giovedì 11 Aprile 2024
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Unesco, su Instagram attorno alla tazzina: CoffeeandLucas ne parla con Matarangolo, Moroni, Sipione e Volpe

Un estratto dal discorso di Matarangolo: "Qui non si parla di cosa c’è dietro la tazzina, ma della cultura dell’espresso. Quei due minuti che sei al banco per staccare, godendosi la bevanda buona o cattiva che sia. Si parla di gestualità, non di qualità. Una cosa che sta scomparendo a causa del Covid. I consumi del bar sono calati, le torrefazioni sono piuttosto in crisi, soprattutto le medio-piccole. Quindi bisogna spingere l’espresso e per questo se la candidatura può esser un modo di rilanciare il consumo al banco, ben venga. Bisogna separare le cose. Si parla di un concetto.”

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MILANO – Il rituale del caffè espresso italiano merita la candidatura Unesco? Una domanda che apparentemente sembra semplice, ma che nasconde dietro di sé tante sfumature che rendono possibile la discussione e la rendono talvolta anche accesa. Ma non potrebbe esser altrimenti perché, quando si parla di caffè, gli italiani si sentono colpiti nel vivo di uno dei loro tratti culturali per eccellenza, al pari della pizza. Questo percorso che ora è arrivato al vaglio dell’Unesco di Parigi, potrebbe concludersi felicemente con l’ottenimento dello status di patrimonio immateriale: c’è da chiedersi se una volta conquistato, si possa considerare un valore aggiunto alla tazzina, oppure rappresentare un rischio per la sua evoluzione qualitativa.

Di questo argomento delicato, ne ha voluto parlare il fotografo del caffè e comunicatore social che ormai abbiamo imparato a conoscere, Coffeeandlucas: in una diretta sul suo profilo Instagram si è confrontato con due personaggi di spicco ma non interne alla community come Irene Volpe, finalista Masterchef Italia e Silvia Moroni, creator digitale alias Parla Sostenibile. Con un’incursione doverosa di due addetti ai lavori, Andrea Matarangolo, Education Coordinator Sca Italy nonché Trainer per Specialty coffee Association e Fabio Sipione, Event di Sca Italy.

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Candidatura Unesco: è una cosa buona oppure no?

Federico Pezzetta rompe il ghiaccio facendo e rispondendo a questa domanda, condividendo il suo onesto punto di vista:” L’espresso quindi merita questa candidatura? Come italiani riteniamo che il nostro caffè sia il migliore del mondo. Ci sono a questo proposito diversi topic da toccare che riguardano la qualità e la sostenibilità. C’è un punto fermo però: la candidatura che è stata presentata all’Unesco parla di ritualità, di storia, di quello che il caffè ha creato come legame sin dall’inizio con il nostro Paese. Il dossier non fa un discorso qualitativo e di sostenibilità né mette in campo fattori che non siano attinenti alla tradizione.

Ci sono state diverse voci che si sono esposte in maniera contrastante in merito, affermando che l’espresso italiano non è considerato della migliore qualità. Che c’è poca consapevolezza dietro la tazzina e che si ignora l’elemento fondamentale della sostenibilità sociale legata ai pagamenti dei coltivatori in piantagione. Parallelamente esiste anche il discorso attorno al ruolo del barista, sul salario che un operatore formato percepisce e che anzi spesso non è differente da chi lavora senza avere competenze certificate.

Dalla scorsa settimana ho cercato di informarmi meglio sull’argomento e ho capito prima di tutto che è complesso e quindi è difficile schierarsi da una parte o dall’altra nettamente. La mia opinione è che, se noi ci rifacciamo ad un valore strettamente tradizionale della tazzina consumata al bar nel corso della storia, allora questa è una candidatura che non presenta niente di strano. Il discorso sarebbe stato differente se si fosse parlato di qualità e di sostenibilità legate al riconoscimento. Insomma, sono state tirate fuori diverse problematiche importanti, ma un po’ off topic rispetto alla candidatura Unesco. Con il rischio di svuotare un po’ di significato le tematiche singole che meriterebbero invece un’attenzione particolare a parte.”

Irene Volpe sulla candidatura Unesco:

“Cucino e sto molto attenta alla materia prima, alla sua qualità e provenienza. Il caffè presenta tantissime sfaccettature in tutta la sua filiera produttiva, da chi lo coltiva sino a chi lo estrae. Credo che come tutti gli alimenti che ci legano a un posto, a un’emozione, anche il caffè in questo caso viene esaltato e riconosciuto nella sua accezione di rituale. Si considera il fatto che prendersi un espresso italiano al bar ha una valenza sociale che non si può trascurare. Chiaramente possiamo parlare di tutto ciò che c’è dietro quella tazzina, senza nulla togliere al valore simbolico per la tradizione, di condivisione con il prossimo.

La tipologia del caffè usato per questo rito non è un fattore tanto curato e su questo si può aprire un altro tipo di discorso, tuttavia, il fatto di voler portare il rituale del caffè come patrimonio immateriale e culturale all’attenzione di più persone, ha una certa importanza. In questo modo si cerca di fare awareness tra le persone e alzare l’asticella su tutti gli altri temi, facendo scaturire delle domande giuste su qualità e sostenibilità. I lati più positivi da cogliere si possono trovare. Parlandone, sicuramente facciamo bene a prescindere.”

Silvia Moroni interviene: “Partirei dalla definizione indicata nel dossier”

Parla sostenibile la legge per filo e per segno, didascalicamente: “Si va a sviscerare la parte culturale, sociale e tradizionale del prodotto. Quindi nel proporre il modo di bere il caffè espresso italiano, tutto torna. Quali sono gli altri patrimoni immateriali infatti? Prendiamo per esempio la pizza: si valorizza con la candidatura Unesco la tradizione del pizzaiolo napoletano. Non si dice niente sull’origine delle materie prime come il pomodoro (e il capolarato) le farine (super lavorate), le mozzarelle (e l’allevamento per produrre il latte).”

Andrea Matarangolo sulla candidatura Unesco è chiaro:

“Nasco barista e morirò barista. Fin tanto che non si parla di qualità e di filiera, ma di metodo di erogazione in espresso, non vedo perché dire no a questo riconoscimento. Sono molto legato a questo rito: la mia vita nasce dalla preparazione in espresso, facevo il barista alzandomi alle 5 del mattino per prepararli. Quando vado all’estero le prime parole che mi rivolgono sono: italiano? Pizza, Ferrari e espresso”.

Il metodo più complesso per la preparazione del caffè è probabilmente l’espresso, il sistema di erogazione di cui possiamo parlare con un pizzico d’orgoglio. Quindi perché non candidarlo? Sarebbe bello dall’altra parte fare un’indagine per capire cosa sia la qualità per le persone, ma questo è un altro argomento. Qui non si parla di cosa c’è dietro la tazzina, ma della cultura dell’espresso. Quei due minuti che sei al banco per staccare, godendosi la bevanda buona o cattiva che sia. Si parla di gestualità, non di qualità. Una cosa che sta scomparendo a causa del Covid. I consumi del bar sono calati, le torrefazioni sono piuttosto in crisi, soprattutto le medio-piccole. Quindi bisogna spingere l’espresso e per questo se la candidatura può esser un modo di rilanciare il consumo al banco, ben venga. Bisogna separare le cose. Si parla di un concetto.”

Infine, la chiusura spetta a Fabio Sipione:

“Non posso che esser a favore, perché può far conoscere la bevanda ancora di più all’estero come all’interno della nostra nazione. Però, facciamo attenzione. Anch’io sono andato a fare delle ricerche in vista di questa diretta: sono rimasto sorpreso, perché se non si è esperti o del settore la candidatura Unesco passa inosservata e magari si scopre come ho fatto io ora, che la birra belga è patrimonio immateriale. Queste etichette devono valorizzare i prodotti, devono servire a farsi sentire in giro, diventare qualcosa che fa ancora più eco. E in qualche modo avrà i vantaggi anche il resto della catena di produzione. Di per sé sono favorevole al 100%, a patto che però non cada nel dimenticatoio com’è accaduto con qualche altro prodotto.”

Sul rincaro del prezzo della tazzina e il discorso della qualità ancora Sipione: “Il Covid ci ha dato un po’ di tempo da impegnare. Qualcuno lo ha impiegato informandosi, formandosi notando che il pacchetto di caffè a casa è diventato rancido dopo un po’ e ci si è chiesto il perché. Quindi c’è stata una sorta di innalzamento culturale. E di fronte a un rincaro dei prezzi, il consumatore pretende anche di bere qualcosa di qualitativamente più elevato e non solo che sveglia e che dà fastidio in bocca. Tutto questo probabilmente ha fatto sì che il cliente stia cominciando a selezionare il locale in cui va. Sceglie quelli che si differenziano su tutta l’offerta da banco, compresa la brioche da due euro: non si vuole più qualcosa di surgelato. Ma un prodotto che appaga tutti i sensi. “

Qui, la diretta andata in onda.

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