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Tanta voglia di tè: un lento riappropriarsi del tempo attraverso piaceri sottili

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MILANO – Il tè non è una bevanda, è un mondo. Un momento rituale, un lento riappropriarsi del tempo attraverso piaceri sottili: l’acqua che lentamente si colora, il risalire degli aromi, il contatto delle labbra sulla tazza, il calore, e infine, solo per ultimo, il dilagare del sapore, il gusto che a piccoli sorsi esalta la lunga sapienza “infusa” nelle foglie di quella che, senza la sua millenaria storia, sarebbe solo una pianta come altre: la “Camellia sinensis”, una specie di camelia che, in fondo, ha cambiato il mondo.

Non fosse altro perché fu un enorme infuso di 45 tonnellate di tè in acqua di mare a dare inizio alla Rivoluzione Americana.

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Ma già questa è storia recente, storia degli ultimi 400 anni, quando gli Olandesi prima, la britannica Compagnia delle Indie poi, aprirono le rotte del commercio del tè con l’Oriente e allora un nuovo uso – riveduto e corretto alla maniera occidentale – s’impose sulla scena europea.

Senza il tè non avremmo l’aristocratico immaginario inglese del tè delle cinque, ma anche questa è storia troppo recente e troppo commerciale perché possa riportarci all’essenza delle cose, a quella che è né più né meno che una filosofia.

“E’ il bello del tè, è quello che a me piace del tè”, dice il maestro Marco Bertona (FOTO): “tea taster”, docente, consulente per importanti aziende internazionali, presidente di ADeMaThè, l’Associazione Italiana Degustatori e Maestri di Thè; in sintesi, il massimo esperto italiano della “meravigliosa foglia”.

“Non volendo considerare la leggenda, che arriva ancora più lontano nel tempo, la storia, quella documentata, ci dice che in Cina la pianta del tè si coltivava già 2200 anni fa, sotto la dinastia Han. E’ lì che tutto ha avuto inizio, è questo che fa della Cina il punto di riferimento mondiale per il tè, allo stesso modo come Francia e Italia lo sono per il vino; anche se la vite è coltivata ovunque, dall’Australia alla California”.

Prima la Cina, poi gli altri. A lei piace solo il tè cinese?

“Il tè di qualità può essere anche indiano, singalese, filippino. In quanto ai gusti, non esiste un tè che mi piace di più, se è di qualità in genere mi piace, semplicemente”.

Lei ha dedicato al tè 30 anni della sua vita e lunghi viaggi in Oriente, glielo chiedo senza velleità: come è possibile convertire noi fruitori da supermarket ad un consumo più consapevole del tè? Quali potrebbero essere i primissimi passi?

“Intanto orientarsi, oltre al tè in bustina, che può andare bene solo per la merenda, verso quello in foglia; in secondo luogo i tè aromatizzati, con aromi artificiali, e cominciare ad abituare il gusto ai tè puri. Nella mia esperienza a contatto col pubblico, in occasione di eventi particolari, ho capito una cosa su tutte, il tè buono si riconosce, la gente lo assaggia e, pur non avendo gli strumenti per riconoscere un tè di qualità da uno che non lo è, percepisce la differenza”.

Diciamo pure che il livello generale di ciò che si trova in commercio è tanto basso da facilitare il compito. Ma nel consigliere il tè in foglia, lei ci dice indirettamente di prenderci il giusto tempo per gustare una buona bevanda; perdoni la banalità della domanda, ma qual è il giusto tempo d’infusione?

“La domanda è complessa, non banale. Essenzialmente esistono due grandi e opposte tradizioni. Quella anglosassone che prevede una lunghissima infusione (parliamo di 4 o 5 minuti) con poche foglie di tè, e la tradizione cinese, che prevede un impiego di molte foglie e un tempo d’infusione brevissimo, compreso tra 10 e i 30 secondi. Foglie che però non vanno gettate via dopo la prima infusione, ma riutilizzate continuando ad aggiungere acqua calda”.

Non le chiedo quale sia il sistema migliore …

“Va tutto sperimentato, provato, il tè è un mondo che finisce per appassionare e ci sono tè che meritano tutta l’attenzione che gli si dedica. Il tè è un po’come il vino, esiste il vino casalingo e quello da degustare, che richiede un tempo diverso. Ma al contrario del vino, che è un prodotto finito, il tè è tutto da fare e questo intriga ancora di più, bisogna scegliere la materia prima, seguire le regole della preparazione. E’ questa dimensione del degustare che noi in occidente non conosciamo”.

C’è qualcosa di religioso in questo?

“Sicuramente, anche se, essendo una bevanda, è inevitabile che sia così. Il tè è ricerca, è una filosofia che ha finito per sposare buddhismo e taoismo, insomma, è un mondo”.

Un mondo che da imparare a scoprire, per noi resta ancora essenzialmente una faccenda di papille gustative …

“Il tè in Occidente è arrivato nel passato come prodotto da abbinare ad un target preciso, che è quello dei consumatori di caffè. E infatti ancora oggi lo prendiamo scuro, amaro, forte tanto da doverlo zuccherare e magari aggiungervi del latte. Del resto è così che si fa col caffè e non a caso in un primo momento sono state proprio le multinazionali del caffè a gestirne il commercio. Il risultato è il nostro prediligere il tè nero, siamo abituati a gusti troppo forti per apprezzare la delicatezza del tè verde, che erroneamente si identifica con quel prodotto commerciale dal gusto acidulo che a ben pochi può piacere ”.

Tuttavia possiamo dire che il numero degli appassionati della cultura del tè è in crescita?

“Da almeno 15 anni c’è grande interesse, un interesse favorito dagli stessi paesi produttori. Per 400 anni abbiamo importato il prodotto, oggi ne stiamo cominciando a importare anche la cultura, cosa della quale, i mercanti che hanno gestito nei secoli il commercio del tè, importava zero”.

Marco Bertona

Il maestro Marco Bertona è “tea taster” professionista diplomato in Cina presso il “Tea Research Institute of the Guangdong Academy of Agriculture Sciences” di Guangzhou (Canton) dove, nel 2006, ha ottenuto – unico europeo – il diploma di “Advanced Tea Taster” rilasciato dal Ministero del Lavoro della Repubblica Popolare di Cina.

Bertona è anche membro professionale dell’International Society of Tea Science di New Delhi (India) e Delegato presso il Gruppo Intergovernativo sul Tè della FAO (IGG/TEA).

Tutti i toni del tè

Proprio come il vino che può essere bianco, rosso o rosato anche il tè ha una sua classificazione cromatica. Si tratta di una classificazione molto generale, che identifica diversi colori per diversi metodi di lavorazione (la pianta in teoria è sempre la stessa) ma ben poco spiega del gusto. Infatti i tipi di tè conosciuti sono oltre mille e nella sola Cina esistono almeno 300 tipi diversi di tè verdi.

Tè verdi, gialli, bianchi, blu-verdi, rossi e neri sono quelli riconosciuti nella classificazione cinese. Entrando in gioco le preferenze personali (proprio come il vino), non si può dire quale sia il migliore tè del mondo, di fatto quelli di più alta qualità hanno un costo che viaggia dai 300 ai 500 euro per etto.

ADeMaThè, l’Associazione Italiana Degustatori e Maestri di Thè, è un’associazione culturale a carattere professionale senza scopo di lucro, nata 14 anni fa. Lavora con grandi marchi, aziende e organizzazioni prestigiose, sia a livello nazionale sia internazionale, tra cui: Bvlgari, Guerlain, Camera di Commercio Cinese, Gruppo Intergovernativo sul Tè della FAO (IGG/TEA), Pepsico Italia, Padiglione Cina Expo 2015, Dilmah Tea Italia, Slow Food, International KIP School (progetto internazionale dell’ONU) e il Comitato Organizzatore (organismo governativo della RPC) della Settimana della Cultura Cinese del Tè ad EXPO Milano 2015.

L’associazione si occupa di formare professionisti del settore, gestisce il Registro nazionale dei Degustatori e dei Maestri di Thè; fa opera di informazione ed educazione dei consumatori.

Antonella Durazzo

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