mercoledì 29 Ottobre 2025

Fabio Verona: “A Torino più bar e meno persone, l’espresso perde appeal ma il caffè buono, in Italia, esiste ancora”

Dopo il talk di Host 2025, Fabio Verona, comunicatore ed esperto del mondo del caffè, ci offre una riflessione sulla trasformazione del settore negli ultimi trent’anni. Nel suo articolo “Torino, ventotto anni di bar aperti e serrande abbassate: più locali, meno persone e il caffè perde appeal”, Verona racconta l’evoluzione dei bar torinesi e dei consumi legati al caffè, tra liberalizzazioni, pandemia e nuove abitudini

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Dopo il talk svoltosi ad Host 2025, Fabio Verona — comunicatore ed esperto del mondo del caffè — ha condiviso con noi un suo approfondimento dedicato all’evoluzione del settore negli ultimi decenni.

Nel suo articolo “Torino, ventotto anni di bar aperti e serrande abbassate: più locali, meno persone e il caffè perde appeal”, Verona parte proprio dalla sua città per raccontare come sia cambiato il modo di vivere il bar e il consumo di caffè in Italia, offrendo una riflessione attuale e ricca di spunti sul presente e sul futuro del comparto.

Di seguito leggete la sua riflessione.

Torino, ventotto anni di bar aperti e serrande abbassate: più locali, meno persone e il caffè perde appeal.

di Fabio Verona

TORINO- A Torino e provincia, nel 1996, c’erano poco meno di 9.000 pubblici esercizi attivi (dati: Archivio Studi CCIAA Torino → “Riepilogo delle imprese registrate per sezioni e divisioni… 1997-2002” (tabella ufficiale). Nella riga H – Alberghi e ristoranti per la Provincia di Torino risultano (imprese registrate): 1997: 8.507; 1998: 8.520), a fronte di una popolazione censita di circa 2.356.000 abitanti (valore ISTAT – fonte: “Popolazione residente per provincia, 1991-2000”, ISTAT, Demo.Istat.it, pubblicazione 2001), quindi circa 261 persone per ogni attività (bambini compresi).

Erano gli anni d’oro, il lavoro era fiorente e le attività andavano a gonfie vele. Io avevo due locali all’epoca. Poi nel 1998 arrivò la riforma Bersani, un testo che – per chi faceva questo mestiere – cambiò tutto: addio al vincolo di distanza tra attività simili, addio al numero chiuso di licenze.

Da un giorno all’altro, aprire un bar o una gelateria non era più un traguardo da conquistare tra burocrazia, esami e concessioni, ma un diritto d’impresa come qualunque altra.

E così la mappa della provincia di Torino si riempì. Tra il 1999 e il 2003, i pubblici esercizi crebbero dell’11,5%, un incremento mai più eguagliato.

Erano gli anni del boom dei locali di quartiere, dei piccoli lounge bar, delle prime catene “american style”.

Nel 2006, la Camera di Commercio ne censiva 10.485: un dato record, un numero che sembrava enorme allora, ma che oggi, nel 2024, fa quasi tenerezza.

Oggi, secondo i dati elaborati da Camera di Commercio di Torino, EBT Torino e InfoCamere, siamo oltre quota 12.000. In meno di trent’anni, un balzo del +36%, mentre la popolazione è scesa da 2,35 milioni (nel 1996) a 2,2 milioni di abitanti.

Meno persone, più locali: una parabola che racconta l’Italia dei consumi e delle abitudini quotidiane molto meglio di qualunque bilancio.

Un locale ogni 132 abitanti in città

Oggi, nel Comune di Torino, i dati dicono che ci sono circa 6.500 pubblici esercizi, e che si arriva a circa 12.000 considerando l’intera città metropolitana.

Tradotto: 1 locale ogni 184 abitanti; se si considera solo la città, 1 ogni 132.
Numeri impressionanti se confrontati con la media europea, dove raramente si supera un esercizio ogni 200–250 abitanti.

In altre parole, mentre la domanda potenziale scendeva del 6–7%, l’offerta cresceva di oltre un terzo.

Un caffè non basta più

Un tempo, il bar era il centro del quartiere: luogo d’incontro, rifugio, sala riunioni, sala giochi, biglietteria non ufficiale…

Oggi è un business frammentato, si beve ovunque e in mille forme, schiacciato da due fronti:

  • da un lato, la moltiplicazione dell’offerta: pasticcerie, panetterie, centri scommesse, tabaccherie, librerie e persino negozi di abbigliamento possono servire un espresso grazie alla liberalizzazione delle licenze di somministrazione “non assistita” («Ai sensi dell’art. 30, comma 5, del D.Lgs. 114/1998…, è consentito il consumo sul posto dei prodotti di gastronomia (…) a condizione che siano esclusi “il servizio di somministrazione e le attrezzature ad esso direttamente finalizzate”.»)
  • dall’altro, la mutazione dei consumi: la pausa caffè fuori casa perde terreno a favore del monoporzionato, delle capsule e dell’espresso “domestico perfetto” grazie alle macchine superautomatiche beans to cup.

Secondo le elaborazioni FIPE più recenti, il consumo di caffè al bar è sceso del 20% rispetto al 2019, mentre il monoporzionato cresce a doppia cifra ogni anno.

Il risultato?
Ogni locale lotta per una fetta sempre più piccola di una torta che non cresce più.

La Pandemia, una ferita ancora aperta

Il biennio 2020–2021 segnato dal covid ha creato una voragine, nella sola provincia di Torino, oltre 700 locali hanno chiuso nel primo semestre del 2020, e molti non hanno più riaperto.

Eppure, paradossalmente, la curva totale degli esercizi di somministrazione non è scesa in modo drammatico: altri ne hanno preso il posto, spesso più piccoli, più flessibili, più “ibridi”.

Come detto in apertura di articolo, secondo i dati ufficiali reperibili in rete nel 2006 vi erano 10.485 attività di somministrazione (pubblici esercizi). Fonte: Camera di Commercio di Torino, report statistico: “I pubblici esercizi in provincia di Torino nel 2006 risultavano 10.485…”.

Mentre nel 2024 vi sono oltre 12.000 attività di somministrazione (pubblici esercizi). Fonte: Ente Bilaterale del Turismo Torino (EBT), manuale “Il pubblico esercizio” (dic. 2024): “In provincia di Torino oltre 12.000 e nel Comune di Torino-città circa 6.500 esercizi.”

Quindi, il saldo 2024 rispetto al 2006 resta positivo: +1.500 unità circa.

Ma non è più il segnale di una crescita sana, quanto di una saturazione del mercato.

Frammentazione dell’offerta, frammentazione della domanda, aumento dei costi anche per chi sostiene le attività.

La liberalizzazione delle licenze ha generato un ecosistema variegato, ma anche una diluizione dell’identità del bar tradizionale.

E la domanda, frammentata a sua volta, non sostiene più tutti.

Chi resiste lo fa con il servizio, la qualità, la specializzazione: torrefazioni con caffè selezionati, locali “esperienziali”, spazi di coworking, mixology bar.

Gli altri arrancano, schiacciati da costi e margini sempre più sottili, e con un potere d’acquisto sempre più ridotto da parte dei consumatori.

E le torrefazioni, che una volta erano ben disposte a elargire attrezzature, sostegno economico e pubblicitario a fronte di consumi che ragionevolmente portavano ad avere un ammortamento dei beni dati in comodato in tempi coerenti, oggi si ritrovano a non avere più quella disponibilità, proprio perché i locali hanno diminuito i consumi e le attrezzature sono sempre più care.

Se a questo aggiungiamo l’impennata del 300% del prezzo del caffè crudo e gli aumenti dei costi di gestione, viene facile comprendere uno dei motivi principali di disaffezione dei clienti all’espresso di molti bar.

Conclusione: una città che ha più bar che clienti

Torino e la sua provincia sono oggi un laboratorio perfetto per capire la parabola dell’Horeca italiana:

  • più libertà d’impresa, ma anche più fragilità economica;
  • più varietà di offerta, ma anche più disorientamento del consumatore;
  • più locali, ma meno persone.

In 28 anni abbiamo assistito a un processo di democratizzazione del caffè, ma anche a una sua banalizzazione.

E se nel 1996 bastava alzare la serranda per avere una clientela fedele, oggi serve visione, identità, e la capacità di dare al cliente ciò che non trova altrove.

Ma il 29 c’è Coffee Reload, giornata dedicata al caffè di qualità

Proprio per questo, a Torino, il 29 novembre presso il Mercato Centrale si terrà COFFEE RELOAD, una giornata dedicata al caffè di qualità e al rilancio del settore, perché in Italia, il caffè buono, esiste ancora.

Fabio Verona

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