martedì 15 Luglio 2025

Massimiliano Dona parla dritto al consumatore di caffè: “Non esiste un prezzo medio che possa essere definito equo e valido in Italia”

Dona, al consumatore: "Al supermercato, deve guardare il prezzo al chilo, dato che il caffè è, purtroppo, uno di quei prodotti che ha subito la pratica scorretta della shrinkflation, una riduzione del peso dai tradizionali 250 ai 225 grammi fatto per mascherare l’aumento del prezzo."

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MILANO – Massimiliano Dona: “Avvocato, giornalista, creator, divulgatore ed esperto dei diritti dei consumatori.” Così si racconta lui stesso sul suo sito. In realtà è un personaggio ben noto al pubblico social e televisivo, per la sua continua attività di tutela del cliente finale (non a caso, è anche presidente dell’Associazione Consumatori.it).

Su queste pagine, prova a dare qualche risposta a chi consuma e acquista caffè con una certa frequenza al bar e al supermercato.

Dona, parliamo di prezzo dell’espresso al bar: in Italia quando supera l’euro, il consumatore storce il naso e si sente quasi truffato. Ma è davvero assurdo, facendo dei brevi calcoli sui valori reali di mercato, aumentare di 20 centesimi o più la tazzina?

“Le attese sul prezzo del caffè da parte del consumatore sono molto variabili a seconda di dove lo si acquista. E’ ovvio che se lo si prende in Galleria a Milano o in Piazza San Marco a Venezia nessuno si aspetta di pagarlo 1 euro. In centro città di solito lo si paga di più rispetto alla periferia, in pasticceria costa di più rispetto a un semplice bar, se lo si consuma al tavolo può costare di più rispetto a quando lo si consuma al banco serviti dal cameriere.

Insomma, non esiste un prezzo medio che possa definirsi equo e valido in tutta Italia. Il consumatore ne è consapevole. Persino quelle classifiche che vengono ripetutamente pubblicate con il prezzo del caffè delle diverse città, non hanno alcun valore statistico, dato che l’Osservatorio prezzi del Mimit, come chiarisce il ministero stesso sul suo sito, si basa su dati Istat che, avendo l’obiettivo di misurare le variazioni dei prezzi e non il livello assoluto, non monitora in ogni città lo stesso tipo di caffè.

Quindi, se in una città il caffè comunemente consumato è quello corretto, l’Istat monitora quello. Ovvio che abbia un prezzo maggiore rispetto a un semplice espresso, rilevato magari altrove.

Quanto all’aumento, il discorso cambia. Un rialzo, deciso oggi, di 20 centesimi sarebbe del tutto ingiustificato. Infatti, è vero che il caffè è rincarato ma ricordiamo che un espresso si fa con 7 grammi di miscela, ossia con un chilo di caffè si fanno 142 tazzine. La materia prima, insomma, incide molto poco sul costo finale, mentre il prezzo dell’energia è calato rispetto ai picchi del terzo trimestre 2022. Anche lo zucchero, dopo il picco raggiunto nell’agosto del 2023, costa da allora il 20,5% in meno.”

Come commenta il sistema dei finanziamenti e del comodato d’uso? Quanto influenza la qualità e il prezzo proposto al cliente finale?

“Il barista ha la possibilità di acquistare un’attrezzatura ricorrendo a un prestito o prendendola in comodato d’uso. Ma, nel valutare la convenienza dell’operazione, talvolta purtroppo obbligata, deve considerare se i vincoli a cui si sottopone mettono a rischio la sua indipendenza e la qualità del suo servizio. Insomma, se poi è costretto per anni ad acquistare un caffè troppo caro e di scarsa qualità, allora non ha fatto un buon affare.”

Dona, quando si entra in un bar o in un supermercato, a cosa deve fare attenzione il consumatore quando acquista il caffè?

Al rapporto qualità prezzo. Ad esempio, a seconda del proprio gusto, alla miscela utilizzata: robusta o arabica? Al supermercato, poi, deve guardare il prezzo al chilo, dato che il caffè è, purtroppo, uno di quei prodotti che ha subito la pratica scorretta della shrinkflation, una riduzione del peso dai tradizionali 250 ai 225 grammi fatto per mascherare l’aumento del prezzo.”

Sulla base di un decreto ministeriale del 1973 non esiste un obbligo di legge che porti i torrefattori a specificare dettagli come origine, percentuali, descrizioni aromatiche del caffè: ma per il consumatore cosa sarebbe più corretto segnalare nell’etichetta dei pacchetti al supermercato?

Dona: “Più informazioni ci sono, meglio è, specie se si tratta di elementi oggettivi. Se non ci sono obblighi, nulla vieta ai produttori di inserire lo stesso maggiori indicazioni. Il consumatore, quindi, nel valutare il rapporto qualità prezzo, deve anche considerare l’etichetta e la completezza delle informazioni riportate sulla confezione, che sono perlomeno un indice di serietà della ditta oltre che l’elemento più importante per valutare la bontà di un prodotto prima del suo acquisto e del suo assaggio.”

Pagamenti digitali, altra nota dolente nei bar italiani: il gestore può davvero impedire al consumatore di pagare un espresso con il bancomat?

“No, è vietato dalla legge. Rischia una sanzione amministrativa pecuniaria di 30 euro, + il 4% del prezzo del caffè. Ricordiamo, anche, che è considerata una pratica commerciale scorretta richiedere un sovrapprezzo per un pagamento elettronico.”

Oggi quanto incidono inflazione e rincari nelle tasche del consumatore e quindi sui consumi di un bene popolare come il caffè?

“Rispetto al caffè acquistato in negozio e fatto a casa, in un anno la spesa di una famiglia è pari mediamente a 178 euro. Se consideriamo l’ultimo rincaro tendenziale del caffè comunicato dall’Istat, +19,5% su marzo 2024, l’aumento della spesa è pari a 34 euro e 70 cent su base annua. Non è poco.”

Il caffè macchiato non dovrebbe costare leggermente di più dell’espresso, dato che si usa un ingrediente in più? Il consumatore lo sa?

Il consumatore lo sa, ma sa anche che un buon barista che vuole fidelizzare il cliente può anche decidere di non fargli pagare qualcosa in più per un goccio di latte. Insomma, il caffè, un po’ come i salatini sul bancone, possono servire al barista per attirare persone nel locale, invogliandoli poi ad acquistare anche altro, un po’ come si fa con i prodotti civetta al supermercato.”

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