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Guerra sui dehors a Milano: insostenibili per i cittadini, irrinunciabili per i gestori

Da quando Palazzo ha facilitato l'iter per il rilascio delle concessioni di suolo pubblico a costo zero, è vero che bar, pub e ristoranti ne hanno approfittato così da mantenere i clienti distanziati e convivere con il virus. Tutti autorizzati. Ma ora che siamo in zona gialla (non si sa però per quanto tempo, visto Rt in risalita) e la calca è una realtà, gli abitanti dei luoghi caldi del divertimento si ribellano

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MILANO – Dehors sì o dehors no? Questo è il dilemma. Perché, se da un lato sono uno dei pochi assi nella manica per molti gestori che nella bella stagione e negli spazi aperti intravedono una boccata d’aria di incassi, dall’altro ci sono i cittadini che ancor prima di esser consumatori, sono abitanti delle proprie strade. A Milano questa conquista del suolo pubblico sta diventando un fastidio per molti autoctoni. Leggiamo cosa sta succedendo dal sito leggo.it.

Dehors milanesi vissuti come invasioni di campo

«Dappertutto è una distesa di dehors, come se Milano fosse diventata tutta un bar all’aperto, un immenso ristorante o tavola calda alla faccia del divieto di assembramento e a discapito dei posti auto per i residenti, occupati dai plateatici». Protestano a gran voce i comitati dei quartieri della movida.

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Prima la diffida dello scorso luglio, poi la denuncia contro la malamovida, depositata a dicembre contro il sindaco Giuseppe Sala. E ora la rabbia

«per i tavolini e gli ombrelloni all’aperto in ogni minimo spazio: sui marciapiedi, sulle aiuole, in mezzo a vie bandite alle auto e perfino davanti alle chiese». Quattro comitati – Navigli, Lazzaretto, ProArcoSempione e Santagostino – chiedono al Comune di porre un freno, al grido: «Siamo diventati la città dei plateatici?».

Da quando Palazzo ha facilitato l’iter per il rilascio delle concessioni di suolo pubblico a costo zero, è vero che bar, pub e ristoranti ne hanno approfittato così da mantenere i clienti distanziati e convivere con il virus. Tutti autorizzati. Ma ora che siamo in zona gialla (non si sa però per quanto tempo, visto Rt in risalita) e la calca è una realtà, gli abitanti dei luoghi caldi del divertimento si ribellano.

Dehors, la ribellione partendo dai dati:

«In cinque mesi gli uffici hanno rilasciato 17 concessioni al giorno per la posa di strutture temporanee su un totale di circa 64.500 metri quadrati di nuovi spazi pubblici». Chiedono che gli «siano dedicati posti auto per compensare quelli cancellati».

E aprono la questione sanitaria: «In questa drammatica situazione di emergenza Covid i passanti non possono rispettare il distanziamento sociale, perché i percorsi pedonali sono tutti occupati dai tavolini e ciò è pericoloso per il diffondersi dei contagi».

Fabio Acampora: «I posti fuori servono a sopravvivere»

Fabio Acampora, vicepresidente dell’associazione dei pubblici esercizi di Milano (Epam), titolare di otto locali, fra ristoranti e lounge bar, i comitati di quartiere si lamentano del moltiplicarsi di dehor. Cosa risponde?
«I locali fanno il possibile per non essere fastidiosi, ma gli abitanti devono comprendere la gravità del momento. Viviamo con la paura di non riuscire a sopravvivere alla crisi Covid. La conseguenza dei locali falliti sarebbe la perdita del posto di lavoro per centinaia di migliaia di lavoratori, fra cuochi, camerieri, addetti alle pulizie, steward. I dehor all’aperto sono indispensabili».

Perché?
«Sono valvola di sfogo, molti hanno paura di mangiare dentro. E con la bella stagione ci permetteranno di lavorare in sicurezza».

Alle accuse di essere amplificatori di contagi cosa rispondete?

«Il rischio zero non esiste in nessun luogo. Nemmeno al supermercato se non si rispettate le norme anti-virus. Tutti gli operatori rispettano le regole e chiediamo alle forze dell’ordine di aiutarci con i clienti indisciplinati: all’interno facciamo noi i carabinieri, ma all’esterno devono subentrare le forze dell’ordine».

 

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