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MILANO – Starbucks era da tempo alla ricerca di un compagno di cordata per il proprio business cinese. Già l’anno scorso, l’allora ceo Laxman Narasimhan aveva dichiarato che la società stava cercando un partner strategico, per rimanere competitiva nella seconda economia mondiale. Dopo un processo di selezione durato quasi un anno e mezzo, la scelta è ricaduta su Boyu Capital, una private equity firm, che ha tra i suoi cofondatori il nipote dell’ex presidente cinese Jiang Zemin, con uffici in Singapore, Shanghai, Hong Kong e Pechino.
A oltre un quarto di secolo dall’apertura del suo primo locale nel paese del dragone – inaugurato a Pechino, nel lontano 1999 – Starbucks passa dunque la mano, anche se non del tutto (manterrà una quota del 40% nel business cinese).
E getta la spugna chiamando in soccorso un socio locale, per meglio districarsi in un mercato ricchissimo e in espansione, ma eccezionalmente complesso.
C’è chi parla di una sconfitta: alcuni analisti sono particolarmente severi
Secondo Douglas A. McIntyre, Starbucks ha impiegato 26 anni per giungere alla conclusione di non essere in grado di gestire una catena di caffetterie in Cina.
Lo stesso McIntyre si dimostra perplesso sui termini finanziari dell’operazione e sulla somma che sarà pagata da Boyu, considerando che la Cina è il secondo mercato mondiale di Starbucks e conta per l’8% dei suoi ricavi.
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