mercoledì 10 Aprile 2024
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Omar Zidarich, Presidente del Gruppo italiano torrefattori caffè: “Non facciamo a gara tra chi ha più soci ma spingiamo sul livello dell’informazione”

E aggiunge analitico: "È un vantaggio iscriversi perché il Gruppo affronta le esigenze di tutti i torrefattori: da chi lavora con macchine con capacità da 5 chili, sino a chi trasforma 300-600 chili. Questo significa che le problematiche e le tematiche sono comuni. Ricordiamoci che l'obiettivo del piccolo è diventare grande, e quello del grande è di non incorrere nella concorrenza sleale e rapportarsi con tutti i torrefattori mantenendo la propria clientela. Le associazioni poi sono utili ed esaustive rispetto alle richieste ricevute, quando i soci sono attivi. Quando uno di loro porta la sua esperienza individuale all’interno dell’associazione, viene condivisa e diventa una tematica comune”

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Omar Zidarich, presidente del Gruppo italiano torrefattori caffè, rivela le origini e gli obiettivi dell’associazione nata nel 1954 a Venezia con lo scopo di rappresentare al meglio tutti gli attori della filiera. Oggi il Gruppo può vantare oltre duecento iscritti e molti altri stanno rinnovando l’adesione per l’anno in corso. La maggior parte dei soci sostenitori sono torrefattori ma altri appartengono ai poli a monte o a valle della filiera: dal campo del caffè verde fino ad arrivare alla produzione di macchinari di tostatura e di confezionamento. Zidarich espone poi i progetti che vedranno coinvolto il Gruppo in futuro come, ad esempio, tentare di far luce sul discorso dell’EUDR, le norme europee sulla deforestazione che tanti dubbi stanno suscitando.

Presidente, cominciamo dalla carta d’identità del Gruppo Italiano torrefattori caffè, che ha una storia antica perché nasce nel 1954 a Venezia come Gruppo Triveneto.

Nel Nord-Est, grazie anche alla vicinanza del porto di Trieste, si è sviluppata l’idea di alcuni soci veneti virtuosi: prima i torrefattori coprivano la propria zona di riferimento e in seguito i brand sono cresciuti insieme al concetto della gestione delle identità differite nelle succursali.

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C’era sempre più necessità di affrontare tematiche che riguardavano l’intero Stivale, guardando alle prime esportazioni: dal ‘54 in poi si verificano i grandi flussi di migrazione verso Paesi come gli USA, il Nord Europa, la Svizzera e si avverte l’esigenza di parlare di regolamentazioni, di modus operandi per quanto riguarda tutte le importazioni e esportazioni di verde e tostato.

Omar Zidarich (a destra) con il Conte Giorgio Caballini di Sassoferrato (sinistra)
Omar Zidarich (a destra) con il Conte Giorgio Caballini di Sassoferrato (sinistra)

Arrivando ai giorni nostri, per un’idea del Conte Giorgio Caballini di Sassoferrato si passa al nome Gruppo italiano torrefattori in quanto aperto statutariamente, con la possibilità di iscriversi, per i torrefattori che hanno sede fuori dalle Tre Venezie.

Così, per coinvolgere gli operatori di tutta l’Italia e anche dall’estero, come soci sostenitori, e dar loro un titolo per poterli rappresentare al meglio, si è deciso di cambiare il nome nell’assemblea generale del febbraio 2015. ”

Zidarich, quanti inscritti conta il Gruppo ora e perché iscriversi all’associazione rappresenta un vantaggio per i torrefattori?

Al momento contiamo 205 iscritti ad ora, ma siamo in attesa dei soci che stanno settimanalmente regolarizzando, come ogni anno, le quote di iscrizione

La maggior parte dei soci sostenitori sono torrefattori, coloro che afferiscono come codice ATECO a tutto ciò che include la trasformazione del verde in tostato.

Poi ci sono altri soci sostenitori che appartengono ai poli a monte o a valle della torrefazione: dal caffè verde alla produzione di macchinari di tostatura e di confezionamento, sino alle tazzine, i macinacaffè.

È un vantaggio iscriversi perché l’Associazione ricopre le esigenze di tutti i torrefattori: da chi lavora con macchine con capacità da 5 chili, sino a chi trasforma 300-600 chili. Questo significa che le problematiche e le tematiche sono comuni.

Ricordiamoci che l’obiettivo del piccolo è diventare grande, e quello del grande è di non incorrere nella concorrenza sleale e rapportarsi con tutti i torrefattori mantenendo la propria clientela.

Le associazioni poi sono utili ed esaustive rispetto alle richieste ricevute, quando i soci sono attivi. Quando uno di loro porta la sua esperienza individuale all’interno dell’associazione, viene condivisa e diventa una tematica comune.”

Zidarich, qual è la più grande sfida per il vostro gruppo da affrontare per restare attuali e attrattivi per un settore così numeroso e frammentato?

“La più grande sfida che il Gruppo italiano torrefattori può affrontare è il diventare sempre di più un’associazione di categoria.

Significa rapportarsi con la politica del momento, sia regionale, comunale che nazionale e ormai anche europea, guardando alle leggi EUDR e per gli imballaggi. Dobbiamo confrontarci con le istituzioni, essere bravi a fare squadra, dialogando con le altre associazioni di categoria non solo italiane ma anche estere, per fare fronte comune.”

Com’è possibile trovare una comunicazione che sia efficace sia per il micro roaster di specialty che per il torrefattore grande e commerciale?

“Abbiamo notato che sempre di più i torrefattori sono interessati a tematiche tecniche e questo è un filo conduttore importante per il Gruppo italiano torrefattori. Trattando temi come leggi di importazione, smaltimento di rifiuti, sia le micro roastery specialty che le grandi torrefazioni hanno a che fare con un prodotto che non cresce in Italia e hanno dunque entrambi bisogno di rispettare determinate regolamentazioni.

Il Gruppo si occupa nella stessa maniera di tutto ciò che riguarda la legislatura che interessa qualsiasi torrefattore.

Il micro roaster poi si inserisce in una nicchia, però di grande interesse: ricordiamoci ciò che è successo in particolare nel beverage, soprattutto nel mondo birra negli ultimi 10 anni.

Nessuna persona era disposta a pagare un centesimo in più rispetto ai prodotti che si trovavano tra i marchi più conosciuti nei locali.

Adesso le micro birrerie, con le IPA, hanno dettato un cambio di rotta e il consumatore finale è disposto pagare il doppio rispetto ad una soluzione di marchi famosi.

Questo discorso premia i professionisti, che vengono finalmente compresi dai clienti. È un processo in atto da parecchi anni: in ogni televisione europea c’è almeno uno show cooking a dimostrazione del fatto che è un format di interesse per il grande pubblico. Questo ha fatto sì che il produttore debba essere preparato per proporre qualcosa che giustifichi il prezzo maggiore, come è il caso dello specialty.”

Con quali altre associazioni di settore vi rapportate?

“Personalmente mi confronto con il Comitato italiano del caffè e il presidente del Consorzio promozione caffè Michele Monzini, ma cerchiamo di tendere la mano a tutti. La mia filosofia è che in un Paese geograficamente bislungo è difficile trovare un’associazione di categoria che davvero rappresenti tutti e abbia la confidenza di parlare con tutti i suoi soci.

Di conseguenza non dobbiamo fare a gara tra chi ha più soci, ma spingere sulla qualità dell’informazione e dell’associazionismo. Non osserviamo i fatturati dei nostri soci per pensare di essere più importanti.

In realtà siamo rilevanti quando raccogliamo delle buone opinioni da tutti i soci: quelli più grandi apprezzano il fatto che un’associazione possa essere utile nonostante le loro possibilità di ricerca e dimensioni; quelli piccoli sono interessati alla possibilità di accedere a determinate informazioni che sarebbero destinati a perdere perché non hanno magari il tempo di reperirle da soli.”

Quali sono le iniziative che avete in cantiere?

La più importante si sta concentrando sul discorso dell’EUDR. In questi mesi lavoreremo per fare chiarezza su questa regolamentazione, tentando di dialogare con il Ministero dell’agricoltura e l’Organo competente di controllo, una sezione speciale dei carabinieri.”

Come potrebbero essere affrontati questi progetti se tutte le associazioni mostrassero un’unità di intenti

“Assolutamente avremmo più ascolto da parte delle istituzioni. La frammentazione delle associazioni ha fatto sì che la nostra voce fosse percepita come più flebile. Se avessimo un’unità di dialogo sarebbe più facile potersi rapportare con gli organi competenti.”

Intanto per i torrefattori non è un momento bellissimo, quali indicazioni ha dato ai suoi associati?

“E’ un momento di grande attenzione rispetto a situazioni che possono cambiare dall’oggi al domani. Il problema dell’approvvigionamento dei porti è evidente e a seguire ci sarà quello della deforestazione.

A fine anno dovremo capire quali saranno le problematiche reali: il regolamento è europeo e quindi il rischio più grande è che nei mercati di sbocco, ovvero i nostri clienti extra CEE, potranno essere riforniti con caffè non certificati da torrefattori extra CEE e questo significa una concorrenza rispetto ai prezzi.

I caffè non certificati non saranno più interessanti per il mercato europeo. Il potenziale cliente potrà scegliere tra un caffè certificato e uno non certificato e dobbiamo intuire cosa potrebbe succedere per i nostri clienti nell’export.”

Tra le diverse attività del Gruppo italiano c’è il Notiziario dei torrefattori, un mensile da sempre punto di riferimento per i vostri iscritti e per tutto il settore. Che cosa avete in animo di fare per tenere sempre alto il livello della rivista?

“Il notiziario torrefattori è considerato un fiore all’occhiello del Gruppo. Di recente la direttrice responsabile Susanna de Mottoni, per motivi famigliari, ha dato le dimissioni. Rimarrà però nell’organigramma redazionale. Al suo posto ora c’è il dottor Alberto Medda Costella, che era già tra i collaboraori del mensile: firmerà il notiziario dal Primo maggio. Indubbiamente l’entusiasmo è stato importante per la ricerca di un giornalista nuovo: Medda si è appassionato al caffè e so che vuole fare squadra con i nostri giornalisti dislocati in Italia e all’estero.

Inoltre vuole mantenere costante il rapporto tra il Consiglio direttivo del Gruppo italiano torrefattori e del notiziario, perché ci siamo resi conto che le tematiche tecniche sono quelle più interessanti per i nostri soci.”

Impossibile parlare con lei Zidarich senza sapere come sta andando la vicenda silverskin.

“Molto bene: stiamo per concludere il primo distretto. L’idea è di creare un format, quindi un dipartimento di raccolta delle pellicole, per cui tutti i torrefattori di una determinata zona convergeranno in un unico punto dotato di un macchinario creato per creare un syngas, energia elettrica e bio chair (fertilizzante di alta qualità).

Stiamo cercando di costruire il primo punto per poi riproporlo a tutti i soci in tutto lo Stivale con diversi distretti.”

Omar Zidarich
Omar Zidarich

E’ stato scritto di recente in un articolo che il caffè italiano è il peggiore del mondo: lei cosa ne pensa?

“E’ un articolo che ha il tono della provocazione, anche per incuriosire i lettori. Ci sono diversi passaggi criticabili al suo interno ma di certo la giornalista è stata molto pungente e critica rispetto al mondo della torrefazione italiana.

Direi che alcune considerazioni sono deboli e facilmente smentibili. Prima di tutto, quando si giudicano le operazioni di una torrefazione – come il fornire la miscela di bassa qualità in fronte a finanziamento -, ricordo che la fornitura di bassa o di alta qualità, dal punto di vista del costo della materia prima, e quindi di caffè verde, non cambia molto. Parliamo al massimo di uno-due euro di differenza tra un crivello e un altro. Viceversa la differenza tra un blend tostato di alta qualità e uno di bassa qualità può variare anche di dieci euro.

Quindi il torrefattore non ha una reale convenienza a proporre una miscela di bassa qualità per aumentare la marginalità, perché questa non cambierà di molto, vista la poca differenza tra una Robusta di bassa qualità e Arabica di alta qualità.

Dall’altra parte, il sistema di finanziamento è stato quello che i torrefattori hanno da sempre utilizzato a fronte di un investimento, non per obbligare all’acquisto di un determinato caffè: il fine è quello di aumentare il valore del bene comune, che è la tazzina.

Tant’è vero che c’è stata una legge del Governo Renzi che ci ha permesso anche di fare investimenti come filiera produttiva, proprio perché si considera il barista un mezzo per arrivare al consumatore e il torrefattore come produttore di caffè, con l’obiettivo comune della tazzina.

Per cui un investimento nell’attività può essere utile anche al torrefattore per arrivare al consumatore finale in una determinata maniera, cercando di portare in alto il proprio brand e prediligendo una tazzina di qualità.

Inoltre i torrefattori negli ultimi anni hanno investito molto in scuole e accademie, con corsi che vanno dall’espresso alla latte art, alla manutenzione e pulizia delle macchine.

La cura per quanto riguarda il prodotto è maggiore rispetto a quello che c’era anni fa. I torrefattori sono diventati sempre più un marchio: oggi si vende un caffè con un nome.

Questo ha fatto sì che queste operazioni leghino al marchio anche il barista che predilige un caffè non soltanto per il gusto ma anche per le qualità che trova in una determinata torrefazione, in termini di servizio e di professionalità.

Abbraccia più aspetti, non soltanto il prezzo: chiaramente ci saranno sempre gli operatori che cercheranno il risparmio, ma questo è in mano alle leggi del mercato.

Il torrefattore oggi punta sulle miscele di qualità perché è questo che sostiene l’export come identità di un marchio. Ci saranno poi sempre linee low cost ma dipenderanno dalle scelte del consumatore e non dai brand. “

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