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Clima mette a rischio la coltura del cacao: niente più cioccolato tra 40 anni

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MILANO – Le piante di cacao sono destinate a scomparire già nel 2050. La causa va ricercata nel cambiamento climatico, nelle temperature più calde e in generale nelle condizioni atmosferiche più rigide degli ultimi anni.

Gli scienziati hanno lanciato l’allarme sottolineando che sono già in pericolo le coltivazioni di fave di cacao in Ghana e Costa d’Avorio. Da questi due paesi dell’Africa Occidentale giunge oltre il 50% del cacao esportato nel mondo.

Il cacao rischia l’estinzione: ecco perché

Le coltivazioni di cacao sono a rischio estinzione: entro il 2050 la pianta del cacao potrebbe scomparire. Gli esperti ritengono che la responsabilità sia dei cambiamenti climatici. Essi hanno portato a un aumento delle temperature. E a una conseguente modifica del tasso di umidità dell’aria, che per la pianta di cacao deve rimanere tra il 70% e il 100%.

Il costante caldo più intenso e secco potrebbe portare alla fine del cacao già entro i prossimi 40 anni. Le piante che producono le fave possono crescere infatti solo all’interno di una stretta striscia di terra pluviale, che va da circa 20 gradi a nord e a sud dell’equatore. Qui temperatura, pioggia e umidità rimangono relativamente costanti durante tutto l’anno.

In pratica oltre metà del cioccolato mondiale proviene da due soli paesi dell’Africa occidentale – Costa d’Avorio e Ghana. Per invertire la rotta, gli scienziati dell’Università della California stanno collaborando con Mars Company, brand dell’industria dolciaria conosciuto a livello mondiale, per cercare di salvare il raccolto prima che sia troppo tardi.

Piante geneticamente modificate

Per questo gli esperti stanno lavorando alla nascita di piante geneticamente modificate che possano reggere le future condizioni climatiche estreme. Il tutto sotto lo sguardo attento di Myeong-Je Cho, direttore del dipartimento di genomica vegetale.

Obiettivo: sviluppare piante di cacao che non appassiscano o marciscano alle quote attuali, eliminando così la necessità di spostare le piantagioni in altre zone o trovare un altro approccio alla coltivazione.

La nuova tecnologia sviluppata da Jennifer Doudna, genetista dell’Università di Berkeley, si chiama Crispr, consente di rendere le colture più economiche e affidabili.

Ma il loro impiego potrebbe essere importante soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, dove molte delle piante su cui le persone fanno affidamento per evitare la fame sono minacciate dagli effetti dei cambiamenti climatici, tra cui più parassiti e mancanza di acqua.

Uno di questi progetti mira a proteggere la manioca – una coltura chiave che impedisce a milioni di persone di morire di fame ogni anno – dai cambiamenti climatici modificandone il dna per ridurre le tossine pericolose che si sviluppano a temperature più calde.

Il laboratorio di ricerca che sovrintende all’Università di Berkeley è l’Istituto di Genomica Innovativa. Molti degli sforzi dei ricercatori si concentrano sull’utilizzo di Crispr a beneficio dei piccoli agricoltori nel mondo in via di sviluppo.

Al proposito Doudna ha fondato una società chiamata Caribou Biosciences per mettere in pratica il CRISPR e ha anche concesso in licenza la tecnologia alla società agricola DuPont Pioneer per l’uso in colture come mais e funghi.

Kati Irrente

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