mercoledì 10 Aprile 2024
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Manfredini, con la Roastery in provincia di Reggio Emilia: “Chi assaggia gli specialty si chiede cosa ha bevuto prima”

Il torrefattore: "Nella mia zona non sono molto conosciuti gli specialty, ma crescono soprattutto sui social, ogni giorno di più. Confrontandomi con dei privati mi hanno riferito che è un prodotto ancora poco esplorato, ma tutti quelli lo hanno assaggiato sì sono chiesti: ma io cosa ho bevuto fino ad oggi?"

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MILANO – La tendenza che punta verso gli specialty coffee arriva anche nelle province: da pochi mesi l’avventura di Simone Manfredini è partita, con una Giesen da 15 chili e una micro roastery che non cede a compromessi quando si parla di materia prima di qualità. Tutto questo porta il nome già eloquente di Manfredini Coffee Lab: il titolare ci ha aperto le porte di questa piccola realtà di Montecchio (Reggio Emilia) per continuare la divulgazione attorno alla bevanda.

Un percorso frutto di studi ed esperienze professionali legate al food e all’ambiente, come ha raccontato Manfredini: con una laurea presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Parma, la lezione della food valley italiana ha trovato una naturale evoluzione nello specialty coffee.

Manfredini Coffee Lab micro Roastery: cosa significa essere una piccola torrefazione di specialty in Italia, in provincia di Reggio Emilia?

“Significa essere una new entry. Ho aperto da poco, alla fine del 2022. Il motivo che mi ha spinto è la passione, quasi una vocazione, per il caffè. È un prodotto che da sempre mi affascina, sin da quando ero piccolo e ne rimanevo attratto e incuriosito. Ne avvertivo l’alone mistico, quello dietro alla filiera.

Durante il Covid, ho avuto l’opportunità di approfondire le mie conoscenze sulle origini e sulla qualità: più mi informavo, più la mia curiosità cresceva. Ho deciso di seguire i corsi di Sca Italy e di aprire così la mia torrefazione.

Ho acquistato per partire un tostino campionatore Ikawa: da lì, mentre seguivo la parte amministrativa per aprire l’attività, 50 grammi di caffè per volta, ho sperimentato tostando a casa diversi kg di caffè verde. Ho imparato così cosa non fare attraverso gli errori e da lì, come si comportano diversamente le varie lavorazioni del verde. Ho provato, modificato e riprovato diverse curve di tostatura per ottenere diversi risultati e verificarne il cambiamento del flavor in tazza. Mi sono confrontato con vari grossisti di crudo e ho potuto selezionare con grande attenzione la materia prima.

Esiste tantissimo caffè buono, anche se non certificato, e il mio approccio al caffè non è tanto per la sua funzione di sveglia: cerco l’effetto wow, qualcosa che risvegli i miei sensi lasciandomi quasi stordito dalla carica aromatica che mi trasmette. Tutto questo l’ho trovato soltanto negli specialty, principalmente dagli 85 punti in su. Ho deciso che non ero interessato a trovare qualcosa con il solo scopo di dover piacere per forza a tutti, ma che innanzitutto piacesse a me per riuscire ad esser soddisfatto del mio lavoro.

Nella mia zona non sono molto conosciuti gli specialty, ma crescono soprattutto sui social, ogni giorno di più. Confrontandomi con dei privati mi hanno riferito che è un prodotto ancora poco esplorato, ma tutti quelli lo hanno assaggiato sì sono chiesti: ma io cosa ho bevuto fino ad oggi? Soprattutto tra i ristoratori ho trovato interesse ed è un buon sintomo di un’inversione di tendenza. Realtà che finalmente cominciano ad inserire la carta dei caffè, dando la giusta importanza a questa bevanda come parte integrante dell’offerta.”

Quali sono le maggiori difficoltà che dovete affrontare? E come le avete superate?

“Le difficoltà sono state più che altro legate a sviluppare contatti con delle realtà che fossero davvero interessate. È un prodotto che richiede un certo tipo di trattamento, di preparazione: ma qui sta crescendo rapidamente la curiosità verso questo mondo. Sono riuscito a dare la possibilità a chi acquista il mio caffè di seguire un approfondimento gratuito presso il mio laboratorio su come valorizzare lo specialty in espresso, in filtro o in moka, che è uno strumento interessante anche dal punto di vista ecologico.

Poi ovviamente è stato complesso anche gestire la parte burocratica per avviare una micro torrefazione: la fase normativa va seguita alla lettera e porta via molto tempo. Per quanto riguarda i macchinari, confrontandomi con diversi addetti ai lavori, ho optato quasi subito per l’acquisto di una Giesen da 15 chili con l’installazione di un catalizzatore Reicat che durante la tostatura mi permette di lavorare senza emettere alcun tipo di odore e di avere emissioni molto ridotte.

Fattore essenziale, per Manfredini Coffee Lab collocato all’interno di un centro abitato, così anche dal punto di vista dell’impatto ambientale siamo veramente soddisfatti.”

Con Manfredini Coffee Lab siete riusciti a impostare dei contatti diretti con i coltivatori?

“Mi sono interrogato molto su questo aspetto e parlando con altri colleghi è emerso che ci sono sempre dei rischi nella relazione diretta. Ho voluto concentrarmi maggiormente sull’aspetto sensoriale e per quanto riguarda il trasporto, lo stoccaggio e la conservazione voglio che siano rispettati al meglio. Solo dopo aver tostato e assaggiato dei campioni di 100 grammi per comprenderne le caratteristiche aromatiche e l’eventuale assenza di difetti scelgo se ordinare i vari tipi di caffè verde assicurandomi che rispecchino la qualità che voglio esprimere in tazza. Ricevo caffè colombiani, brasiliani, etiopi, dal Costa Rica ecc.. l’importante è che siano di qualità assoluta”

Il caffè Manfredini Coffee Lab (foto concessa)

Lavorate soltanto con Arabica, ma come mai? Il Fine Robusta non è comunque un prodotto di qualità?

“Ho provato a comprendere di cosa si trattasse, ma al momento preferisco continuare a scegliere gli specialty Arabica che hanno però una proposta più ampia e variegata che si sposano bene ai miei diversi profili per espresso/moka e filtro. La curiosità comunque non manca, è il mio motore quotidiano.”

Italia, estero? Vendete localmente, su tutto il territorio nazionale?

“Dopo il Sigep ho avuto richieste anche dall’estero ma non sono ancora pronto. In futuro valuterò la cosa, ma ormai anche in Italia lo specialty sta prendendo prepotentemente il suo spazio. Non ho intenzione di fare più di ciò che riesco a gestire e controllare. Voglio mantenere alta la qualità e soprattutto la freschezza della tostatura. ”

Perché non avete pensato di produrre le vostre capsule specialty?

“Penso proprio di no. È un mio modo personale di interpretare la questione: mi piace il caffè macinato fresco e non voglio aggiungere imballaggi più del necessario. È un contenitore che non mi emoziona, anche se ne capisco il potenziale economico. Per il momento non è qualcosa che mi interessa approfondire.”

Prossimi progetti?

“Nel prossimo anno vorrei crescere, espandermi attraverso le collaborazioni che nascono e si consolidano anche molto rapidamente. C’è dall’altra parte un grosso interesse per un caffè speciale, in qualcosa che possa differenziare l’offerta e permettere al ristorante o alla caffetteria, di proporsi in maniera differente.

Mi piace la tipologia di locale che offre diverse tipologie di caffè, anche con proposte di altri torrefattori, nello stesso locale, per un confronto positivo e di condivisione. Con il caffè sempre come protagonista.”

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