CIMBALI M2
martedì 05 Novembre 2024
  • CIMBALI M2

Guido Castagna:” Ho una mia massima: il 50% della ricetta lo fa l’ingrediente, il restante 50% sta nel non rovinarlo”

Racconta il maestro: "Il Gianduiotto deve esser prodotto nel territorio della regione Piemonte, con vari metodi, vari pesi (dai 4 ai 14 grammi) e con l’incarto classico in alluminio e i vari loghi applicati. Si parte dalla terra per arrivare al prodotto finito. Abbiamo passato il vaglio della regione Piemonte, e ora siamo in vaglio a Roma. “

Da leggere

  • Dalla Corte
TME Cialdy Evo
Demus Lab - Analisi, R&S, consulenza e formazione sul caffè

MILANO – Dal Piemonte arriva il profumo del buon cioccolato, quello di Guido Castagna, che con la sua professionalità visionaria ha portato avanti le origini di un prodotto iconico innanzitutto per la sua terra e poi per il resto del mondo, il Gianduiotto, catapultandolo nella modernità e forse – ci ha rivelato lui – nel futuro.

Castagna, dal 1805 il Gianduiotto sino a oggi il Giuinott, di sua invenzione: come si è evoluto questo prodotto iconico nel tempo e nel suo laboratorio?

“Mi piace sempre raccontare le origini divertenti del Gianduiotto, che in realtà è nato come primo surrogato nella storia del cioccolato. Ai tempi di Napoleone è stato realizzato per reagire all’embargo del cacao, che aveva reso questa materia prima molto cara e quindi era diventato necessario mescolarla con la nocciola del Piemonte, molto più economica e che contiene più del 70% di olio, in cui sono racchiuse le parti aromatiche. Proprio per questo la nocciola risulta molto buona e si sposa benissimo con il burro di cacao – in fondo, sono due grassi che si uniscono -. Noi all’epoca avevamo a disposizione tante nocciole ed erano la
frutta fondamentale per superare l’inverno.

Un cofanetto firmato Guido Castagna (foto concessa)

Per conferirgli la forma tipica che tutti conosciamo, inizialmente si usavano due coltelle, cioè due spatole, con cui si tirava su dal tavolo il prodotto. Successivamente, è arrivato l’estrusore – un cono di 40cm d’altezza per 40cm di larghezza – all’interno del quale si metteva la pasta di gianduia. Al centro ha tre feritoie, che generano tre gocce lunghe e due lavelle laterali chiuse che danno la forma del Gianduiotto.

Poi è arrivato lo stampo: si cola il prodotto dalla base e quando raffredda, basta ribaltare il tutto per avere il risultato finale. Col tempo, dal 30% di nocciola si è passati al 15% (ora è diventata molto cara e se ne mette di meno). Inoltre, quello ricavato dallo stampo, deve contenere più burro di cacao, in modo tale da farlo staccare più facilmente.

Ed ecco che in questa evoluzione ci inseriamo noi, che abbiamo inventato un sistema nuovo, che prevede il 40% di contenuto di nocciole e l’uso delle fave di cacao, una bella differenza se si considera che molti altri usano addirittura il cacao in polvere.

Il nostro è un metodo più fine, che permette di percepire meglio con la lingua e il naso il gusto e i profumi. Abbiamo studiato un formato diverso da 7 grammi, una misura intermedia più giusta. Facciamo un estruso tagliato – sorta di cartuccia grossa – temperiamo, stampiamo, lasciamo raffreddare per 15 giorni, pressiamo come la pasta che viene trafilata – e infine tagliamo ai lati.

Castagna: “Così abbiamo preso un prodotto che ha 200 anni che negli anni è stato maltrattato, cambiandone la ricetta, diminuendo lo zucchero e aumentando la percentuale di nocciola”

“Persino i francesi ci hanno fatto i complimenti, comprendendo il nostro grande lavoro di ricerca. Parlando ancora dello zucchero, noi scegliamo quello di canna. Stiamo valutando se passare alla barbabietola perché è italiana e sarebbe quindi una scelta a chilometro zero. È vero che l’etichetta oggi piace pulita, con pochi ingredienti, senza correttori di acidità e  coloranti: non a caso sto studiando da qualche anno una linea realizzata con l’uso di zuccheri diversi, quello di cocco, il sucralosio, la stevia. Il punto è realizzare qualcosa che sia equiparabile all’originale senza che si avvertano retrogusti strani.

Collaboro con delle università, faccio sempre ricerca: non voglio che il mio lavoro sia ripetitivo.”

Qual è la fase più delicata nella creazione di questi cioccolatini? Selezione, torrefazione o maturazione?

“Ho una mia massima: il 50% della ricetta lo fa l’ingrediente, il restante 50% sta nel non rovinarlo. Se hai una nocciola buona in partenza, si ha già un gran vantaggio. Il tutto sta nel rispettarla durante la cottura. Ma la selezione del prodotto è ancora più importante: con la raccolta svolta nei tempi giusti, poi la fermentazione e l’essicazione corrette, noi lavoriamo solo con cacao del Centro e del Sud America e quindi con le migliori origini – eccezion fatta per il Madagascar in Africa –.

La nocciola tostata (foto concessa)

Naturalmente tutto questo è garantito grazie al contatto diretto con i contadini. Noi lo portiamo avanti anche se questa scelta per certi versi ci impone un limite di margine di lavoro. Mentre per quanto riguarda la realizzazione del sapore, oltre una ricetta bilanciata, la torrefazione è la fase da curare: noi facciamo tutto in casa, dalla nocciola al cacao. Per tre motivi: innanzitutto in questo modo siamo in grado di controllare una sorta di pastorizzazione del cacao, con una temperatura che abbatte la carica batterica, intorno ai 110 gradi per una quarantina di minuti. La reazione di Maillard, cambia la struttura, il colore e poi il sapore sino alla caramellizzazione: nel cacao, al di sotto di determinate
temperature si estraggono sentori poco piacevoli, al contrario si rischia di andare verso il bruciato.

Bisogna trovare un equilibrio tra i due estremi. La tostatura deve essere leggera: la nocciola e il cacao vanno cotti chiari, al contrario di quello a cui siamo stati abituati. In effetti, siamo cresciuti con un cioccolato amaro. Proprio per questo, quando ho iniziato con il bean to bar, la difficoltà più grande è stato confrontarsi con un pubblico che non riconosceva la qualità, perché abituato a non avere un gusto di riferimento. Fatico ancora a far comprendere che la quantità di cacao non determina la qualità di un prodotto.”

Castagna, ci racconta l’idea del bean to bar?

“Tutto è partito con il discorso della nocciola Piemonte: quasi tutti si avvalevano di prodotti e semilavorati. Io invece volevo usare la nocciola cruda, che fosse totalmente Piemonte IGP. A quel punto mi sono detto: perché non lavorare il cacao? Inizialmente è stato difficile: non c’era praticamente nessuno che lavorava al bean to bar: sono in tanti a creare ricette di cioccolatini, al contrario non c’era niente di legato al bean to bar.

La prima difficoltà quindi è stata quella di trovare dei locali in cui si produceva cacao di qualità in piccole quantità. Una volta trovate, siamo andati avanti con i nostri mezzi, perché abbiamo inventato noi questo metodo. Il punto su cui insistiamo è che, se lavoriamo un prodotto di qualità, facciamo davvero la differenza.

Ci sono tanti che partono dalla massa di cacao, che però è già stata selezionata, tostata e tu devi investire nell’avere degli impianti di lavorazione alla fine soltanto per aggiungere lo zucchero. Quindi la soluzione è impegnarsi davvero nel bean to bar che in più mi ha permesso di viaggiare, di conoscere le persone, di fare un turismo etico, a contatto con i coltivatori. Siamo molto forti nel mondo, ogni settimana arrivano da qualsiasi luogo sino a Giaveno per farci visita. Vorremmo però uscire dal circolo degli addetti ai lavori e arrivare alla gente con i nostri prodotti.

Dentro il laboratorio di Castagna (foto concessa)

Siamo già piuttosto conosciuti nel settore: abbiamo un laboratorio molto attrezzato, con macchinari innovativi, gli scarti delle bucce le diamo ad una cascina, che le dà come parte integrante del mangiare delle vacche vacche il latte ottenuto viene venduto a una ditta che lo trasforma in polvere così noi possiamo utilizzarlo nel cioccolato ; abbiamo sviluppato con il Politecnico di Torino il cioccolato con metodo naturale Guido Castagna: compriamo il cacao in cooperative certificate senza sfruttamento minorile.

Il personale in azienda è assunto tutto l’anno e siamo in 12. Portiamo avanti un discorso del recupero degli scarti e di risparmio energetico. Ci piace per questo aprire le porte alle persone per mostrar loro in che modo concretamente ci impegniamo. Eravamo gli unici artigiani europei ad esser stati invitati dalla Icco per raccontare il nostro sistema.”

E allora, qual è il limite da superare ancora per voi Castagna?

“Il cioccolato ha due grossi problemi: la stagionalità e il caldo. In Italia, il cioccolato che viene venduto nelle boutique, al 90% è visto come un articolo da regalo. Quando invece bisogna usarlo nelle ricette, non gli si dà molto valore e lo si acquista nel supermercato. Solo pensando alla Francia ad esempio, si registra un alto consumo di cacao di qualità. Noi vendiamo a 6 euro una tavoletta che lì ne costerebbe 14. Nel nostro Paese
non riusciamo a creare un discorso diverso di consumo.

Guido Castagna con il suo Giuinott (foto concessa)

Per scardinare questo paradigma, organizziamo dei momenti di degustazione anche con il caffè e il mondo dell’alcol. Il cioccolato è un alimento grasso che si sposa bene con un emulsionante naturale come l’alcol. Più è alta la gradazione alcolica, migliore sarà il risultato. I vermouth che ora stanno tornando di moda, i passiti, intorno ai 16/17 gradi, si accompagnano benissimo. Altra cosa da sfruttare è la temperatura non troppo fredda, perché il cioccolato fonde a 35gradi, né troppo fredda.”

Reperire la materia prima cacao è difficile? Oggi anche la qualità alle origini è migliorata rispetto a prima?

“Il cacao di qualità ha dei costi di trasporto e commercio che continuano a salire – racconta Castagna – Pochi poi sanno che l’industria potassa o alcalinizza il cacao: aggiungere il sorbato di potassio per neutralizzare l’acidità del cacao appiattisce però anche la parte aromatica. Noi invece abbiamo un prodotto che resta più acidulo. Dopo la trasformazione lo lasciamo riposare per minimo 6 mesi e l’acidità sfuma e gli aromi restano intatti. Se lo facciamo maturare vengono fuori dei sentori secondari piacevoli, nonostante mantenga però una lieve acidità di fondo. “

Le cose sono cambiate nei paesi d’origine in termini di metodi di lavorazione?

“Alle origini la coltivazione si regge su sistemi ancora molto arretrati rispetto a quella che esiste per altri prodotti come ad esempio il vino. I paesi con cui lavoro hanno un modo di operare corretto – cambiano le casse e operano con batteri aerobici e anaerobici -.
In Africa invece si scavano delle buche, si usano delle casse, in cui viene lasciato il cacao a fermentare senza che ci siano dei cambi: il cuore così può raggiungere anche 75% gradi, ma non è una temperatura omogena, si vengono a creare batteri interni anaerobicimentre fuori sono aerobici.

Quando ci si trova in piantagione, si possono fare con i coltivatori diverse prove per controllare insieme il processo: noi siamo abituati a gestire questi processi e abbiamo sviluppato esperienza sul campo, ma non tutti sono in grado di fare lo stesso. Per noi questa è prassi: abbiamo una passione e degli ideali che ci portano a lavorare nel rispetto della materia prima e dei lavoratori che la producono. Attendiamo sino ad un anno dal momento in cui acquistiamo la materia prima a quello della vendita.”

L’oro del Piemonte, prodotto che Castagna insieme ad altri del Consorzio del disciplinare del Gianduiotto state spingendo: ci vuole parlare di cosa si tratta e quali sono le caratteristiche per cui si riconosce l’autentico gianduiotto?

La produzione dell’iconico cioccolatino (foto concessa)

“E’ tutto nato per gioco con un mio amico avvocato che si occupa di etichette. Abbiamo iniziato una trafila, scoprendo che attorno agli anni 2000 si era formato un gruppo per l’IGP Gianduiotto senza però che l’iniziativa andasse in porto. Ci siamo confrontati con la Camera di Commercio che ci ha fornito un laboratorio di analisi da sfruttare e abbiamo coinvolto l’Università d’Agraria con il professor Giuseppe Zeppa che ha condotto molti test dalla ricetta alla pressione e colore; la professoressa Genesin dell’Università di Legge si è occupata di seguire il marchio del Gianduiotto, poi Pierpaolo Pieruccio del Politecnico di Torino ha studiato la forma del Gianduiotto.

Giovanni Pera e Alessandro Bonadonna del corso di management dell’Università di Torino hanno realizzato il documento unico, con la storia del Gianduiotto, dal punto di vista socio economico e il suo impatto sulla creazione di nuovi posti di lavoro, insieme alla raccolta dei dati riportati dalle altre università, e infine con poi la ricetta realizzata dal Comitato stesso (nocciola Piemonte IGP 30-45%, zucchero di canna o barbabietola., cacao – fava, massa, burro di cacao, in polvere -).

Non è soltanto accettato il cioccolato liquido. Viene anche chiamato l’IGP al quadrato. Il Gianduiotto deve esser prodotto nel territorio della regione Piemonte, con vari metodi, vari pesi (dai 4 ai 14 grammi) e con l’incarto classico in alluminio e i vari loghi applicati. Si parte dalla terra per arrivare al prodotto finito. Abbiamo passato il vaglio della regione Piemonte, e ora siamo in vaglio a Roma. “

Castagna, lei nel futuro del cioccolato cosa vede?

“Attualmente sto cercando di spingere le persone dall’industria all’artigianato, realizzando per esempio anche prodotti senza glutine certificati. Allo stesso tempo, vorrei creare una linea professionale che ora manca e che di solito è industriale (proteico, vegano): quella è una buona strada da percorrere. È una sfida, bisognerà far assaggiare queste soluzioni diverse a più persone. Anni fa, quando siamo partiti con il senza glutine molti di questi prodotti erano legati alle multinazionali, che però vendevano ricette non particolarmente piacevoli ma a prezzi spropositati.

E poi per il futuro chissà, può anche darsi che il Gianduiotto si potrà sviluppare ulteriormente. Noi siamo sempre in fase di ricerca. “

CIMBALI M2

Ultime Notizie

  • Water and more
  • Carte Dozio