mercoledì 10 Aprile 2024
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Mauro Cipolla sull’articolo che critica il caffè in Italia: “C’è molto da migliorare ma si rischia di creare conflitti e disuguaglianze”

L'esperto: "Ritengo, non senza dispiacere, che questo articolo rischi di creare delle disuguaglianze e degli inutili conflitti tra diversi professionisti di un medesimo settore i quali lavorano bene ma diversamente. Ecco la parola chiave è "diversamente". C’è un mondo simile ma diverso, e cioè il mondo dei caffè speciali che hanno lavorazioni molto simili se non identiche a molti specialty coffee ma non sono declinati come tali, e i quali mantengono la loro unicità e la capacità di non essere omologati"

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Mauro Cipolla, il titolare di Orlandi Passion, professionista ben noto agli addetti ai lavori per la sua esperienza e conoscenza della materia, espone il suo punto di vista sul recente articolo pubblicato da una nota testata giornalistica di settore, secondo cui il caffè italiano sarebbe il peggiore del mondo.

Cipolla, grazie alla sua vasta competenza sul mondo dell’espresso e dello specialty, espone la sua opinione al riguardo. Leggiamo di seguito le sue considerazioni.

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Il caffè e i bar in Italia

di Mauro Cipolla

MILANO – “Recentemente mi è stato pubblicamente chiesto il mio parere su un articolo di una nota testata giornalistica di settore. Risponderò certamente ai diversi punti indicati in modo tecnico e basandomi sulla storicità.

Mi preme anzitutto sottolineare che non tutti i torrefattori e non tutti i baristi si comportano in modo tanto viscido, come descritto nel pezzo, ma solo, relativamente, a quella porzione di torrefattori e commercianti che dovrebbero sentirsi chiamati in causa.

Perché è questa che credo fortemente sia ciò di cui non scrive l’autrice dell’articolo: e cioè, solamente di una porzione di professionisti di una realtà ben più ampia e spesso anche ben più moralmente integra, in una sua buona parte composta non dalle grandi industrie torrefattrici, bensì da tanti piccoli artigiani che fanno della propria onestà e della propria etica il loro credo professionale e umano”.

Cipolla aggiunge: “Il mio parere in merito all’articolo è lungo e articolato perché ritengo che il tema giornalistico investigativo intrapreso dall’autrice sia utile ma certamente non completo e non equilibrato tra le diverse parti.

Visto che il caffè espresso (di questo si parla, e non invece di caffè filtro o di caffè espressi ibridi con radici derivanti dalle convinzione del gusto dei filtri) è la mia vita sin dal 1981 divisa su tre continenti iniziando prima con la botanica e le piantagioni, passando alla torrefazione artigianale, alle caffetterie e non ai bar, fino a creare i primi caffè espresso in tema “caffè e food paring e people pairing” specificatamente per la ristorazione e per le caffetterie: credo dunque di poter anch’io affiancare le altre voci autorevoli sulla tematica in questione.

Sono sempre stato a difesa dei caffè speciali espressi italiani di una volta, e non di ciò che poi sono in molti casi divenuti negli anni proprio a causa dei finanziamenti”.

Cipolla continua: “Oggi il mondo dei caffè specialty è diverso. Non posso fare a meno di notare come mediante le fiere e l’informazione che proviene dai libri e simili, non stia contribuendo con nulla di concretamente nuovo”

Cipolla: “Tanto marketing e tanto storytelling confuso nei tecnicismi che si perdono in linguaggi, tendenze e mode esterofile oltreoceano note da decenni.

Tanta vendita di materiale, presumibilmente informativo, senza però fornire alcuna effettiva novità. D’altra parte, invece, non noto alcuna difesa del caffè italiano eccelso di una volta.

Gianni Cocco a sinistra con Mauro Cipolla (foto concessa)

Di recente, ho invece apprezzato molto un libro scritto da un grande professionista, anche lui non menzionato nell’articolo in questione e il quale avrebbe invece una voce di rilievo da aggiungere al coro di professionisti. Il suddetto libro tratta il tema del caffè eccelso come risultato in tazza, e non di questa o di quella associazione.

I migliori insegnamenti li ho avuti però non acquistando libri, spesso in un modo o l’altro di parte, bensì relazionandomi con le persone, degustando i loro caffè, e mettendoci a confronto in modo onesto e leale su diversi principi.

Da un punto di vista concettuale, da sempre amo la filosofia dello specialty proprio perché alla sua origine non era elitaria e snob, e non era neppure molto distante dalla linea di pensiero che alcuni dei migliori torrefattori artigianali italiani avevano negli anni ’70 in merito ai loro caffè in tazza.

Mi sembra che oggi molti dei nuovi professionisti e imprenditori del settore utilizzino le medesime macchine torrefattrici di caffè, moduli, sistemi e procedure, e anche gli stessi caffè crudi e fornitori.

Non è di certo questa una colpa e posso ravvederne i motivi. Sono certo che ci voglia tempo per capire cosa significa essere un artigiano dinamico e per trovare la propria anima. Nella personale speranza che lungo il proprio cammino i più preferiscano sempre l’artigianalità piuttosto che tentare di esistere professionalmente parlando a cavallo tra il mondo artigianale e l’industria, in modo più unidimensionale e standardizzato”.

Il caffè di qualità e lo specialty

Cipolla aggiunge: “Dietro richieste, avvenute nel tempo, da parte di alcuni di questi nuovi professionisti del settore, mi sono trovato nella posizione di non poter vendere loro il nostro caffè perché non avevo e non ho il bollino specialty.

Nonostante ciò, non mi interessa averlo. Posso anche utilizzare i caffè specialty, o meglio questi possono far parte della mia ricetta sposandosi però con altre miscele sempre eccelse i quali tuttavia non sono declinati come tali, ma ciò rende il nostro caffè difficilmente vendibile nel mondo dello specialty dal momento che non rientra totalmente nei parametri utilizzati per la vendita.

Ciò però, di certo non toglie che il mio pensiero sugli specialty sia positivo. D’altronde ho avuto la possibilità di essere tra i primi al mondo, sin dai primi anni ’80, ad indagare il mondo degli specialty con il fondatore della Specialty coffee association Ted Lingle e con l’ideatrice della descrizione specialty coffee, la grandissima Earna Knutsen. Ma questo non significa che esistano solamente gli specialty tra le eccellenze.

Certo è, che se facciamo un confronto tra gli specialty e i caffè scadenti dei torrefattori finanziatori indicati dall’autrice dell’articolo, è ovvio che i primi sono di un altro livello.

Penso che sarebbe più giusto un confronto diverso fatto fra caffè di serie A i quali, seppur differenti tra loro, sono comunque tutti sullo stesso piano anche se non tutti necessariamente declinati come specialty.

In quest’equazione, a mio avviso, mancherebbero però alcuni caffè industriali, che anche se non artigianali e quindi molto diversi da questi ultimi, fanno pur sempre parte della cosiddetta serie A seppur, per l’appunto, nella sua componente industriale”.

Cipolla riflette: “L’articolo non racconta delle moltissime persone oneste, trasparenti e competenti come so essere innumerevoli torrefattori colleghi, baristi, addetti al lavoro, i quali vista la stesura del pezzo, in questo caso purtroppo non ricadono né nel mondo dello Specialty né in quello dei disonesti, e dunque né nella lista dei buoni della situazione né in quella dei cattivi. Eppure, in gran numero esistono”

Cipolla aggiunge: “Queste persone lavorano duramente e seriamente, da sempre, anche nel denunciare esattamente ciò che la giornalista in questione ha, giustamente additato, nel suo articolo.

Lo stesso trattamento l’articolo lo ha riservato al caffè italiano, quello eccelso senza difetti, quello che lascia parlare in tazza e non per appartenenza.

L’articolo ha descritto il caffè partenopeo che investe in formazione da decenni di una grande industria che ha creato l’Accademia in Italia del caffè nella metà anni ’90, tra l’altro in una regione italiana molto complessa in merito al caffè e ai suoi liberi mercati, ma secondo l’autrice, l’azienda in questione non vende principalmente in Italia bensì all’estero.

Non sarebbe più bello difendere le nostre radici italiane, e sforzarci principalmente di vendere in Italia mantenendo le radici del nostro made in Italy di una volta?

Ben so quanto è difficile vendere in Italia a confronto con l’estero. Vendere altrove coinvolge un discorso molto diverso dall’essere artigiani del caffè localmente, e coinvolge dunque una struttura più industriale anche solo per la tutela della freschezza del caffè tostato con i tempi della logistica dell’estero.

Non è controproducente parlare di caffè eccelsi e poi inviarli nei container in giro per il mondo facendoli arrivare alla clientela sì con il marchio made n Italy ma con un caffè tostato mesi e mesi prima, piuttosto che tostare in loco in piccIoli lotti e in modo artigianale?

Di quell’Italia che lavora sul fresco, su suolo italiano e per l’Italia, al di fuori del mondo Specialty, non si è parlato.

Eppure ve ne sono diversi di torrefattori artigianali che ripropongono quei meravigliosi caffè oggi difficili da trovare, ma che continuano ad esistere”.

Cipolla: “Ritengo, non senza dispiacere, che questo articolo rischi di creare delle disuguaglianze e degli inutili conflitti tra diversi professionisti di un medesimo settore i quali lavorano bene ma diversamente”

Cipolla continua: “Ecco la parola chiave è diversamente. C’è un mondo simile ma diverso, e cioè il mondo dei caffè speciali che hanno lavorazioni molto simili se non identiche a molti specialty coffee ma non sono declinati come tali, e i quali mantengono la loro unicità e la capacità di non essere omologati.

Se si parla poi di finanziamenti, anche qui ci sarebbe da raccontare tutta la storia, e cioè che quest’ultimi, sotto varie vesti, esistono anche per quei prodotti di brand eccelsi.

Questi esistono in un sistema di sponsorizzazione di finanziamento diverso da quello descritto dall’articolo, e cioè spesso tramite e per accordi presi tra le parti in modo discreto.

Denuncio queste assurde situazioni da decenni, in molte conferenze e interviste, avendo ricevuto minacce anche molto pesanti. Ma, senza sorpresa, la macchina non si ferma.

Sono d’accordo su quanto scritto in merito alla materia prima: è un dato di fatto che quest’ultima venga venduta a 30 euro al kg ma ne vale 8-12 al kg e il resto va al sistema.

Il sistema in questione coinvolge tutti. Torrefattori, imprenditori titolari dei bar e consumatori. Questi ultimi vogliono spendere poco, e così troppo spesso, inevitabilmente, non pongono la giusta attenzione alla qualità del prodotto (ho presentato la prima tesi di Caffè, gusto e salute con il Dottor Mauro Mario Mariani presente in RAI dal 29 maggio 2008, sedici anni, come nutrizionista).

Cipolla: “Mi trovo in accordo anche con quanto scritto riguardo la tostatura troppo scura utilizzata per coprire i difetti, così come le macchine del caffè sono settate con temperature altissime per bruciare la miscela e nasconderne altri difetti”

Venendo agli specialty, le loro lavorazioni e procedure, già molto diverse dai caffè commerciali, sono oggi forse fin troppo spinte per arrivare a gusti e aromi atti per le bevande a filtro e non per l’espresso.

Ho però sempre difeso il caffè espresso italiano, non in origine singola ma in miscela, poiché non è vero che tutte le miscele sono peggiori delle single origin nel caffè espresso: spesso il caffè risulta più completo in miscela e soprattutto variandola giornalmente si mantiene una costanza nel gusto del caffè proprio perché la natura cambia costantemente e dunque ad ogni macchinata tostata. La miscela è l’espresso, storicamente, ma ovviamente tutto dipende da cosa si utilizza in quest’ultime.

Poi c’è la questione dei caffè speciali senza il bollino specialty.  Questi caffè speciali seguono procedure molto simili o in alcune situazioni identiche agli specialty, quindi sono eccelsi ma da molti professionisti non vengono presi in considerazione perché non fanno parte del loro sistema, sebbene eccelso, e più in generale non rientrano perfettamente nel mondo degli specialty.

Dovremmo quindi stare attenti a non cadere nel parlare di qualità eccelsa ma escludendo a prescindere i prodotti eccelsi come i caffè speciali che non sono considerati come specialty.

In merito a quest’ultimi posso solo aggiungere che sulle procedure agricole e sui processi di lavorazione non c’è nulla da dire: sono assolutamente eccelse.

Ci sarebbe invece tanto da dire sulle fermentazioni anaerobiche controllate, oggi tanto in voga per alcuni, le quali lavorazioni tolgono personalità ai diversi lotti e appiattiscono un po’ tutto, in modo molto simile ai vini troppo lavorati dall’uomo e sulla metodologia del sistema di dare i punteggi Sca sul gusto, i quali denuncio da anni, e che solo recentemente sono stati rivisti ma, a mio modesto avviso non abbastanza per rendere il tutto più adeguato

Inoltre, gli specialty, negli aromi, gusti e struttura, sono nati in fattoria come processi e lavorazioni per i caffè e filtro e non per l’espresso.

Quest’ultimo segue infatti tutt’altro profilo di estrazione del caffè per termica, tempistiche, rapporti caffè-acqua, macinatura ecc. In sintesi, molti di quelli che utilizzano specialty per espresso hanno anche modificato pesantemente la scelta di materia prima intesa come flavor, gusto e aromi.

La tostatura (troppo leggera e chiara per fare uscire il terroir della materia prima) spesso risulta troppo acidula e astringente per il mercato italiano nel caffè espresso. Si sta ora studiando se la tostatura così chiara (non sviluppando abbastanza la parte molecolare delle catene aromatiche) possa forse essere poco digeribile.

Infine, ci sarebbe da dire che il gusto specialty, ad oggi in Italia, rimane spesso difficile da far comprendere, che quelli radicati in questo bel culto, spesso parlano di condivisone e apertura ma di fatto escludono molti che lavorano diversamente bene, e puntano su un gusto e su un sistema di estrazione nel caffè espresso che al momento è ancora per quei pochi, non piace, e che spesso esclude a priori il gusto italiano eccelso di una volta perché da loro non conosciuto e perché difficile da trovare

Immaginate: un bravissimo barista Specialty campione barista che ha lavorato nelle nostre caffetterie ha utilizzato le procedure Sca nelle estrazioni con La Marzocco e, spesso, ricevevamo lamentele sul gusto dallo stesso estratto nei nostri caffè, quando con altri che seguivano le procedure delle estrazioni italiane invece non avevamo.

In Italia, temo, non piaccia purtroppo neanche il prezzo degli specialty: qui i motivi sono da trovare volgendosi alla figura del consumatore.

L’ultimo problema di noi italiani, forse alla pari del prezzo, è che non conosciamo la filiera del caffè perché non abbiamo le piantagioni di caffè in Italia, ma siamo al contempo abbastanza presuntuosi facendoci forti della nostra storia nell’espresso.

Oggi anche la formazione nel caffè è diventata un grande business, e lo specialty, ormai, è purtroppo venduto e proposto anche da molte grandissime aziende e Spa, e di certo non solo dai piccoli artigiani.

Negli USA, dove lo Specialty è nato, abbiamo molti esempi di piccoli torrefattori specialty che hanno iniziato a divulgare questa meravigliosa filosofia agli inizi, e i quali sono poi cresciuti nei fatturati.

Ad un tratto, molte di queste aziende hanno venduto le loro caffetterie, i loro brand o torrefazioni ai grandi gruppi industriali che oggi utilizzano lo specialty.

Sentendo le storie dei loro acquirenti, l’esperienza in tazza è davvero rimasta la stessa così com’era stata pensata in origine? La risposta è assolutamente no. È rimasto solo il brand specialty ma con un’esperienza totalmente diversa.

Quanto specialty vero, quello vero inteso come davvero eccelso, esiste in natura sotto forma di materia prima per servire queste grandi industrie?”

Cipolla sottolinea: “Ci tengo infine a dire che non potrei mai avere nulla da dire in merito alla testata giornalistica in questione, con la quale ho avuto modo di collaborare in più occasioni; ad esempio quando ho avuto il piacere di essere stato da loro inserito in una lista dei migliori torrefattori artigianali in Italia, e in diverse altre graditissime e speciali circostanze”.

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