riunite Caffè, una doppia sessione di cupping dedicata proprio al Ruanda, organizzata dall’Associazione Caffè Trieste in collaborazione con ICU – Istituto per la Cooperazione Universitaria, nell’ambito del progetto di cooperazione internazionale AID 012590/04/9, finalizzato allo sviluppo sostenibile della filiera del chicco nel Paese africano.
Il progetto è realizzato con il sostegno dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (AICS), partner istituzionale assieme a ICU, con l’obiettivo di promuovere una crescita economica duratura e inclusiva nei territori rurali del Ruanda con il fine introdurre la produzione di caffè ruandese ai torrefattori italiani.

La giornata di lunedì ha dunque rappresentato la terza sessione di assaggi degli specialty del Ruanda, dopo gli incontri svolti in occasione del Triestespresso Expo a Trieste e del Sigep World a Rimini.
Nonostante i caffè ruandesi presentino caratteristiche sensoriali pregiate — come una spiccata acidità e dolcezza, una perfetta pulizia in tazza e una complessità aromatica notevole —, il loro profilo gustativo non corrisponde appieno ai gusti tradizionali del consumatore italiano, storicamente orientato verso miscele dall’acidità quasi nulla e dal corpo pieno.
Per questo motivo, diventa fondamentale raccogliere feedback strutturati da parte dei torrefattori, degli assaggiatori professionisti e dei trader, al fine di comprendere le reali possibilità di inserimento del caffè ruandese nel mercato italiano.
L’iniziativa ha avuto anche l’obiettivo di evidenziare i progressi compiuti dal Ruanda sul piano dell’organizzazione produttiva: dalla strutturazione delle cooperative sociali alla gestione efficiente delle washing station, anelli chiave della filiera di produzione per garantire qualità, tracciabilità e sostenibilità.
Per saperne di più abbiamo partecipato alla prima sessione di cupping della giornata presieduta dal caffesperto Andrej Godina che ha spiegato nel dettaglio la varie fasi dell’operazione.

Si comincia con la compilazione della scheda per le caratteristiche del caffè. In questo caso non si tratta di quella della SCA ma una versione semplificata per aiutare i neofiti del cupping. Successivamente, si scrive il riferimento del campione, il numero del lotto, la lavorazione (naturale o lavato), e si passa subito alla voce fragranza e aroma. Si annusa il caffè macinato prima di inserire l’acqua e si annota l’aroma percepito.
Interessante notare come, una volta aggiunta l’acqua, la polvere di macinato si deposita sopra la tazza a causa dell’anidride carbonica. Per assaggiare è necessario dunque rompere la crosta e far adagiare la polvere di caffè sul fondo della tazza. Dopodiché si toglie la schiuma rimasta in superficie. La bevanda, infine, è pronta per essere assaggiata.

Si parte con un 100% Bourbon Arabica lavato da cui è stato possibile sentire il flavore molto aromatico e fruttato.
La seconda scelta è sempre un 100% Bourbon Arabica lavato. Più dolce rispetto al primo ma dalla componente agrumata molto intensa e persistente.
Si prosegue con il terzo caffè che presenta flavori più dolci di bakery con aromi di biscotti e cioccolato con una leggera nota di bergamotto.
È il turno del quarto, decisamente più dolce con un’acidità meno accentuata e flavore fruttato, sempre 100% Bourbon Arabica lavato.
Non troppo differenti dagli ultimi due, di cui uno lavato del tipo peaberry, che presentano un aroma deciso ma ben equilibrato.
Tutti i caffè proposti nella sessione di cupping sono classificati Specialty.
Arrivati a questo punto, Andrej Godina ha sottolineato l’importanza di assaggiare il caffè in tre diverse fasi di temperatura: caldo, tiepido e a temperatura ambiente. Questa pratica consente di cogliere l’evoluzione del profilo di flavore nel tempo, offrendo una valutazione più completa della qualità del campione. In particolare, è nella fase fredda che emergono con maggiore chiarezza eventuali difetti nascosti — come note fermentate, terrose, chimiche, cartacee o astringenti — che risultano meno percepibili quando la bevanda è calda. Una degustazione condotta con attenzione a queste fasi aiuta i torrefattori a prendere decisioni più consapevoli sulla selezione e l’uso del caffè, soprattutto se destinato a miscele di espresso o a utilizzi monorigine.
Mentre i primi caffè assaggiati all’inizio presentavano aromi più complessi e più leggeri con varie sfumature, in seguito, man mano che si sono raffreddati, gli aromi risultavano essere di maggiore intensità, anche se con minore complessità. L’ultimo passaggio al caffè freddo ha fatto venir fuori l’anima del prodotto.
Andrej Godina svela i retroscena del metodo cupping: “Questo processo si usa per definire la qualità del caffè verde. Viene utilizzato sia per la classificazione degli Specialty che per i lotti commerciali. Il metodo è stato introdotto in Brasile con la prima classificazione commerciale del caffè. Lo scopo è trovare le caratteristiche positive di una determinata produzione e ciò che lo rende unico. In base al risultato qualitativo di questo metodo di assaggio si determina la classificazione e il prezzo. Nel caso del caffè commerciale il costo è identificato con un differenziale a cui si aggiunge la quotazione di borsa, negativo o positivo, da cui poi si evince il prezzo finale. Nel caso dello Specialty, il costo non è legato al prezzo di borsa ma solamente alla qualità, perciò il costo dello Specialty è legato esclusivamente al valore del prodotto il che rende questo prodotto molto più sostenibile e socialmente responsabile per il produttore rispetto ai lotti commerciali”.
“Gli assaggi vengono effettuati da persone altamente qualificate all’interno di un panel. Tutti seguono un rigido protocollo per analizzare e valutare la bevanda nella maniera più oggettiva possibile. Dalla media dei voti di ciascun assaggiatore emerge poi la qualità oggettiva”.
Successivamente si è tenuto un dibattito guidato da Arianna Mingardi, presidente dell’Associazione Caffè Trieste e CEO di Amigos Caffè, Franco Tesoro Tess, ceo di Aziende Riunite Caffè, l’esperto Andrej Godina e Fabrizio Polojaz, vicepresidente di Associazione Caffè Trieste e ceo di Primo Aroma.

Il confronto si è focalizzato sui cambiamenti in atto nei mercati internazionali del caffè verde, sulle nuove dinamiche di approvvigionamento e sull’impatto delle trasformazioni nella definizione delle strategie di miscelazione.
Arianna Mingardi prende la parola: “Le sfide che i torrefattori si trovano ad affrontare oggi sono numerose. Una delle più complesse riguarda l’approvvigionamento della materia prima. Contratti annuali con consegne mensili sono oramai impensabili, merce spot è pressoché introvabile e ci si deve affidare a merce pronta a partire dai paesi produttori con un tempo previsto di arrivo calcolato approssimativamente, ma non certo.”
“Sul fronte logistico la situazione si è complicata: i tempi di consegna si sono allungati e non rispettano quanto indicato nei contratti di approvvigionamento stipulati con il trader. Dagli usuali due mesi di viaggio, è normale ormai che la materia prima arrivi dopo tre mesi se non di più. Ci sono poi alcuni porti italiani, come ad esempio il porto di Trieste, che, a causa della continua chiusura del canale di Suez, sono ormai considerati porti difficili da servire”.
“In aggiunta, vi è la difficoltà nel reperire le origini di materia prima: il torrefattore spesso si trova costretto a rivedere le proprie miscele e a reagire rapidamente quando, da un giorno all’altro, viene a mancare una componente fondamentale, sostituendo gli ingredienti originari della miscela con alternative che devono e/o possano garantire un risultato sensoriale quanto più simile possibile per offrire al consumatore finale un determinato profilo di gusto a cui è abituato e che desidera non venga cambiato”.

“Un’ulteriore criticità” – conclude Mingardi – “è rappresentata dal continuo aumento dei prezzi della materia prima. Un aumento lento e continuo iniziato a ottobre 2021 e che sembra non trovare ancora uno stop e una stabilità di mercato.”
Franco Tesoro Tess riflette: “Ci ritroveremo in un mercato che sarà diviso; sempre meno connessione tra i prezzi del caffè fisico e quello delle Borse. Se ne comprerà in quantità inferiore, se i prezzi saranno mantenuti così alti, a causa del minor potere di acquisto. In più è ipotizzabile un grande surplus di produzione, con limitato stoccaggio nei Paesi di consumo, poiché non si potranno più mantenere gli stock come fatto precedentemente.
Chiarisce: “Fino a questo aumento dei prezzi, i mercati a termine avevano le scadenze future a premio, premio che copriva il costo degli interessi e del magazzinaggio per la merce in stock da vendere. Ora, per l’alto costo della materia prima, il flusso di merce invenduta si è fortemente ridimensionato. Il mercato ne ha risentito e ora il caffè che non c’è, pesa sulla Borsa – che da premio sul futuro è andata a sconto. Questa situazione non permette il mantenimento di elevati stock di caffè verde nei paesi di consumo poiché economicamente non è più sostenibile, mentre prima il mercato pagava il finanziamento per l’acquisto e lo stoccaggio”.
Andrej Godina ritorna sul tema dell’inevitabile cambiamento del flavore nei prodotti a causa del difficile reperimento delle origini: “Il torrefattore italiano ha abituato il cliente a consumare sempre la stessa tazzina, con lo stesso profilo sensoriale, esattamente come nel mondo del vino si mantiene un’identità costante grazie agli uvaggi, le miscele di vitigni differenti. Ma oggi, anche in quel settore, le cose sono cambiate: basti pensare allo champagne, che si è evoluto in un prodotto più secco, acidulo, di facile beva. Le torrefazioni italiane potrebbero trarre ispirazione da questo cambiamento, trasformando un momento di crisi in un’opportunità per ridefinire la propria proposta.”
Godina aggiunge: “In un mercato in continua evoluzione, la miscela per espresso può diventare un prodotto dinamico, soggetto a una naturale variazione di flavore nel tempo, offrendo ai clienti caffè stagionali, diversi ma coerenti con una filosofia aziendale chiara e ben comunicata. Il prodotto, quindi, non solo può, ma deve evolvere, purché guidato da una visione precisa e da una strategia consapevole.”
Godina conclude: “In questa fase così delicata per il settore, dove il prezzo della materia prima ha raggiunto livelli storicamente alti, è fondamentale che il torrefattore torni a investire nella formazione e nel recupero del proprio know-how sul caffè. La profonda conoscenza delle origini, la capacità di adattare i profili di tostatura alle nuove materie prime e l’abilità nel creare miscele coerenti con l’identità aziendale sono strumenti essenziali per affrontare il mercato attuale. Diventa quindi prioritario organizzare viaggi nei Paesi di origine per comprendere a fondo le dinamiche produttive, allestire laboratori di assaggio in azienda dove un panel di assaggiatori addestrati analizzi quotidianamente i lotti in arrivo, confrontarsi con i prodotti della concorrenza attraverso un’attività strutturata di benchmarking e avviare percorsi di ricerca e sviluppo per innovare ricette e processi.”
“Solo un approccio consapevole e tecnicamente solido può trasformare le difficoltà attuali in una nuova fase di evoluzione del caffè italiano.”
Fabrizio Polojaz si inserisce nel dibattito: “L’esperienza e la conoscenza del torrefattore nel proporre nuove soluzioni è importante, così come è significativa la figura del fornitore di caffè crudo. Ambedue dovrebbero saper proporre nuove origini in caso di necessità per mantenere lo stesso profilo organolettico della miscela desiderata. La realtà è che è poco probabile cambiare le abitudini del consumatore. È possibile tentare di offrire una tazza di caffè più ricca, ma non sviarlo completamente dalla sua quotidianità”.
Polojaz aggiunge: “Siamo commercianti, non missionari. È certamente possibile per il torrefattore proporre caffè diversi ma richiede una buona dose di preparazione e conoscenza del chicco che non sempre è riscontrabile nel settore”.
Arianna Mingardi trae le conclusioni: “In questa tempesta perfetta esiste comunque un margine d’azione che ci permette di resistere e affrontare un momento estremamente complesso. Il torrefattore deve diventare sempre più consapevole delle qualità di caffè che acquista e di ciò che è realmente disponibile sul mercato, affidandosi anche alle competenze dei propri fornitori. È fondamentale programmare gli arrivi, tenendo conto anche dei tempi di trasporto, oggi inevitabilmente più lunghi rispetto al passato, perché non è più possibile contare sulla disponibilità immediata”.