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101 Caffè esporta il caffè prodotto dalle piccole torrefazioni in tutto il mondo

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MILANO – Sfidare i giganti del mercato globale della torrefazione aggregando l’offerta dei piccoli torrefattori italiani. È la ricetta vincente di 101 Caffè, franchising specializzato nella commercializzazione di cialde e capsule compatibili con i sistemi domestici più diffusi.

In questo contributo, pubblicato da Impact Startup Italia, Antonio Piemontese intervista il fondatore e amministratore delegato dell’impresa Umberto Gonnella. Vi proponiamo di seguito i passi salienti dell’intervista.

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“Ma questa Nespresso è italiana, vero?” chiese la mamma dubbiosa, sorseggiando un caffè. Non immaginava certo una risposta negativa. Dalla domanda della genitrice, ignara che l’azienda pubblicizzata da George Clooney facesse capo, in realtà, alla multinazionale elvetica Nestlé, nacque l’idea; il resto l’ha fatto la visione di un imprenditore che ha scommesso sul caffè in capsule quando si trattava ancora di un prodotto prettamente aziendale, consumato, cioè, in prevalenza negli uffici.

Da Buccinasco in tutto il mondo

Un brand in franchising partito da Buccinasco, in provincia di Milano e arrivato fino al Marocco, Kuwait City e Singapore. E pronto a espandersi in altri paesi. Lui è Umberto Gonnella, fondatore e amministratore delegato, l’azienda è 101 caffè, franchising specializzato nella vendita di capsule e cialde della bevanda calda più amata nel mondo occidentale, inseparabile compagna di notti insonni e risvegli precoci.

L’idea, si diceva, è nata sulla scia del successo di Nespresso. Naming italianeggiante, brand  – però – svizzero. “Non si può negare che è stato il lavoro di marketing a livello globale fatto da Nestlé ad aprire un mercato, quello delle cialde/capsule, prima marginale. E dato che mancava un soggetto nostrano in un settore che da sempre rappresenta un vanto per il paese, ho pensato di provarci io”.

Sette anni fa i primi negozi, anticipando un trend importante. La domanda di caffè macinato e in grani è calata in tutta Europa – lo testimonia la chiusura degli stabilimenti dove si producevano gli storici marchi Hag e Splendid nel torinese – ma al pubblico la bevanda continua a piacere.

Caffè: il macinato scende, ma le capsule vanno forte

“Invece di trasferire la produzione all’estero, mi sarei augurato che la fabbrica venisse riconvertita per la produzione di queste tipologie di prodotto” commenta Gonnella. Perché 57 persone rischiano di restare disoccupate. Ma cialde e capsule vanno forte. E potrebbero rappresentare il futuro anche per una serie di piccole ma significative realtà locali.

“Non dimentichiamo che l’Italia è la patria del caffè. Ci sono circa 800 torrefazioni. Quelle grandi sono una decina, conosciute a livello mondiale. Per il resto si tratta perlopiù di piccole realtà, che vanno dai dieci dipendenti alle ditte individuali, in cui dietro alle macchine lavora una sola persona”. Ogni miscela ha il suo sapore, che deriva dal grado di tostatura e dalla sapienza di chi effettua il processo. Si fatica a sopravvivere.

“E invece stiamo parlando di una ricchezza, in termini di gusto ma anche in termini economici. Per queste attività il problema è uno solo: arrivare al cliente finale. Un problema che noi li aiutiamo a risolvere”. Da qui la scelta di affidarsi a torrefazioni italiane. Quelle del territorio, caratterizzate da dimensioni ridotte e che non possono interfacciarsi con i colossi della grande distribuzione perché non dispongono  dei budget e dei volumi giusti, e tantomeno dispongono di una rete di agenti di vendita.

C’è grande domanda di Italia all’estero

L’azienda di Gonnella, un passato nell’informatica, utilizza packaging riciclabile, fattura 11 milioni e recentemente ha stretto un accordo con Food Empire, multinazionale quotata alla Borsa di Singapore  presente in 50 paesi dell’area asiatica per puntare con decisione all’Oriente.

Lui ripete il refrain di tutti gli imprenditori che esportano: “C’è grande domanda di Italia all’estero, soprattutto nel food. Ed è un peccato lasciare certi prodotti agli imitatori che di tricolore hanno poco, per non dire nulla”.

Antonio Piemontese

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