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Starbucks, parla Masi: “Bene le 3 aperture a Milano, nel ’19 a Roma, poi in altre città”

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MILANO – Dopo l’inaugurazione in pompa magna della Roastery Starbucks di Cordusio – gestita direttamente dalla casa madre di Seattle – scocca l’ora dei primi locali targati Percassi, licenziatario unico del marchio della Sirenetta in terra italiana. Il primo, in corso Garibaldi a Milano, ha aperto i battenti martedì scorso (20 novembre).

Sabato 24 è stata la volta della caffetteria di via Durini angolo via Borgogna, sempre nel cuore della metropoli lombarda. Giovedì 29 alzerà invece, per la prima volta, le saracinesche il punto vendita di Malpensa.

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«Cresceremo ancora a Milano arrivando a 10-12 caffetterie. Per poi aprire a Roma, nel secondo semestre del 2019. Solo successivamente penseremo ad altre città», ha dichiarato Roberto Masi, managing director di Starbucks Italia, in un’intervista a Il Giorno di Milano, a firma di Cosimo Firenzani, che vi proponiamo di seguito.

Come sta andando il nuovo punto vendita di piazza Garibaldi aperto martedì?

«Molto bene. I quattro prodotti più venduti sono l’espresso e il cappuccino italiani e due prodotti iconici di Starbucks: il Frappuccino e il Caramel macchiato. È la dimostrazione della convergenza tra un brand mondiale e la tipicità dei prodotti italiani che offriamo».

C’è un obiettivo nel numero di punti vendita da raggiungere a Milano?

«No. Non mi piace fare annunci e al momento non si può dare un numero. Dipende dai risultati che otterremo e da come riponderanno i clienti agli obiettivi che ci siamo dati. Il potenziale, comunque, è enorme».

Quali erano i timori che tenevano lontano Starbucks dal mercato italiano? Cos’è cambiato nel frattempo?

«C’era il timore che Starbucks non fosse conosciuto abbastanza. Adesso, però, i Millenials viaggiano molto di più e la cosiddetta Generazione Erasmus ha avuto molte più possibilità di conoscere il brand. L’altro grande timore era legato ad un mercato molto competitivo. Scendiamo nell’arena dei bar. I radicatissimi bar di quartiere che rappresentano un elemento importantissimo nel tessuto economico sociale italiano. Adesso siamo convinti di essere in grado di accettare questa sfida».

Cosa c’è di diverso nell’offerta italiana?

«Abbiamo visto che gli italiani fanno colazione e consumano latte fino alle 11. A quell’ora c’è il passaggio netto vero il pranzo per poi tornare nel pomeriggio al dolce. Noi ci trasformeremo nei vari momenti della giornata: dalla colazione, agli snack lunch per pranzo con sfilatini, prodotti salati e spremute per poi tornare ai dolci. Tutto questo negli altri Paesi non avviene in maniera così spiccata».

E i centri commerciali vi interessano?

«Non sono la priorità. Ci andremo, certo. Ma non adesso. Mi spiego meglio: pensiamo che i centri commerciali sul modello ipermercato non facciano al caso nostro. Starbucks, invece, è perfetto per gli shopping mall con un posizionamento più alto. Quelli sul modello di Westfield Milano. Lì, infatti, ci saremo».

È stato manager di Carrefour ed è stato a lungo ad di McDonald’s Italia. Adesso ha raccolto questa nuova sfida…

«Credo ci sia un filo conduttore nel mio percorso. Tanti manager si specializzano nel portare le Pmi italiane nel mondo, io credo di aver dato una mano ad alcune multinazionali ad avere successo in Italia. Non dico ad entrare sul mercato italiano: per quello avevano tutti i mezzi finanziari per riuscirci. McDonald’s quando sono arrivato era in dubbio se lasciare l’Italia dopo 22 anni. In 10 anni, poi, il fatturato è più che triplicato. Abbiamo sdonagato l’hamburger in Italia e abbiamo introdotto la caffetteria. Adesso, siamo pronti a vincere anche questa sfida. I presupposti ci sono tutti».

Quali?

«La dimensione e la potenza finanziaria della società non si discute. Ho trovato propensione a voler discutere sulle peculiarità italiane. Faccio un esempio: i cucchiaini per il caffè non esistono negli Starbucks degli altri Paesi, ma qui era impensabile non metterli. Anche nel posizionamento dei prezzi abbiamo dovuto fare scelte diverse a quelle degli altri Paesi. La grande sfida è adattarsi alle abitudini di consumo senza snaturare il brand».

E la sfida è appena iniziata.

Cosimo Firenzani

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