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MILANO – Starbucks e Costa Coffee – numeri uno rispettivamente in Usa e nel mondo e in Uk – non stanno attraversando un grande momento. La catena americana ha pubblicato, la settimana scorsa, una trimestrale incoraggiante, con risultati parzialmente superiori alle attese. Il circolo vizioso della crescita negativa a parità di perimetro si è infine spezzato, dopo sette trimestri consecutivi in rosso.
Ma i margini si sono ridotti drasticamente e l’eps dell’ultimo trimestre è stato inferiore al consensus. La cura da cavallo somministrata dal nuovo ceo Brian Niccol comincia a produrre i primi effetti, ma i tempi per il rilancio saranno ancora lunghi.
Non va meglio in casa Costa. I ricavi della catena di caffetterie “preferita dai Britannici” sono scesi da 1,3 miliardi di sterline nel 2018 – quando l’asset fu acquisito da Coca-Cola – a 1,22 miliardi nel 2023 (ultimo anno per il quale sono disponibili dati separati di bilancio, ndr.), quando l’esercizio si è chiuso con una perdita operativa di 14 milioni, imputata ai maggiori costi per il personale, l’energia e le materie prime.
Il lievitare dei costi, a cominciare da quelli del caffè, le difficoltà post-Covid, la complessa congiuntura economica che scoraggia i consumi voluttuari, sono attenuanti generiche, che giustificano, in parte, la performance deludente di questi due colossi. Ma non bastano a spiegarla.
Anche perché mentre Starbucks e Costa rallentano, c’è chi continua a correre
E non parliamo soltanto della rediviva Luckin Coffee – ora presente anche negli Usa – che sta riscattando con i risultati attuali le poco decorose disavventure finanziarie di inizio decennio.
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