mercoledì 08 Maggio 2024
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Hag e Splendid: ecco perché la Jde ha deciso di chiudere il suo stabilimento di Andezeno

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MILANO – È ormai calato il sipario sullo stabilimento italiano del caffè Hag e Splendid di Andezeno, vicino a Torino. Gli ultimi chicchi sono stati tostati a inizio dicembre. Dopo di che la chiusura, decisa da Jde, massimo competitor mondiale pure play nel settore del caffè.

La cronaca di quell’ultimo giorno e le reazioni di dipendenti e specialisti in un pezzo pubblicato sul Corriere della Sera, a firma di Laura Bonani, di cui vi proponiamo le parti salienti.

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L’ultima tazzina. Gli ultimi chicchi.  Quelli del caffè Hag sono stati tostati venerdì 7 dicembre alle 10 di mattina ad Andezeno, a 20 km da Torino.

Colpa delle cialde. Colpa delle capsule

Gli italiani (e non solo) le apprezzano  a discapito della classica miscela. Negli ultimi dieci anni, la richiesta di caffè macinato ha continuato a calare. (E ad Andezeno non hanno pensato di riempire capsule). Le 5 mila tonnellate di decaffeinato prodotto erano un ricordo…e all’interno del gruppo olandese Jde (che nel 2015 ha acquisito il marchio) è emersa una sovraccapacità.

Ai ‘piani alti’, si è scelto di chiudere i battenti nel nostro Paese. Impianti e produzione (italianissimi!) verranno trasferiti in altre fabbriche europee.

“Non ci posso credere che sono stato licenziato – dice Renato Grieco, torrefattore –.  Quella mattina, mi sembrava impossibile dover spegnere la macchina per l’ultima volta.  A febbraio 2019, avrei fatto 22 anni di anzianità.  Sono stato assunto nel febbraio 1997.  Lì, dopo circa un mese, ho conosciuto quella che adesso è mia moglie. Abbiamo una figlia di 12 anni”.

“Anch’io ho un bel curriculum alla Hag – aggiunge Claudia Caltran, operatrice di linea -. Per un periodo, ho pure collaborato con il laboratorio controllo qualità. Poi, son tornata al mio posto. Spostamenti del genere non erano eccezionali”.

Da sempre in questa azienda

“Abbiamo sempre lavorato in quest’azienda – aggiunge Renato -. Ci siamo sposati e abbiamo messo su casa grazie allo stabilimento che ci garantiva un tran tran dignitoso”.

La doccia gelata è arrivata il 25 settembre 2018. Alcuni colleghi sono andati alla sede di Milano per discutere di premi & obiettivi:  son tornati con 57 lettere di licenziamento.  “Quando ho sentito la notizia,  ero proprio alla macchina – spiega Claudia –: mi son sentita svenire. Stavamo lavorando su tre turni come sempre, stavano girando tutte le linee  e fino al giorno prima ci avevano chiesto gli straordinari!”  Per oltre 60 anni, la Hag è stata il porto sicuro delle famiglie operaie delle colline torinesi.  Da sempre, quando ci si avvicina ad Andezeno, si sente il profumo del caffè. E’ nell’aria.  Qui, si è iniziato a produrre un caffè simbolo del ‘buon vivere’:  un segnale del benessere diffuso che gli italiani cominciavano ad assaporare.

Lo stesso prodotto a minor costo

“In altri paesi europei, si fa lo stesso prodotto a minor costo: è questo il nocciolo – chiosa Mario Deaglio, docente di Economia internazionale all’università di Torino -. Il fatto che lo stabilimento fosse un modello  passa in secondo piano.  Le multinazionali hanno totale libertà di agire…e vanno a lavorare dove si risparmia:  sì, bisognerebbe mettere un freno”.  Al momento, le crisi aziendali che nascono dalla delocalizzazione produttiva sono 31. E i posti di lavoro coinvolti superano i 190.000.

L’olandese Jde, a dicembre, se l’è cavata con una buonuscita alle 57 maestranze e ha previsto il servizio di outplacement fino al 2020 con la partecipazione a corsi di formazione-riqualificazione.  Per un terzo di loro, dal prossimo febbraio, c’è la possibilità di trasferirsi ad Andrezieux, in Francia: a 600 km da casa.  “Facile a dirsi – nota un altro ex dipendente Hag -. Siamo quasi tutti nativi…e abbiamo figli adolescenti …come si fa a spostarli da qui? Dovremmo fare i migranti?  L’ha già fatto mio padre…50 anni fa!…”

“Vogliamo lavorare – dicono in coro Renato e Claudia -. Non ci interessano gli ammortizzatori sociali.  Iniziare in un’altra azienda?…perché no?  Ci attira.  E’  il non lavorare  che ci fa paura…”

Laura Bonani

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