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mercoledì 30 Aprile 2025
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Erika Koss, ricercatrice, spiega il Gendered coffee paradox: “Dove sono le donne del nostro settore?”

La ricercatrice: "Ci sono questi paradossi lungo tutta la catena, dalle origini ai Paesi consumatori. È qualcosa che le donne vivono in modo diverso dagli uomini, ed è molto presente nell'industria del caffè."

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  • TME Cialdy Evo

MILANO – Nata e cresciuta a Los Angeles, la dottoressa Erika Koss è scrittrice, educatrice e ricercatrice con una particolare attenzione alla sostenibilità e alla parità di genere nelle filiere come quelle del caffè, tè e cacao.

Vive a Nairobi, in Kenya, dove ha fondato la sua attività di formazione e ricerca, A World in Your Cup Consulting. Erika Koss è inoltre formatrice autorizzata SCA per lo specialty in competenze sensoriali e sostenibilità. Giudice barista e co-creatrice del curriculum SCA sulla sostenibilità, Koss ha insegnato letteratura, scrittura e politica in diverse università del Nord America.

Il suo dottorato esamina i divari di genere nell’industria del caffè con un’analisi storica e casi studio del Kenya. Nel 2024 ha lanciato il corso Gender in Coffee, incentrato sulle discriminazioni storiche e le sfide attuali delle donne nel settore del caffè.

Koss collabora regolarmente a diverse pubblicazioni sul caffè e con aziende come Urnex, oltre a essere spesso coinvolta nel ruolo di relatrice. Attualmente, sta lavorando al suo primo libro di saggistica creativa.

Per saperne di più sul suo lavoro e sui suoi viaggi, è possibile seguire la sua newsletter Substack:
https://erikakoss.substack.com o su Instagram @aworldinyourcup.

Dottoressa Koss, iniziamo con il concetto da lei ideato di “Gendered coffee paradox”: in che cosa consiste e dove si trova il caffè?

“È un’espressione che ho formulato durante i miei studi di dottorato, con l’obiettivo di trovare una maniera per rendere più conciso un concetto complesso: mi sono chiesta quale fosse il problema e come comunicarlo nel modo più diretto possibile. L’attenzione su questo argomento è stata ispirata dalla lettura di un libro intitolato proprio “The Coffee paradox”, scritto da due scienziati sociali e pubblicato nel 2005.

Tutto è iniziato quando stavo lavorando alla mia seconda laurea magistrale in Scienze politiche: è stato allora che ho dovuto consultare molti testi relativi alle supply chain nel mondo, dal punto di vista antropologico, sociologico ed economico.

Dopo aver letto molti, moltissimi libri sul caffè, è risultato chiaro che mancava una parte fondamentale. Dove erano le storie delle donne?

Com’è possibile che nonostante i tanti testi sulla materia prima, su un settore in cui le donne hanno indubbiamente un ruolo fondamentale, nessuno pubblicasse le loro storie?

Ne “The Coffee Paradox”, ci si concentrava sull’analisi dei mercati globali e sulle catene di approvvigionamento del caffè, dove è evidente lo squilibrio tra le zone di produzione e quelle di consumo, tra il Nord e il Sud del pianeta.

Tutto questo è chiaro e vero, ma gli autori non hanno discusso un’altra grande lacuna: la mancanza di studi approfonditi dedicati alle donne che lavorano lungo tutta la catena globale di valore del caffè.”

Koss: “Una filiera che contiene al suo interno un enorme divario di genere.”

“Un giorno, lavorando alla mia tesi di dottorato, mi sono detta: questo potrebbe essere chiamato “the gendered coffee paradox”. C’è una citazione a cui ho fatto riferimento a questo punto del mio viaggio: “Se c’è un libro che vorresti leggere, ma non è ancora stato scritto, allora devi scriverlo”. – da un discorso di Toni Morrison del 1981, pronunciato all’Ohio Arts Council (negli Stati Uniti).

Quindi, di fronte all’evidenza che ci sono così tante donne nel settore – lo sappiamo tutti, ne siamo consapevoli – e che, nonostante questo, si ponga poca attenzione su queste protagoniste, ho voluto svolgere io una ricerca apposita, dare un contributo diverso.”

Koss: “Il paradosso dell’invisibilità”

“Mi sono chiesta: perché le donne svolgono la maggior parte del lavoro nelle piantagioni e tuttavia gli uomini – soprattutto in Africa dove sono loro a detenere i titoli di proprietà della terra – continuano a ricevere il denaro, il credito e il potere?

E non si tratta solo della produzione. Questo paradosso di genere si presenta anche su scala globale: ho conosciuto e ascoltato diversi studenti ciascuno con la propria storia e che ricoprivano molti ruoli lungo la filiera. Ho notato che, anche quando le donne si trovano in posizioni di comando, non è stato così scontato che sentissero davvero di avere una voce.”

“Insomma, anche quando le donne raggiungono i vertici, si sentono davvero autorizzate a farsi avanti e a difendere le altre donne?”

Erika Koss con in mano le ciliegie (foto concessa)

“La risposta è spesso, purtroppo, no. Ho cercato di racchiudere tutto questo nel singolo assioma del “Gendered coffee paradox” per cercare di riassumere il Gender Gap del caffè: un intero sistema che produce e si basa su questa ingiusta dinamica tra uomini e donne”.

Secondo la sua esperienza, la condizione delle donne è la stessa in tutti i paesi in via di sviluppo? E rispetto alle donne dei Paesi consumatori?

Koss: “In effetti, per rispondere a questa domanda in modo completo e approfondito è necessaria un’ulteriore riflessione. Il mio Master è stato incentrato sulla realtà del Ruanda, mentre il mio dottorato sul Kenya.

Certo poi ho viaggiato in tutto il mondo e posso quindi affermare, anche come insegnante con diversi anni di esperienza in corsi online di supply chain e sostenibilità, di essere entrata in contatto con più studentesse di tutto il mondo e di diverse professioni: purtroppo, ogni volta, ho raccolto diverse testimonianze di abusi di potere e molestie sessuali sul posto di lavoro e non solo.

Molte di noi donne, me compresa, hanno vissuto questi episodi in più modi, non solo nell’industria del caffè. Ci sono casi di violenza, discriminazione e non solo sessuale,
che sminuiscono il nostro valore di esseri umani. Spesso per le donne è ancora più difficile denunciare e parlare di questi meccanismi perché viene quasi percepito come qualcosa di acquisito come nella norma.

Non molti ne parlano perché fa paura, ma succede quotidianamente. Spesso non condividiamo la nostra esperienza perché temiamo che, se lo facessimo, perderemmo il lavoro o la possibilità di averlo – e dall’altra, abbiamo bisogno di soldi per noi stesse o per i nostri figli -.

Koss: “Ecco perché ho voluto concentrarmi sulle donne”

“Esistono questi paradossi lungo tutta la catena, dalle origini ai Paesi consumatori. È qualcosa che le donne vivono in modo diverso dagli uomini, ed è molto presente nell’industria del caffè.

Spesso, soprattutto in Kenya, dove vivo, o altrove durante i miei viaggi, sono l’unica donna a un tavolo di cupping. Perché succede? Spesso, in Kenya, la maggior parte degli acquirenti e torrefattori che arrivano in visita, sono uomini.

Per quanto riguarda l’Italia nello specifico, ho appreso alcuni dati significativi da una professionista italiana del caffè: in Italia ci sono in tutto 80 AST, i formatori di SCA, e di questi solo otto sono donne. Già questo la dice lunga.

Quindi, in definitiva, rispetto alla domanda, ecco cosa posso dire: ho osservato, sulla base della mia esperienza a contatto con tanti professionisti e studenti del caffè in tutto il mondo, che il “gendered coffee paradox” esiste e contiene al suo interno vari fattori che si esprimono in modo diversi a seconda del Paese in cui viene analizzato.

È importante aggiungere che bisogna guardare sempre al contesto. Spero che più donne diano voce e condividano le loro esperienze di vita, nel caffè e non solo.

Ad esempio, quando vivevo in Canada, ho visto che il paradosso di genere funziona in modo diverso rispetto al Kenya, eppure è certamente presente in entrambi i casi”.

Ci sono dati che ci parlano delle attuali condizioni lavorative e sociali delle donne nel caffè?

“Quando si parla di donne e caffè, ci sono pochissimi dati precisi. Questa è stata una grande motivazione che mi ha spinto a proseguire il dottorato. Volevo provare a dare un contributo al mio campo di ricerca: sviluppo internazionale e scienze politiche.

Non volevo però solo lamentarmi della mancanza di informazioni e dati: volevo verificare se questa mia prima impressione fosse effettivamente giusta. Infine, attraverso più di 160 interviste, uomini e donne dell’Africa orientale hanno confermato l’esistenza di questo squilibrio.

Dobbiamo lavorare insieme per rendere i nostri sistemi più equi.

Ricordate: il genere non riguarda solo le donne: si tratta di rendere il mondo migliore per i nostri figli, di qualsiasi genere siano, senza paura”.

Ci parli del caso di studio che ha esaminato, sullo stato del Kenya?

“Per riassumere, ho deciso di concentrarmi sul punto di vista degli agricoltori, proprio dove esiste la sfida più grande e sui quali vengono pubblicate meno storie.

In Kenya, le donne sono molto presenti in tutte le aziende agricole, dalla raccolta e dalla selezione, alla lavorazione. Le stesse contadine mi hanno esortato a condividere e pubblicare le loro storie. Qui, sono sempre loro, nelle zone rurali, a portare le ciliegie di caffè sulla testa e sulle spalle, anche per decine di chilometri su e giù per le colline.

Troppo spesso le stazioni di lavaggio sono lontane dalle loro fattorie o dai campi, tuttavia questo compito di portare le drupe per un viaggio molto lungo e accidentato  spetta alle donne, secondo l’abitudine culturale. Questo vale anche anche per il trasporto dell’acqua, anch’essa molto pesante e difficile da portare per lunghe distanze.

Ho anche osservato forti connessioni tra il gendered coffee paradox e gli effetti del colonialismo. Sebbene il Kenya abbia lottato per la sua indipendenza e l’abbia ottenuta nel 1963, ancora oggi ci sono dinamiche e procedure che resistono: per esempio, il commercio e il trasporto del caffè all’interno e all’esterno del Paese, perpetuano la struttura imposta dagli inglesi in passato.

Un caso esemplificativo: prima dell’arrivo degli inglesi, la proprietà della terra era comunitaria, non basata su quella individuale della terra.

I britannici hanno imposto il concetto di un “titolo di proprietà” per possedere la terra. Dopo l’indipendenza, questo protocollo fondiario è rimasto in atto. Certo, con la nuova Costituzione del 2010, le donne in Kenya sono legalmente autorizzate a possedere la terra, ma queste dinamiche radicate nel tessuto socio-culturale, possono di fatto escluderle da questa opzione.

Questo aspetto è importante, perché se le donne non hanno accesso al titolo di proprietà, potrebbero non diventare mai finanziariamente indipendenti, né tanto meno in grado di accedere a un conto bancario o di ottenere un pagamento per il loro caffè.

In alcuni casi, quindi il denaro non entra nelle tasche delle donne, nonostante siano loro a svolgere il duro lavoro fisico nei campi.

Tuttavia, il quadro non è del tutto desolante, perché in Kenya e non solo, ci sono molti esempi eccellenti di donne leader. Molte di loro, che ho avuto il piacere di conoscere, alcune anche coinvolte nella mia tesi di laurea, stanno lavorando con tanta diligenza per cambiare le cose nel loro ambito.

Il settore del caffè è complesso. Sono una scienziata sociale, quindi non si può fare lo stesso ragionamento per tutte le culture, storie, tradizioni, lingue e religioni: una strategia per migliorare è quella di prendere in considerazione l’avanzare delle donne nei ruoli di potere nei diversi modi possibili e contesti.

Oggi molte ONG e aziende produttrici di caffè si stanno muovendo per promuovere modelli di educazione e formazione, includendo diversi tipi di interventi. A volte si tratta di esperti di agricoltura che si recano nelle piantagioni, ma è importante che le donne possano partecipare  a queste occasioni, in orari o date per loro convenienti.

Ricordate che le donne spesso non hanno tempo o energie per aggiungere anche la formazione al loro calendario di impegni. Fanno già molto, si occupano dell’azienda, della famiglia e cercano di garantire l’istruzione dei figli.

Paradossalmente, ancora una volta, le persone che frequentano i corsi di formazione o le lezioni sono uomini, che non riescono a trasmettere le informazioni alle donne, coloro che però svolgono il lavoro manuale e fisico, ogni giorno.

Semplicemente, chiediamo prima di tutto alle donne stesse delle loro esigenze, senza pensare di spiegare loro ciò di cui hanno realmente bisogno. Ascoltiamole lungo tutta la catena: sembra ovvio, ma non sempre è così.

Una grande soluzione che ho visto all’opera è la teoria e la formazione GALS, che sta per “Gender Action Learning System”.

È stato creato dalla sociologa Linda Mayoux in collaborazione con le comunità agricole, tra cui una cooperativa di caffè in Uganda. Ho visto esempi del suo effettivo funzionamento perché coinvolge uomini e donne nel processo di formazione e trasformazione delle famiglie e delle comunità.

In Africa orientale ci sono molte storie di successo derivanti dall’applicazione di questo sistema.”

Koss: “La questione del tempo per la formazione rimane un punto su cui lavorare”

“Il sistema deve essere di supporto alle donne, tenendo conto delle ore di lavoro e dei carichi effettivi che devono sopportare, in modo da garantire che siano in grado di fare entrambe le cose.

La formazione e la ricerca devono anche tenere conto di se e quando i figli sono a scuola. Gli orari delle donne variano in base alle persone di cui devono prendersi cura.

È molto difficile per una donna che lavora, che deve tenere conto di molti bambini o anziani da accudire, trovare il tempo per la propria istruzione. Non si deve considerare solo la questione del costo di questi corsi, ma anche la vita reale.

Il sostegno alle donne deve essere concreto, non solo a parole, in termini di accessibilità, di sostenibilità e di equità di genere.

I governi dovrebbero offrire più sostegno sociale ai loro cittadini, in generale, ma ora, nel XXI secolo, molte organizzazioni no-profit, aziende di caffè e associazioni proattive create da donne si stanno facendo avanti e stanno aprendo maggiori opportunità per le donne.

Per concludere, posso mandare un messaggio alle persone che lavorano con le donne nel caffè: per favore chiedete e ascoltate veramente cosa chiedono le donne. Senza dare per scontato a priori come e su cosa intervenire.

A Nandi, foto concessa

Vedo tanti casi di persone che cercano di migliorare le cose e questo spesso nasce dalla rete di donne e dal tentativo di comunicare insieme.

L’industria del caffè è piena di esempi di forti leader femminili che lavorano per rendere l’equità di genere una realtà. L’ho visto accadere dal Messico all’Indonesia, dappertutto.

Noi donne esistiamo, siamo qui, e spero che sempre di più condivideremo le nostre storie, in modo che in futuro ci siano più testimonianze e materiali. Una persona alla volta, un giorno andremo in biblioteca a leggere del mondo del caffè dal punto di vista femminile”.

Qui, l’intervista in inglese.

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