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CENTRO AMERICA – Caffè arabica, a rischio il 35% della produzione. Questa volta il responsabile è il fungo della cosiddetta ruggine

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MILANO – Un nuovo allarme negli ultimi mesi, sempre da istituti scientifici e da congressi specializzati, per il caffè Arabica. Cioè la più apprezzata dagli amanti del caffè.

Caffè Arabica, come se la cava la produzione centroamericana

E in particolare le coltivazioni di Honduras, Guatemala, Nicaragua, Salvador, Costa Rica e Panama, deve affrontare l’emergenza “fungo della ruggine“. Un parassita particolarmente vorace che ha già fatto danni a più di un terzo delle coltivazioni.

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Questo fungo, che deve il suo nome al colore che dà alle foglie, ha colpito il 35% dei 958.000 ettari coltivati a caffè nell’area centroamericana

Secondo fonti del settore consultati dall’agenzia francese Afp. La perdita totale in America Centrale è stimata in due milioni di sacchi di 46 chili per l’anno caffè. Nel periodo che va ottobre 2012 a settembre 2013, per un danno da circa 3 milioni di dollari.

«La situazione è grave» e «se non si prendono provvedimenti che peggiorerà». Così avverte José Buitrago, presidente dell’Associazione degli esportatori di caffè del Nicaragua. Uno dei paesi più colpiti dalla «Hemileia vastatrix», capace di decolorare e mangiare lentamente il fogliame delle piantagioni.

Nei sei Paesi colpiti l’industria del caffè dà lavoro a oltre 1,5 milioni di addetti

Oltre alle centinaia di migliaia di altre persone che sopravvivono grazie all’indotto al momento del raccolto, in una regione tra le più povere al mondo. Ora sono a repentaglio circa 200.000 posti di lavoro, secondo l’Associazione Caffè Nazionale (Anacafè). È da settembre 2012 che il fungo ha iniziato a diffondersi, principalmente a causa della mancanza di prevenzione, ma anche a causa del calore e siccità causata dal riscaldamento globale che colpisce la regione, spiegano gli esperti.

A novembre l’allarme-estinzione per l’Arabica per effetto dei cambiamenti climatici

Fu lanciato, sulle pagine di Plos One, da uno studio realizzato da un gruppo di ricercatori dei giardini botanici reali di Kew, in Gran Bretagna, in collaborazione con ricercatori etiopici.

 

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