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MILANO – Piazza Cordusio, dentro il ventre della Starbucks Reserve Roastery che ormai quasi 7 anni fa ha aperto la via della Sirena di Seattle nella patria dell’espresso, proprio in quella città che ha ispirato il creatore della catena di caffe Howard Schultz a sviluppare uno dei punti di riferimento mondiali quando si parla di questa bevanda. Oggi che si possono contare 46 store in tutta Italia, il cuore pulsante batte ancora all’interno della Roastery, la sola di tutta l’area EMEA (Europa, Medio Oriente e Africa).
Ed è qui che si può toccare con mano il ciclo di produzione che rifornisce attraverso una Scolari che tosta circa una tonnellata al giorno (di cui circa 85 kg sono usati internamente): il 90% di caffè, poi va a rifornire i punti sparsi in tutta Europa, in Africa e in Medio Oriente.
Starbucks Reserve Roastery: parte il viaggio alla sua scoperta
Ci spiega Mattia Intorre, guida del tour esplorativo nel centro di produzione – anche se si fa fatica a interpretarlo così, quando tutto attorno ci sono i consumatori finali a fare colazione con lo sguardo addosso – “Qua cuociamo il verde che poi viene portato al centro di distribuzione, il magazzino di Siziano e da lì viene spedito.”
Sei silos per il chicco verde (dentro, 900 chili) che svettano in alto, in bella vista. Altri sei invece (dentro 300 chili di caffè tostato) conservati all’interno di quello scrigno che rende unica la Reserve Roastery milanese e che, raccontano gli operatori, hanno soprannominato “ballerina“, proprio per il suo modo tipico di aprirsi e chiudersi. Sembra uno scrigno, una conchiglia che ogni tanto lascia intravedere al pubblico il suo contenuto, ovvero, le origini stoccate e pronte per essere ritirate.

Ogni tre mesi si ruotano le origini
Il tour, a cui è possibile partecipare prenotando a questo link almeno 72 ore prima e per un massimo di 4 persone, è organizzato due volte alla settimana al costo di 90 euro. Soltanto in questa Roastery milanese, è possibile fare questa esperienza tutto l’anno, il martedì e il giovedì, o alle 10 o alle 14.
Nella Starbucks Reserve Roastery si tosta tutti i giorni, salvo intoppi
Vestiti con il camice da lavoro e la rete per capelli, si parte e subito ci si imbatte nei sacchi del verde (da 60, 69 e 70 chili), che vengono etichettati per poterne individuare immediatamente l’origine. Il primo step è quello appunto del crudo, che viene caricato attraverso un sistema di griglie che portano i chicchi dal pavimento, poi tramite il sistema di tubi che attraversano tutto il locale, nei sylos. Tutto è estremamente controllato per evitare contaminazioni della materia prima.
Accorgimenti che sono indispensabili, specialmente se si considera lo stretto contatto con i consumatori, che pasteggiano proprio sopra l’area di carico e tostatura.
Ci spiegano: “A volte può capitare che qualcosa finisca all’interno del caffè, oltre alle piccole pietre presenti spesso nei sacchi. Ma ci sono diversi step di controllo che abbiamo improntato per evitare in assoluto che dentro il pacchetto possano trovarsi corpi estranei.”
Prima un magnete da 25 chili, attira tutto ciò che è metallico, poi il destoner come punto di controllo e pulizia, la griglia viene ripulita ogni due bancali svuotati, infine un’analisi a raggi x individua eventuali irregolarità.
Niente è lasciato al caso: persino tra una tostata e l’altra, gli operatori dispongono un telo per coprire la griglia di caricamento: in questo modo anche se qualcuno si distrae, resta tutto a prova di sicurezza.
Ma, come suggerisce il suo nome, la Starbucks Reserve Roastery è soprattutto…roastery
E così ci si ritrova presto di fronte a sua maestà la Scolari – dalla capacità massima di 120 chili, impiegata però soltanto per cuocerne 60, avendo volutamente ridurre le dimensioni del tamburo -, che ha già settati i vari profili di tostatura per valorizzare al meglio origini e metodi di estrazione.

Un organismo che ha bisogno dei suoi tempi, così come dice Elisa, la torrefattrice responsabile: “Si parte alle otto-nove del mattino per riscaldare la macchina. Il bruciatore che si trova al piano -1, impiega circa un’ora per raggiungere la temperatura ideale a tostare e superare i 200 gradi interni.”
Alla domanda che probabilmente in tanti si fanno entrando nella Starbucks Reserve Roastery, ovvero “come mai non si sente il profumo di caffè che di solito si sente nelle torrefazioni?”, la risposta arriva prontissima: l’area è stata dotata di un tubo di ottone che raccoglie sia i fumi che la silverskin.
I primi arrivano al piano -1, la seconda al -2 (ancora non è stato possibile impiegarla in iniziative di economia circolare, perché dopo diversi tentativi di collaborazione, nessuna azienda ancora ha proposto delle tempistiche di stoccaggio sostenibili per i volumi prodotti dalla Roastery).
L’interesse ad impiegare materiali di scarto nella Roastery c’è e ci sono già iniziative in corso come quella insieme alla comunità degli apicoltori della Lombardia, Apilombardia, donando i sacchi di caffè verde in tessuto naturale ricavato dalle fibre della pianta di juta, che vengono riciclati per essere utilizzati nel processo di raccolta del miele.
Dopo esser finiti nel post-bruciatore, o bruciafumi, i fumi passano a dei catalizzatori che funzionano con un sistema di filtri, le temperature più elevate si hanno del post-bruciatore/bruciafumi.
Un altro sistema di gestione dei fumi è dedicato a quelli sviluppati a freddo, quindi dai chicchi che raffreddano nella vasca e che vengono risucchiati verso il basso.
Una volta cotto, il caffè viene filtrato ulteriormente dalla macchina spietratrice, poi viene pesato da una bilancia apposita e infine, attraverso il sistema di tubi finisce nel cask, la famosa ballerina che custodisce l’oro nero di Starbucks.
Unica miscela sempre presente, sotto richiesta dello stesso consumatore che apprezza una tazzina in cui possa riconoscere proprio la Starbucks Reserve Roastery, il Milano Blend. Una logica che poi è stata riproposta per tutte le Roastery del mondo, ciascuna con la propria tazzina distintiva e identitaria.
Il passaggio al packaging

Una fase piuttosto delicata, senza la quale non sarebbe possibile la vendita del prodotto finito.
Intorre spiega bene: “Ci sono due tipi di produzione interna: uno diretto alle Sirene in tutta EMEA e poi quella destinata al consumo interno. I formati che produciamo qui sono ancora una volta due, quello da un chilo (indirizzato al rifornimento professionale degli altri Starbucks) e quello da 250 grammi destinato alla vendita per il consumo domestico. Realizziamo per la maggior parte i pacchi da un chilo, con una media di circa una settimana al mese per quelli da 250 grammi.”
In questo frangente, viene anche specificato che per il cambio tra uno e l’altro è necessario un lavoro di sostituzione di parti del macchinario che dura ben tre ore. Motivo per cui, l’imballaggio si suddivide in giornate dedicate ad uno o all’altro formato.
Il tour prosegue con l’arrivo davanti all’imponente Goglio G14C, anche questa ha un suo nome proprio dato con affetto dagli stessi operatori, Gertrude. Settata una bobina da un chilo, dotata di un eye mark che Intorre segnala subito come fondamentale per comprendere dove esattamente tagliare o stampare sul rotolo. I pacchi vengono chiusi in atmosfera modificata e per ogni bancale è previsto un test di controllo per verificare che tutto funzioni correttamente.

Tutto quello che non rientra negli standard, viene scartato, e riutilizzato: un pacchetto sottopeso ad esempio, viene reimmesso nei silos del tostato. Si evitano il più possibile gli sprechi e la compromissione della qualità.
Nota a margine importante: non tutte le Starbucks Reserve Roastery prevedono questo passaggio finale. Ad esempio, quella di New York non si occupa del confezionamento. A Chicago invece, tutto ciò che viene tostato viene usato soltanto per il consumo interno.
La chiusura in bellezza: degustazione
Esplorare il ciclo produttivo della Starbucks Reserve Roastery non poteva che concludersi in un modo: l’assaggio in tazza. In questo caso, servito con il V60, un Etiopia naturale che crea un ultimo momento di convivialità utile per scoprire, insieme a Valentina Pagano, responsabile brand & marketing della Starbucks Reserve Roastery Milano, l’essenza di questo spazio con una superficie di circa 2000 metri quadrati: alla domanda, se la Roastery ha finalmente recuperato l’ingente investimento che ha dovuto sostenere per il suo avvio, la risposta arriva chiara e semplice.
Starbucks Reserve Roastery esiste come cassa di risonanza per tutto il brand statunitense: è un bigliettino da visita che esiste per comunicare la realtà complessa e di alta qualità portata avanti dalla catena e che, in termini di ritorno economico si traduce in un’ottima ricaduta di immagine su tutti gli altri punti vendita in Italia e in Europa.
Starbucks Reserve Roastery è una vetrina che presenta l’immagine autentica del marchio. E questo, è il vero e unico obiettivo che, al di là della sua conversione in numeri di bilancio, è stato più che raggiunto.