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Gianluigi Goi parla dell’antica pratica del caffè con i fichi secchi, nel libro Giunti editore

"In Alto Adige, il Sud Tirolo italiano, la tradizione dei surrogati del caffè (ancora ben presente e codificata nel cosiddetto “Caffè d’Anterivo” a base di lupini tostati) ai tempi orzo, segale e “fichi coltivati nel proprio orto – è scritto nella relazione “I surrogati del caffè in Alto Adige” della Provincia Autonoma di Bolzano - erano le materie prime più importanti per la preparazione del caffè. In Val Venosta – piccola curiosità aggiuntiva – si narra anche dell’impiego "della cosiddetta pera Pala quale surrogato del caffè”. La testimonianza (ripresa dalla relazione provinciale) della signora Albina Erschbamer, nata nel 1923 a Postal, ci dice che “i fichi erano un ingrediente molto apprezzato non solo nel caffè di cereali, ma anche in quello vero"

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Gianluigi Goi è un lettore nonché giornalista specialista di agricoltura affezionato a queste pagine che con la sua lunghissima esperienza e il suo punto di vista ha contribuito diverse volte proponendo contenuti sempre interessanti. Questa volta Goi parla della tradizione del caffè preparato con i fichi secchi grazie alla lettura del libro “Fichi, uva, miele. La dolcezza delle cose semplici” di Giunti editore.

Leggiamo di seguito il suo approfondimento.

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Il caffè preparato con i fichi secchi

di Gianluigi Goi

MILANO – “Con i fichi secchi, lo sanno tutti, non si può preparare un pranzo di nozze ma un “caffè”, sia pure sui generis, sì. E, sta scritto in diverse parti, pure buono: provare per credere, come avrebbe detto l’Aiazzone. Fuori di metafora, tra i principali surrogati del caffè (orzo, segale, malto e cicoria) i fichi secchi hanno nei tempi andati occupato un posto di un certo rilievo.

A rammentarcelo – una piccola chicca per chi desideri riannodare i fili della memoria dell’utilizzo del nostro amato caffè in tempi grami e lontani ma ancora presenti nella memoria dei più vecchi – è una dotta e ricercata citazione tratta dal libro “Fichi, uva miele. La dolcezza delle cose semplici” (Giunti editore) freschissimo di stampa.

Nel libro – parte di una interessantissima collana dedicata ai Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) della Toscana, nata da un’idea di Unicoop Firenze e dell’Accademia dei Georgofili, illustrati con grafica innovativa e suadente, contenuti rigorosi e molto attenti agli aspetti storici e culturali che fanno capire molto della storia “di tutti i giorni” non solo della Toscana, per la penna di Daniele Vergari e Davide Fiorino – al “caffè di fichi secchi” è dato non poco spazio.

Il tutto motivato dalla consultazione del libro – un poderoso volume di 381 pagine (edito da Francesco Battiato, Catania, 1909) presente nella prestigiosa biblioteca accademica fiorentina – “Il Fico …” a firma di Ferdinando Vallese, un importante agronomo, espressione delle benemerite Cattedre Ambulanti di agricoltura purtroppo sacrificate sull’altare della riforma regionalista”.

La popolarità del caffè con i fichi

“Stando alle parole del professor Vallese il “caffè di fichi secchi” “fu particolarmente apprezzato e ricercato in Austria sul finire del XIX secolo. “Si otteneva mescolandolo nella proporzione di 120 a 170 grammi per ogni chilogrammo di caffè vero. Non c’è buon caffè senza fichi, dicono gli Austriaci”.

L’uso della polvere di fico secco, infatti, non solo colora la bevanda, ma ne modera “il principio eccitante del caffè, lo raddolcisce con lo zucchero che contiene, ed è ritenuto ottimo per i bambini”.

L’autore sottolinea inoltre l’importanza che questo prodotto aveva in Austria (e l’Austria, si sa, con il caffè condivide una lunga storia che ancora oggi dura) ed evidenzia che la polvere di fichi veniva prodotta a Trieste e a Vienna “lamentando al contempo la mancanza di stabilimenti industriali nelle zone di produzione dei fichi”; ne descrive i passaggi tecnologici ma riporta anche “la preparazione casalinga di questo surrogato del caffe che si fa spezzettando i fichi secchi e tostandoli nei comuni tostini di caffè; e quanto i fichi sono abbrustoliti, si lasciano raffreddare e immediatamente si polverizzano, perché, se passasse qualche tempo, si rammollirebbero per l’umidità che assorbono dall’aria”.

I surrogati del caffè

In Alto Adige, il Sud Tirolo italiano, la tradizione dei surrogati del caffè (ancora ben presente e codificata nel cosiddetto “Caffè d’Anterivo” a base di lupini tostati) ai tempi orzo, segale e “fichi coltivati nel proprio orto – è scritto nella relazione “I surrogati del caffè in Alto Adige” della Provincia Autonoma di Bolzano – erano le materie prime più importanti per la preparazione del caffè.

In Val Venosta – piccola curiosità aggiuntiva – si narra anche dell’impiego “della cosiddetta pera Pala quale surrogato del caffè”. La testimonianza (ripresa dalla relazione provinciale) della signora Albina Erschbamer, nata nel 1923 a Postal, ci dice che “i fichi erano un ingrediente molto apprezzato non solo nel caffè di cereali, ma anche in quello “vero”.

I veri fichi dolci si comperavano in negozio; costavano pochissimo. Si tagliavano a fettine e dopo la tostatura, che veniva fatta anche nelle padelle tostacaffè, li si macinava”. In pratica “l’aggiunta” dei fichi secchi rendeva anche il “caffè vero” più buono e dolce. Per non dire dell’aspetto economico, sempre importante.

Negli Anni Trenta del secolo scorso il caffè tostato costava cinque, dieci volte in più rispetto ai surrogati a causa delle alte tasse doganali applicate: nel 1933 un kg di caffè tostato costava da 9,6 a 14 scellini a fronte di 1,80-1,85 scellini per un kg di fichi. Per finire una breve citazione della testimonianza di Frowin Oberrauch, dell’Associazione Sorten Garten Sudtirol, che spiega come veniva preparato il “caffè di pere” a Laces, in Val Venosta, oggi famosa per le mele “figlie delle Alpi”: servivano ¼ di fichi, ¼ di orzo e ½ di pere Pala”.

                                                                                                             di Gianluigi Goi

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