venerdì 12 Aprile 2024
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Le Lazzarelle, torrefattrici: «Inizialmente sembrava di non esser prese sul serio»

Raccontano le socie: "Tutto è cominciato entrando in carcere e facendo delle visite: qui, di fronte alla situazione interna, confrontandosi con le detenute, è emerso il bisogno principale: avere un lavoro continuativo, qualificato, che avesse le caratteristiche professionali."

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POZZUOLI (Napoli) – Le donne del caffè a Napoli fanno torrefazione e non solo, la portano all’interno di un carcere. Questo progetto che unisce il chicco e il sociale, ha un nome particolare: Le Lazzarelle. E racconta la storia di due ragazze che si sono date al caffè, diventando imprenditrici attive nel tessuto della società in cui vivono. Le socie della Cooperativa arrivavano da percorsi diversi da quelle della bevanda e ci sono arrivate dopo una riflessione ben ragionata: la presidente Imma Carpiniello e Paola Pizzo.

Le Lazzarelle partono nel 2010 con un progetto preciso

“Tutto è cominciato entrando in carcere e facendo delle visite: qui, di fronte alla situazione interna, confrontandosi con le detenute, è emerso il bisogno principale: avere un lavoro continuativo, qualificato, che avesse le caratteristiche professionali.

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Da qui la domanda: cosa fare all’interno di un carcere? La risposta è arrivata subito: il caffè

“Un mestiere che sino a dieci anni fa era ancora prettamente maschile e che quindi ha da subito rappresentato una sfida. Così come quella di riuscire ad aprire e chiudere un ciclo completo all’interno del carcere, nella trasformazione del chicco verde in torrefatto.
Le Lazzarelle mette assieme due segmenti deboli del mercato: i piccoli produttori del caffè, magari legati più al Fairtrade alle donne detenute

Continua il racconto Imma: “Questo ha fatto pendere l’ago della bilancia su questo prodotto. Infine, l’obiettivo è stato quello di ribaltare lo stereotipo di genere: non fare dolci, pasticceria, qualsiasi cosa che legasse la donna alla solita figura femminile. ”

La torrefazione è stata una presa di posizione di genere, un riscatto

“Il caffè poi diventa poi il mezzo attraverso il quale noi produciamo valore sociale. Fare arrivare il pacchetto di caffè o la tazzina sulle tavole, è la storia del piccolo produttore e della donna che tenta di emanciparsi sia dalla questione di genere che da un percorso indotto. Dove spesso la via più semplice resta quella del crimine.”

Venite da una formazione diversa del settore

“Io sono laureata in Scienze Politiche e ho fatto un Master sui diritti umani e uno sulle politiche di genere. Paola anche lei ha una laurea in Scienze Politiche. Poi abbiamo studiato il caffè, perché ci semrbava più funzionale al nostro progetto. Ovviamente in seguito ci siamo appassionate: si è aperto un mondo che non conoscevamo. Anche noi pensavamo che la tazzina di caffè fosse un semplice alimento. Invece poi abbiamo scoperto le varie tipologie di caffè e di estrazione, di tostatura: è qualcosa di ben più complesso di quello che siamo abituate a pensare.

Per questo ci siamo inizialmente rivolte a un nostro vecchio amico mastro torrefattore, che ci ha insegnato come si tostasse. In seguito siamo andate avanti, facendo ricerca, incontrando le altre persone. Capendo che la bevanda non è solo la moka, ma ci sono altri tipo di estrazione.”

Questa stessa passione siete riuscite a trasmetterla alle donne del carcere?

“Dipende molto dal tempo che loro restano con noi. Con alcune siamo riuscite a portare avanti un lavoro eccezionale e si sono appassionate. Altre invece l’hanno vissuta come esperienz alavorative che poi le ha portate, una votla scontata la pena, a inserirsi nella società tra bar e supermercati. Quindi le abbiamo avviate a un tipo di vita differente.”

Alcune hanno continuato con voi una volta uscite?

“Noi sostanzialmente al momento, sino a oggi, lavoriamo solo all’interno del carcere dove nasce e finisce. Questo perché vogliamo dare la possibilità a un numero sempre più ampio di poter partecipare al progetto in un processo di inclusione. Per accompagnarle in altri ambiti socio-lavorative. La cooperativa impiega solo le donne detenute. Adesso stiamo progettando un bistrot che farà da ponte tra l’interno e l’esterno, per coinvolgere anche le donne che hanno terminato la pena. Porteremmo avanti sia la torrefazione che il servizio.”

La questione di genere è molto sentita nel settore: con l’inizio de Le Lazzarelle, avete riscontrato questo problema soprattutto da torrefatrici?

“Tantissimo. Un po’ perché eravamo donne, un po’ perché lavoravamo all’interno del carcere. Per cui inizialmente la sensazione era quella di non esser prese tanto sul serio. Ma piuttosto come un progetto che nell’arco di un anno sarebbe fallito. Invece no: siamo andate avanti e col tempo abbiamo ottenuto anche delle soddisfazioni.
Oggi quanto meno, quando parlo con i fornitori, mi prendono un po’ sul serio rispetto all’inizio del 2010.”

Progetti futuri?

“Rialzarsi dalla crisi. Nell’immediato l’apertura del bistrot. Sul lungo periodo, pensiamo di attivaer un’altra linea di produzione. Oggi abbiamo all’attivo tre tipologie di caffè, due miscele e un monorogine. Vorremmo ampliare proprio la linea delle singole origini e trovarne di nuovi. Magari prendendo contatti con delle produttrici portando avanti l’idea di una produzione al femminile, proprio a partire dalle origini sino al packaging.
Anche perché nelle piantagioni le condizioni di disparità di genere è ancora più forte.”

C’è un tocco femminile alla torrefazione Le Lazzarelle?

“Il tocco femminile lo mettiamo in tutto. Già a apartire dal nome: noi eravamo un po’ mattacchione all’inizio. Tutto quello che è nato nei primi due/tre anni è frutto da un lavoro condiviso con le detenute, compresa la scelta del nome. Le Lazzarelle è un nome femminile e napoletano. I colori poi: il magenta è un rosa molto forte. Ma anche la comunicazione, resta molto personale, mai in terza persona ma alla prima lurare: il noi è alla base di tutto.

Crediamo molto nella forma cooperativa. Una forma che abbiamo scelto perché volevamo inglobare le donne nei processi. Il carcere rende poco autonomi nelle decisioni: c’è sempre qualcuno che dice che cosa fare. Questo no fna altro che far perdere alcuni elementi fondamentali: noi in cooperativa cerchiamo di mantenere vivo il potere decisionale. Tutto ciò che viene deciso è in forma collettiva, dopo una lunga discussione, a volte snervante.

Poi, un altro elemento femminile è quella della cura: prenderci cura una dell’altra nella cooperativa. Capire le difficoltà di ognuna di noi nella vita, delle detenute lontane dai figli, sono elementi che finiscono nella narrazione de Le Lazzarelle.”

Come funziona la torrefazione?

“Le macchine stanno all’interno del carcere. Praticamente entriamo in carcere ogni giorno e siamo in un’area al di fuori dalla parte detentiva. Quindi le detenute escono dalla mattina dalle celle e vengono alavorare. Un turno che normalmente va dalle 9.00 alle 14.00. Poi ognuna rientra.

La caratteristica de Le Lazzarelle rispetto ad altri progetti sociali è che le donne sono regolarmente assunte, quindi sotto contratto. Noi abbiamo improntato tutto sulla professionalità, proprio per il concetto di empowerment e il rafforzamento di sé, attraverso il lavoro.

Che però deve avere uno stipendio per esser percepito come tale. Proprio questo punto le fa render conto di poter fare determinate cose. Vedere un mondo che hai contribuito aformare, è l’idea di emancipare le donne detenute. L’espressione che fanno quando stringono il loro primo pacchetto tra mani, ripaga tutto.”

Il caffè Le Lazzarelle si trova in vendita online?

“Il nostro caffè si può acquistare sul nostro sito www.caffelazzarelle.jmdofree.com , oppure attraverso una serie di botteghe, bar e ristoranti. “

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